Edizioni Clichy propone Il diavolo e l’abisso e altri racconti, raccolta che prende il nome dal primo racconto, pubblicato per la prima volta nel 1895 sul numero natalizio del settimanale «The Graphic». Il testo contiene quattro racconti – introvabili da tempo in Italia e mai raccolti insieme – caratterizzati da un preciso senso dell’avventura e da un graffiante umorismo venato di aspetti satirici. Uno dei lati meno noti e tuttavia originalissimi dell’autore di Kim, Il libro della giungla, Capitani coraggiosi e L’uomo che volle farsi Re.
Cattedrale vi propone uno dei racconti contenuti nella raccolta, per gentile concessione dell’editore.
Pane nell’acqua
di Rudyard Kipling
Se ricordate il mio poco raccomandabile amico Brugglesmith, vi ricorderete anche del suo amico McPhee, capo macchinista del Breslau, al quale Brugglesmith tentò di rubare il dingey. Le sue giustificazioni circa le prodezze di Brugglesmith potranno un giorno essere raccontate in un luogo adatto: questo racconto riguarda McPhee. Costui non era mai stato un macchinista da corsa, ed era molto orgoglioso di dirlo davanti agli uomini di Liverpool; ma aveva alle spalle trentadue anni di conoscenza dei macchinari e degli umori delle navi. La sua faccia era stata deturpata da un lato dall’esplosione di un manometro nei giorni in cui la gente ne sapeva meno di ora, e il suo naso si ergeva maestoso da quella rovina, come un randello in una rivolta pubblica. Aveva tagli e bernoccoli sulla testa, e gli piaceva guidare l’indice attraverso i corti capelli grigio ferro e raccontare come si era procurato quei marchi di fabbrica. Possedeva ogni sorta di certificati di idoneità avanzata e, in fondo al suo cassettone in cabina, dove conservava la fotografia della moglie, c’erano due o tre medaglie della Royal Humane Society per il salvataggio di vite in mare. Dal punto di vista professionale (era un’altra cosa quando passeggeri impazziti di terza classe saltavano in mare) McPhee non approvava i salvataggi in mare, e mi ha detto spesso che un nuovo inferno attende i fuochisti e gli stivatori che firmano per la paga di un uomo robusto e si ammalano il secondo giorno in mare.
Credeva nell’efficacia di lanciare scarpe al quarto e al quinto macchinista quando lo svegliavano di notte dicendo che un cuscinetto si era arroventato, solo perché il bagliore di una lampada rifletteva una luce rossa sul metallo rotante. Credeva che esistessero solo due poeti al mondo: uno era Robert Burns, ovviamente, mentre l’altro Gerald Massey. Quando aveva tempo per i romanzi, leggeva Wilkie Collins e Charles Reade, soprattutto quest’ultimo, e conosceva a memoria intere pagine di Very Hard Cash. In sala il suo tavolo era il più vicino a quello del capitano e beveva solo acqua quando le macchine erano in moto. Fu gentile con me la prima volta che ci incontrammo, perché io non facevo domande, e perché consideravo Charles Reade uno scrittore vergognosamente sottovalutato. In seguito, gli piacquero i miei scritti, consistenti in un pamphlet di ventiquattro pagine che scrissi per Holdock, Steiner & Chase, armatori della linea, quando acquistarono un certo sistema brevettato di ventilazione e lo montarono nelle cabine del Breslau, dello Spandau e del Koltzau.
Il commissario di bordo del Breslau mi raccomandò per il lavoro al segretario di Holdock e quest’ultimo, che è un metodista wesleyano, mi invitò a casa sua, mi fece cenare con la governante dopo che gli altri ebbero finito, mi affidò i piani e le indicazioni, e io scrissi il pamphlet quella stessa sera. Si intitolava Comodità in cabina e mi fece guadagnare sette sterline e dieci scellini in contanti, un’importante somma di denaro a quei tempi; la governante, che stava insegnando le scale al piccolo John Holdock, mi raccontò che la signora Holdock le aveva detto di tenermi d’occhio, nel caso in cui me ne fossi andato dopo aver preso un cappotto dall’attaccapanni. A McPhee piacque moltissimo quel pamphlet, perché era stato scritto nello stile bizantino Bouverie, con decorazioni barocche e rococò; e in seguito mi presentò alla signora McPhee, che sostituì Dinah nel mio cuore; perché Dinah abitava dall’altra parte del mondo ed è salutare e antisettico amare una donna come Janet McPhee. Vivevano in una piccola casa da dodici sterline, vicina al porto. Quando il signor McPhee non c’era, la signora McPhee leggeva le colonne del «Lloyd’s Weekly Newspaper» e invitava a casa le mogli dei macchinisti anziani di pari livello sociale. Anche la signora Holdock andò a trovare una o due volte la signora McPhee in una carrozza con accessori in celluloide, e ho ragione di credere che, dopo che ebbe giocato abbastanza il ruolo di moglie dell’armatore, spettegolarono insieme. Gli Holdock vivevano in una casa antica con un grande giardino mattonato a circa un chilometro e mezzo dai McPhee, perché si tenevano vicini al denaro come il denaro si teneva vicino a loro, e in estate potevi vedere la loro carrozza mentre andavano solennemente in gita a Theydon Bois o a Loughton. Ma io ero amico della signora McPhee, perché a volte mi permetteva di accompagnarla verso ovest, nei teatri dove si commuoveva o rideva o rabbrividiva con animo semplice; e mi introdusse a tutto un nuovo mondo di mogli di dottori, mogli di capitani e mogli di macchinisti, i cui discorsi e pensieri erano totalmente incentrati su navi e linee di navigazione di cui voi non avete mai sentito parlare.
C’erano velieri, con camerieri e salotti di mogano e acero, in viaggio verso l’Australia, che caricavano ubriaconi tisici e senza speranza ai quali era stato raccomandato un viaggio in mare; c’erano piccole e trasandate navi dell’Africa Occidentale, piene di topi e scarafaggi, nelle quali gli uomini morivano in qualunque posto tranne che nella loro cuccetta; c’erano navi brasiliane di cui si potevano affittare le cabine per riempirle di merce, che salpavano stracariche; c’erano piroscafi di Zanzibar e delle isole Mauritius e navi ricostruite meravigliosamente che commerciavano con l’altro lato del Borneo. Queste navi erano amate e conosciute, perché ci facevano guadagnare il pane e un po’ di burro, mentre disprezzavamo le grandi navi atlantiche e ci prendevamo gioco delle navi di linea orientali, e giuravamo per i nostri rispettivi armatori (wesleyani, battisti e presbiteriani) secondo i casi. Ero appena rientrato in Inghilterra quando la signora McPhee mi invitò a cena alle tre del pomeriggio, e la carta da lettere era quasi nuziale tanto era profumata e morbida. Quando arrivai mi accorsi che c’erano delle nuove tende alle finestre che dovevano essere costate quarantacinque scellini il paio; e quando la signora McPhee mi guidò nella sala rivestita di marmo, mi lanciò uno sguardo intenso e mi chiese: «Non l’avete ancora saputo? Cosa ne pensate dell’attaccapanni?».
Ora, quell’attaccapanni era di rovere… minimo trenta scellini. McPhee scese le scale con cautela - camminava leggero come un gatto, nonostante tutto il suo peso, quando era in mare - e mi strinse la mano in una nuova e terribile maniera, parodia dello stile del vecchio Holdock quando salutava i suoi capitani alla partenza delle navi. Capii subito che gli era arrivata un’eredità, ma non dissi nulla, benché la signora McPhee mi pregasse ogni trenta secondi di mangiare tanto e di non protestare.
Fu una cena piuttosto bizzarra, perché McPhee e sua moglie si tenevano per mano come due bambini (lo facevano sempre dopo i viaggi) e annuivano, ammiccavano, tossicchiavano, gorgogliavano, mangiando a malapena un boccone. Una domestica venne a servirci, nonostante la signora McPhee mi avesse ripetuto più volte che, finché fosse stata in salute, non avrebbe ringraziato nessuno per averle fatto le faccende. Ma questa era una domestica con una cuffietta e io vidi la signora McPhee gonfiarsi di orgoglio nel suo vestito rosso. La signora Janet McPhee non mancava d’imponenza e il rosso non è un colore tenue; inoltre con tutto quell’inspiegabile orgoglio e gloria nell’aria mi sembrava di guardare dei fuochi d’artificio senza sapere di che festa si trattasse. La domestica, dopo aver tolto la tovaglia, servì un ananas che doveva essere costato mezza ghinea in quella stagione (solo McPhee aveva l’abilità di procurarsi cose del genere), una ciotola di porcellana di Canton piena di litchi essiccati, un piatto di vetro colmo di zenzero conservato e una piccola giara di chow chow sacra e imperiale che profumò la stanza. McPhee era riuscito a procurarsela grazie a un olandese di Java e io penso che lo avesse manipolato con i liquori. Ma il re della festa fu un Madera di quelli che ci si possono procurare solo se si conoscono il vino e l’uomo adatto. Un piccolo pacchetto di sigari di Madera essiccati avvolti in foglie di fico e mais accompagnava il vino e per il resto ci furono silenzio e un pallido fumo azzurro; Janet, nel suo splendore, sorrideva a entrambi e accarezzava la mano di McPhee. «Brindiamo» disse McPhee lentamente, strofinandosi il mento, «all’eterna dannazione di Holdock, Steiner & Chase». Chiaramente io risposi «Amen», sebbene con quella ditta avessi guadagnato sette sterline e dieci scellini. I nemici di McPhee erano i miei nemici e io stavo bevendo il suo Madera. «Non avete saputo nulla?» chiese Janet. «Neanche una parola, un mormorio?» «Né una parola, né un mormorio. Avete la mia parola, non ho sentito niente». «Diglielo, Mac» disse lei; e questa fu un’altra dimostrazione della bontà di Janet e del suo amore coniugale. Una donna più piccola avrebbe chiacchierato per prima, ma Janet era alta quasi un metro e ottanta, senza tacchi.
«Siamo ricchi» disse McPhee. Io distribuii le debite strette di mano.
«Siamo dannatamente ricchi» aggiunse. Io distribuii le debite strette di mano una seconda volta.
«Non metterò più piede in mare… a meno che… non si può mai dire… su un piroscafo privato magari… con un piccolo ma maneggevole motore ausiliario». «Per quello il denaro non basta» disse Janet. «Siamo discretamente ricchi… benestanti, ma niente di più. Un vestito nuovo per andare in chiesa e uno per andare a teatro. Li faremo fare in un quartiere occidentale».
«Quant’è?» domandai.
«Venticinquemila sterline». Feci un lungo respiro. «E guadagnavo venticinque sterline e venti al mese!».
Le ultime parole gli uscirono con una grossa risata, come se il mondo intero avesse cospirato per schiacciarlo.
«Sto ancora aspettando» dissi. «Non so niente da settembre. È stato un lascito?». Risero entrambi a gran voce.
«È stato un lascito» rispose McPhee, quasi soffocando dal ridere.
«Oh, sì, è stato proprio un lascito. Questa sì che è buona. Sicuro che è stato un lascito. Janet, hai sentito? Un lascito! Se questa l’aveste messa nel vostro pamphlet sarebbe stato molto divertente. È stato un lascito». Si diede una pacca sulla coscia e rise a tal punto che il vino tremò nella caraffa. Gli scozzesi sono un grande popolo, ma tendono a rimanere troppo a lungo su una stessa battuta, soprattutto se, salvo loro, nessuno la capisce.
«Quando riscriverò il mio pamphlet la inserirò all’interno, McPhee. Solo che prima devo saperne di più».
McPhee rifletté per la durata di mezzo sigaro, mentre Janet catturava il mio sguardo e lo faceva passare da un oggetto nuovo all’altro nella stanza: il nuovo tappeto con il disegno di una pianta rampicante, il nuovo orologio rustico tra i modellini delle caravelle di Colombo, la nuova credenza intarsiata con un portafiori di cristallo color porpora, il parafuoco dorato di ottone, e per ultimo, il nuovo pianoforte oro e nero. «Nell’ottobre dell’anno scorso il consiglio di amministrazione mi ha licenziato» cominciò McPhee. «Nell’ottobre dell’anno scorso il Breslau è arrivato al porto per il controllo invernale. Era stato in mare otto mesi… duecentoquaranta giorni… ed erano tre giorni che preparavo la distinta, quando entrò nel bacino di carenaggio. Tutto insieme, notate bene, facevano trecento sterline… per essere precisi duecentottantasei sterline e quattro scellini. Nessun altro avrebbe potuto riparare il Breslau dopo otto mesi per una cifra così. Mai… mai! Per quanto mi riguarda, quelli possono mandare a fondo le loro navi». «Non ce n’è bisogno» disse Janet, con dolcezza. «Abbiamo chiuso con Holdock, Steiner & Chase». «È una cosa irritante, Janet, semplicemente irritante. Ho avuto ragione dall’inizio alla fine, lo sanno tutti, ma… ma non posso perdonarli. Sì, l’intelligenza è dimostrata dai suoi frutti; e chiunque altro avrebbe fatto una distinta da ottocento sterline. Il nostro capitano era Hay… sicuramente lo avrai conosciuto. Lo trasferirono al Tongau e mi ordinarono di aspettare il Breslau capitanato dal giovane Bannister. Dovete tener presente che nel Consiglio c’erano state le elezioni di recente. Ho sentito dire che le azioni si vendevano di qua e di là e la maggior parte del Consiglio mi era sconosciuto. Il vecchio Consiglio non lo avrebbe mai fatto. Si fidavano di me. Ma il nuovo Consiglio era tutto per la riorganizzazione. Dietro a tutto c’era il giovane Steiner… il figlio di Steiner, l’ebreo, e ritennero uno spreco di tempo avvisarmi. Io lo seppi (ed ero il capo macchinista) dall’avviso delle linee di navigazione invernali, e per il Breslau avevano pianificato sedici giorni di viaggio da un porto all’altro! Sedici giorni, amico! È una buona nave, ma considera che ci mette diciotto giorni d’estate. Sedici giorni erano una vera assurdità e lo feci presente al giovane Bannister. “Dobbiamo farcela” rispose. “Non avreste dovuto mandare una distinta di trecento sterline”. “Ma cosa vogliono? Che le loro navi navighino in aria?” dissi. “Il Consiglio è pazzo”. “E diteglielo” mi rispose. “Io sono un uomo sposato, e ho il quarto figlio in arrivo, secondo mia moglie”». «Un ragazzo, con i capelli rossi…» intervenne Janet. Anche i suoi capelli erano dello splendido rosso dorato che si addice alla carnagione chiara. «Parola mia, ero così arrabbiato quel giorno! Non solo ero affezionato al vecchio Breslau, ma pretendevo anche un po’ di considerazione dal Consiglio dopo vent’anni di servizio. C’era una riunione del Consiglio quel mercoledì, e io passai la notte in sala macchine, a raccogliere dati a sostegno della mia tesi. Bene, glieli misi davanti con onestà. “Signori” dissi, “ho navigato con il Breslau per otto stagioni e credo che non ci sia niente da ridire sul mio lavoro. Ma se volete fare questo”, agitai l’avviso davanti ai loro occhi, “di cui non sapevo nulla finché non l’ho letto a colazione, vi assicuro sulla mia reputazione professionale che la nave non può farlo. O meglio, lo può fare per un po’, ma a un rischio al quale nessuno con un po’ di cervello si esporrebbe”. “Per cosa diavolo credete che noi vi passiamo le vostre distinte?” affermò il vecchio Holdock. “Amico, qui stiamo sprecando il denaro come acqua”. “Lascio nelle mani del Consiglio” dissi, “decidere se duecentottantasette sterline per otto mesi sono una cifra irragionevole”. Avrei anche potuto risparmiarmi il fiato, perché il Consiglio si era rinnovato dopo l’ultima elezione, e lì seduti c’erano i dannati fornitori navali cacciatori di dividendi, sordi come i mercanti delle Sacre Scritture. “Dobbiamo conservare la fiducia del pubblico” disse il giovane Steiner. “E allora conservate la fiducia del Breslau” ribattei. “Vi ha servito bene, e ha servito vostro padre prima di voi. Ha bisogno di rinforzo alla carena, di un nuovo basamento, bisogna finire di sistemare le caldaie prodiere, tutti e tre i cilindri, ripassare le guide, per cominciare. È un lavoro di tre mesi”. “Solo perché un dipendente ha paura?” rispose il giovane Steiner. “Forse un pianoforte nella cabina del capo macchinista sarebbe meglio”. Io mi schiacciavo il cappello fra le mani e ringraziavo Dio che non abbiamo figli e abbiamo messo da parte qualche cosa. “Sentite, signori” dissi. “Se il Breslau deve fare il viaggio in sedici giorni, dovrete trovare un altro macchinista”. “Bannister non si oppone” disse Holdock. “Parlo per me” risposi. “Bannister ha figli”. Poi persi la calma. “Potete mandare la nave all’inferno e ritorno se pagate il pilotaggio” affermai, “ma la nave ci andrà senza di me”. “Che insolenza” disse il giovane Steiner. “A vostra disposizione” risposi, girandomi per andarmene. “Consideratevi licenziato. Dobbiamo mantenere la disciplina tra i nostri dipendenti” affermò il vecchio Holdock, guardandosi intorno per assicurarsi che il Consiglio fosse dalla sua parte. Non capivano niente… che Dio li perdoni… e mi buttarono fuori dopo vent’anni… vent’anni. Uscii da lì e mi sedetti vicino all’usciere nell’atrio per ritrovare la calma. Credo di aver imprecato contro il Consiglio. Allora il vecchio McRimmon, della McNaughten & McRimmon, venne fuori dal suo ufficio, che si trova su quello stesso piano e mi guardò, sollevandosi una palpebra con l’indice. Sai che lo chiamano il Diavolo Cieco, anche se è tutto tranne che cieco, ed è stato tutt’altro che un diavolo nel suo modo di trattarmi… McRimmon della Black Bird Line. “Cosa c’è, signor McPhee?” mi chiese. Avevo appena finito di pregare. “Un capo macchinista licenziato dopo vent’anni di servizio perché non vuole mettere a rischio il Breslau con le nuove tempistiche, al diavolo anche voi, McRimmon” dissi. Il vecchio si morse le labbra e fischiò. “Ah” disse, “le nuove tempistiche. Capisco!”. Si diresse zoppicando nella sala del Consiglio dalla quale ero appena uscito, mentre il suo cane guida per ciechi Dandie rimase fuori con me. Fu provvidenziale. Dopo un minuto era già tornato. “Avete buttato il vostro pane nell’acqua, McPhee, e andateci voi al diavolo” disse. “Dov’è il mio cane? Parola mia, è sulle vostre ginocchia? C’è più perspicacia in un cane che in un ebreo. Come vi è venuto in mente di maledire il Consiglio, McPhee? Sono cose che si pagano a caro prezzo”. “Spenderanno di più per il Breslau” risposi. “Scendimi dalle ginocchia, bestia soffocante”. “I cuscinetti si surriscaldano, eh?” chiese McRimmon. “Sono passati trent’anni dall’ultima volta che mi hanno mandato al diavolo guardandomi in faccia. A quei tempi per una cosa del genere vi avrei spinto giù dalle scale”. “Scusatemi!” risposi. Aveva quasi ottant’anni per quanto ne sapevo. “Ho sbagliato, McRimmon; ma un uomo messo alla porta solo per aver fatto il proprio dovere può non essere sempre cortese”. “Ho saputo” disse McRimmon. “Avreste qualcosa in contrario a una trampfreighter? Sono solo quindici sterline al mese, ma dicono che il Diavolo Cieco riesca a mantenere un uomo meglio di chiunque altro. È la mia nave, il Kite. Entrate. Potete ringraziare Dandie. Io non sono abituato ai ringraziamenti. E ora” disse, “cosa vi ha spinto ad abbandonare il lavoro da Holdock?” “Le nuove tempistiche” risposi. “Il Breslau non resisterà”. “Oh, oh” fece lui. “Bastava forzarlo un po’… il tempo sufficiente a far vedere che lo stavate muovendo… per poi farlo arrivare con due giorni di ritardo. Cosa ci vuole a dire che avete rallentato a causa dei cuscinetti surriscaldati, eh? Tutti i miei uomini lo fanno, e io ci credo”. “McRimmon” dissi, “che cos’è la verginità per una ragazza?”. Lui corrugò la faccia secca e si contorse sulla sedia. “Il mondo intero” rispose. “Mio Dio, il mondo intero! Ma cosa c’entriamo io e voi con la verginità di una ragazza?” “Ecco” risposi. “C’è una cosa che ognuno di noi, del nostro settore o mestiere non fa, per nessun motivo. Se io vado a orario, vado a orario, escludendo sempre il rischio dell’alto mare. Più di questo, in nome di Dio, non lo farò mai! Non c’è trucco del mestiere che io non conosca…”
“Sì, l’ho sentito” disse McRimmon, secco come un biscotto. “Ma navigare in modo onesto per me è come lo Spirito Santo. Non mi permetterei mai di interferirci. Prendersi cura dei macchinari deboli fa parte del lavoro; ma quello che il Consiglio chiede è una frode, con in più il rischio di omicidio colposo. Ricordatevi che conosco il mio mestiere”. Parlammo ancora un po’ e la settimana seguente ero a bordo del Kite, una nave da carico di duemilacinquecento tonnellate, appartenente alla Black Bird. Più andava al largo, più il vapore aumentava. Ero riuscito a farla arrivare a undici nodi, anche se il suo solito era otto e tre. Cibo buono a prua e migliore a poppa, tutte le distinte approvate senza il minimo commento, il miglior carbone, caldaie nuove e un buon equipaggio. Non c’era niente che il vecchio rifiutasse di fare, eccetto verniciare. Quello era il suo punto debole. Convincerlo a verniciare era impossibile tanto quanto strappargli l’ultimo dente. Scendeva sul molo e le sue navi erano un vero scandalo per tutto il porto, ma lui si lamentava, gridava e diceva che non avrebbe potuto desiderare di meglio. Ho imparato che ogni armatore ha il suo non plus ultra. Quello di McRimmon era la verniciatura. Però ci si poteva spostare tra i suoi macchinari senza rischiare la pelle e, in barba alla sua cecità, lo vidi respingere cinque intermediari, uno dopo l’altro, con un solo cenno del capo da parte mia; inoltre le sue strutture per il trasporto del bestiame erano a prova del clima invernale dell’Atlantico settentrionale. Sapete quanto significhi? McRimmon e la Black Bird Line, Dio lo benedica! Oh, ho dimenticato di dire che il Kite sbandava e aveva il ponte di prua pieno di acqua verde, e ronfava in una burrasca da venti nodi, facendo i suoi quarantacinque giri al minuto, a tre nodi e mezzo; inoltre le sue macchine funzionavano con la dolcezza e la regolarità del respiro di un bambino addormentato. Il capitano era Bell, e anche se in generale non corre buon sangue tra ciurma e armatore, noi ci eravamo affezionati al vecchio Diavolo Cieco e al suo cane e penso che anche noi gli piacessimo. Egli valeva la parte ventosa di due milioni di sterline e i suoi parenti non erano al suo livello. Il denaro è terribile, quando è troppo, per un uomo solo. Avevo fatto fare due viaggi al Kite, uno di andata e uno di ritorno, quando ci giunse la notizia del disastro del Breslau, proprio come avevo predetto. Il capo macchinista era Calder (incapace di riscendere il Solent con un rimorchiatore) e, in base a quanto seppi, aveva fatto decollare un bel po’ le macchine sui basamenti, facendole andare in pezzi. Così la nave si riempì dal pressatrecce6 a poppa fino alla paratia, e rimase a guardare le stelle con settantanove passeggeri che strillavano nel salone, finché il Camaralzaman della Ramsey & Gold’s Cartagena Line la prese al rimorchio per la bellezza di 5.740 sterline, comprese le spese nella Corte dell’Ammiragliato. Capirete che era senza speranza, e in nessun caso avrebbe potuto affrontare condizioni climatiche avverse. 5.740 sterline, comprese le spese, escluse le macchine nuove! Avrebbero fatto meglio a tenere me… con le tempistiche vecchie. Ma anche così il nuovo Consiglio era a favore della riduzione delle spese. Il giovane Steiner, l’ebreo, era ancora dietro a tutto. Licenziarono a destra e a manca tutti coloro che non accettavano le schifezze del Consiglio. Ridussero le spese per le riparazioni; facevano mangiare all’equipaggio gli avanzi e, al contrario di McRimmon, nascondevano le loro carenze con vernice e dorature a buon mercato. Quem Deus vult perdere prius dementat, ricordatelo. A gennaio entrammo in bacino di carenaggio e in quello accanto c’era il Grotkau, il loro più grande vascello da carico, ex Dolabella della Piegan, Piegan & Walsh’s Line nell’84: una nave da carico di ferro di cinquemila tonnellate, costruita nei cantieri del Clyde, con la carena piatta, rigonfia a prua, con macchine insufficienti, che non virava, non produceva vapore, non si fermava quando glielo si chiedeva. A volte seguiva il timone, a volte prendeva il controllo, a volte si fermava a grattarsi, e a volte finiva addosso a un molo. Ma Holdock e Steiner l’avevano acquistata a buon mercato e l’avevano ridipinta di rosso come la meretrice di Babilonia e noi, per fare prima, la chiamavamo “la Meretrice”» (tra parentesi, McPhee continuò a utilizzare questo nome per il resto del racconto, e così voi dovete leggerlo). «Andai a trovare il giovane Bannister (aveva dovuto prendere quel che il Consiglio gli aveva dato e sia lui che Calder erano stati trasferiti dal Breslau a quell’orrore) e parlando con lui entrai nel bacino sotto la nave. Le piastre erano talmente bucherellate che gli uomini che la verniciavano, verniciavano e riverniciavano ne ridevano. Ma il peggio doveva ancora venire. Aveva una grande e rozza elica di ferro Thresher di circa quattro metri (quella del Kite era stata disegnata da Aitcheson) e proprio sull’albero dell’elica, dietro al mozzo, c’era una crepa talmente piena di ruggine da poterci infilare un temperino. Amico, era una crepa spaventosa! “Quando imbarcherete un nuovo albero dell’elica?” chiesi a Bannister. Sapeva quello che intendevo. “Oh, è soltanto una pecca superficiale” rispose, senza guardarmi in faccia. “Una pecca superficiale!” dissi. “Non avrete mica intenzione di portarla fuori con una soluzione di continuità come quella?” “Stasera ci metteranno il mastice” rispose. “Sono sposato e… conoscete il Consiglio”. Gli dissi proprio quello che mi passava per la testa in quel momento. Sai come rimbomba un bacino di carenaggio. Vidi il giovane Steiner che mi ascoltava dall’alto e, ti assicuro, utilizzò un linguaggio davvero provocatorio sulla violazione della pace. Disse che ero una spia e un dipendente caduto in disgrazia, corruttore della morale del giovane Bannister, e che mi avrebbe fatto causa per diffamazione. Scappò via quando io corsi su per i gradini (se l’avessi preso l’avrei gettato nel bacino) e lì incontrai McRimmon con Dandie che tirava il guinzaglio, guidando il vecchio sui binari. “McPhee” mi disse, “non siete pagato per litigare con Holdock, Steiner, Chase & Company quando vi incontrate. Che cos’è successo?” “Nient’altro che un albero dell’elica da buttare. Per curiosità, andate a vedere, McRimmon. È da ridere”. “Quell’ebreo chiacchierone mi fa paura” disse.
“Dov’è questo danno, e che aspetto ha?”
“Una crepa di circa diciotto centimetri proprio dietro il mozzo. Non c’è un potere sulla terra che possa impedire all’albero di cedere per le vibrazioni”.
“Quando?”
“Questo non posso saperlo” risposi.
“È così dunque… è così” disse McRimmon.
“Abbiamo tutti dei limiti. Siete certi che sia una crepa?” “Signore, è un crepaccio” dissi, perché non c’erano parole per descriverne l’ampiezza. “E il giovane Bannister ha detto che era solo una pecca superficiale!” “Bene, io credo che sia meglio che noi pensiamo agli affari nostri. Se avete qualche amico a bordo, McPhee, perché non lo invitate a cena da Radley’s?” “Stavo pensando a un tè in cabina” risposi.
“I macchinisti delle navi da carico non possono permettersi i prezzi dei grandi hotel”.
“No, no!” disse il vecchio, lamentandosi. “Non in cabina. Riderebbero del mio Kite, visto che non è stato verniciato come la Meretrice. Invitateli al Radley’s, McPhee, e mandatemi il conto. Ringraziate Dandie, qui, amico. Non sono abituato ai ringraziamenti”.
Quindi si girò (io stavo pensando proprio la stessa cosa). “Signor McPhee” disse, “questa non è demenza senile”.
“Che Dio ci protegga!” dissi io, colto alla sprovvista. “Stavo proprio pensando che siete pazzo, McRimmon”.
Il Vecchio Diavolo si mise a ridere rischiando quasi di sedersi su Dandie. “Inviatemi il conto” disse. “È da un po’ che lo champagne non fa più per me, ma domani fatemi sapere che sapore ha”.
Bell e io invitammo il giovane Bannister e Calder a cena al Radley’s. Lì non si può né ridere né cantare, ma noi prendemmo una sala privata… come i proprietari degli Yacht che vengono da Cowes». McPhee fece un largo sorriso e si distese per pensare. «E poi?» chiesi io.
«Non eravamo ubriachi nel vero senso della parola, ma il Radley’s mi mostrò i caduti. C’erano sei bottiglie di champagne secco e forse una bottiglia di whisky».
«Intendete dirmi che voi quattro vi siete fatti fuori una bottiglia e mezzo a testa di champagne, oltre al whisky?» chiesi.
McPhee mi guardò dall’alto in basso con pazienza. «Non ci eravamo seduti lì per bere» rispose.
«Quelle bottiglie non hanno fatto altro che renderci spiritosi. È vero che il giovane Bannister aveva appoggiato la testa sul tavolo e rideva come un bambino, e che Calder voleva andare a ogni costo da Steiner alle due del mattino a dipingerlo di verde; ma loro avevano bevuto anche nel pomeriggio. Oh Signore, come maledicevano il Consiglio quei due, il Grotkau, l’albero dell’elica, le macchine e tutto il resto! Non parlarono che di pecche superficiali per tutta la notte. Ricordo che il giovane Bannister e Calder si strinsero la mano in un accordo, quello di vendicarsi del Consiglio a ogni costo, senza rimetterci il loro brevetto di navigazione. Ora state a sentire come una falsa economia rovina gli affari. Il Consiglio li faceva mangiare come bestie (ho ragione di saperlo) e ho notato, nella mia gente, che a toccargli lo stomaco si sveglia il diavolo in uno scozzese. I marinai trasporteranno una draga attraverso l’Atlantico se hanno mangiato bene, e la ormeggeranno da qualche parte sulla costa americana: ma cibo pessimo equivale a pessimo servizio in tutto il mondo. Il conto andò a McRimmon e lui non mi disse niente fino al fine settimana, quando andai da lui a chiedergli altra vernice, visto che avevamo sentito che il Kite aveva avuto un contratto dalle parti di Liverpool. “State al vostro posto” disse il Diavolo Cieco. “Vi siete fatti il bagno con lo champagne? Il Kite non salperà da qui finché non lo dico io e… come posso mettermi a sprecare vernice per la nave, con il Lammergeyer ormeggiato per chissà quanto tempo e tutto il resto?”. Era la nostra grande nave da carico, il capo macchinista era McIntyre e io sapevo che aveva passato la revisione tre mesi prima. Quella mattina incontrai il capo contabile di McRimmon (non lo conoscete) che si mangiava le unghie per l’umiliazione. “Il vecchio è impazzito” disse. “Ha ritirato il Lammergeyer”. “Avrà avuto le sue ragioni” risposi. “Ragioni! È un pazzo!” “Non sarà pazzo finché non inizierà a verniciare” ribattei. “È proprio quello che sta facendo… con i carichi per il Sudamerica alti come non li vedremo mai più in vita nostra, l’ha ritirato per verniciarlo… per verniciarlo… per verniciarlo!” disse il piccolo contabile, agitandosi come una gallina su una piastra rovente. “Cinquemila tonnellate potenziali di carico in malora in un bacino di carenaggio, e lui tira fuori la vernice da barattoli da un quarto di libbra per quanto è pazzo, perché la cosa gli spezza il cuore. E il Grotkau… tra tutte le stive disponibili, proprio il Grotkau si gode a Liverpool fino all’ultima sterlina che spetterebbe a noi!”. Ero sbalordito da questa follia, immaginando che ci fosse una connessione tra questa e la cena al Radley’s. “Aprite bene gli occhi, McPhee” disse il capo contabile. “Ci sono macchinari, materiale rotabile, ponti di ferro, sapete come sono i carichi, no? E pianoforti, accessori da donna, e carico vario dal Brasile all’interno del Grotkau… il Grotkau della ‘Compagnia di Gerusalemme’ e intanto il Lammergeyer è a verniciare!”. Dio santo, pensavo che da un momento all’altro gli sarebbe venuto un accidente per la rabbia. Riuscii solo a dire: “Obbedite agli ordini, anche a costo di far crollare l’armatore”, ma sul Kite pensavamo tutti che McRimmon fosse impazzito; e McIntyre sul Lammergeyer era dell’idea che andasse rinchiuso sulla base di un procedimento legale che aveva trovato in un libro di diritto marittimo. Inoltre, per tutta la settimana i carichi per il Sudamerica non fecero che salire. Era un vero peccato!
Poi Bell ricevette l’ordine di portare il Kite fino a Liverpool con l’acqua di zavorra e McRimmon venne a salutarlo, lamentandosi e gemendo per gli ettari di vernice sprecati per il Lammergeyer. “Conto su di voi per recuperare” disse. “Conto su di voi per essere rimborsato! Perdio, perché non mollate ancora gli ormeggi? Per quale motivo state oziando in porto?”
“Che male c’è, McRimmon?” disse Bell.
“Saremo a Liverpool a festa finita. Il Grotkau ha avuto tutto il carico che avrebbe dovuto essere nostro e del Lammergeyer”. McRimmon rise e sogghignò… l’immagine perfetta della demenza senile. Sapete, le sopracciglia gli vanno su e giù come ai gorilla.
“Ecco le istruzioni in busta sigillata” disse, frugandosi addosso. “Eccole… da aprire nell’ordine stabilito”. Quando il vecchio se ne andò, Bell mescolando le buste disse: “Dobbiamo navigare lungo la costa sud, aspettando gli ordini… con questo tempo. La sua pazzia è fuori discussione ormai”.
Dunque, portammo il vecchio Kite (nonostante il bruttissimo tempo) nel luogo indicato, navigando sotto costa e aspettando gli ordini telegrafici, che sono la vera maledizione dei capitani. Facemmo rotta per Holyhead e Bell aprì la busta con le ultime istruzioni. Ero con lui in cabina e me la lanciò addosso, gridando: “Hai mai visto qualcosa di simile, Mac?”. Non dirò cosa abbia scritto McRimmon, ma era tutto fuorché pazzo. C’era aria di tempesta da sudovest quando raggiungemmo l’imboccatura del Mersey, una mattina di freddo pungente con il mare e il cielo grigio-verdi… un tempo da Liverpool, come si suol dire; rimanemmo lì a incrociare mentre la ciurma bestemmiava. Non esistono segreti a bordo di una nave. Anche loro credevano che McRimmon fosse pazzo. Alla fine, vedemmo il Grotkau rollare al largo con l’alta marea, carico oltre il limite, con il suo fumaiolo dipinto di fresco e le sue lance di salvataggio anch’esse dipinte di fresco, come tutto il resto. L’aspetto era degno della sua fama e anche la tosse. Calder al Radley’s mi aveva raccontato cosa affliggeva le sue macchine, ma le mie orecchie me lo avrebbero detto da sole a due miglia di distanza, dal rumore che facevano. Invertimmo la rotta, immergendoci e nascondendoci nella sua scia, e c’era un vento tagliente che ne prometteva altro. Alle sei soffiava ancora forte e prima della guardia di mezzanotte era un vero vento di sudovest. “Di questo passo andrà a finire in Irlanda” disse Bell. Io ero con lui sul ponte di comando, a tenere d’occhio i fanali del Grotkau. Il verde non si vede da lontano come il rosso, altrimenti avremmo dovuto tenerci sottovento. Non c’erano passeggeri di cui preoccuparsi e, con tutti gli occhi puntati sul Grotkau, tagliammo la strada a un piroscafo che rientrava a Liverpool. O per essere precisi, Bell riuscì a far girare il Kite davanti alla prua dell’altro e fra i due ponti di comando ci fu un piccolo scambio di maledizioni. Se ci fosse stato un passeggero» McPhee mi guardò con occhio benigno, «lo avrebbe raccontato ai giornali appena arrivato in dogana. Ci tenemmo nella scia del Grotkau quella notte e per i due giorni successivi (secondo i miei calcoli rallentò fino a cinque nodi) e ci dirigemmo con fatica sulla rotta Fastnet. “Ma non si passa dalla Fastnet per raggiungere un porto sudamericano, o sbaglio?” chiesi. “Noi no. Preferiamo la rotta più diretta possibile”. Ma stavamo seguendo il Grotkau, che non avrebbe mai preso il largo con quella tempesta. Sapendo ciò che sapevo sulle condizioni della nave, non potevo biasimare il giovane Bannister. Stava per arrivare una tempesta invernale dall’Atlantico settentrionale, una tempesta di neve, grandine e vento gelido. Eh, sembrava che il Diavolo stesse facendo una lunga passeggiata sulla superficie del mare, frustando la cresta delle onde in attesa di decidere cosa fare. Fino a quel momento se l’erano presa comoda, ma appena fuori dalle Skellig, la nave si rimboccò le maniche e si diresse verso Dunmore Head. Accidenti, se rollava! “Vorrà raggiungere Smerwick” disse Bell. “Se avesse avuto quell’intenzione avrebbe fatto rotta su Ventry” risposi io.
“Di questo passo le si staccherà il fumaiolo” disse Bell.
“Perché Bannister non riesce a tenere la prua al vento?”
“È l’albero dell’elica. Rollare è comunque meglio che beccheggiare con una crepa superficiale nell’albero dell’elica. Calder lo sa bene” risposi.
“È un’impresa recuperare un piroscafo con questo tempo” disse Bell.
Gli si erano congelate la barba e le basette ed era bianco per il sale sul lato esposto al vento. Un perfetto tempo invernale da Atlantico settentrionale! Il mare spazzò via le nostre tre lance, una dopo l’altra, e le gru della nave si piegarono come le corna di un ariete. “Non va bene” disse Bell. “Non si può gettare una gomena senza una lancia”.
Bell era un uomo molto giudizioso, per essere di Aberdeen. Io non sono uno che si interessa delle cose che capitano fuori dalla sala macchine, così scesi sgattaiolando fra le onde per vedere come se la cavava il Kite. Amico, nella sua categoria è la nave meglio attrezzata che abbia lasciato il Clyde! Kinloch, il mio secondo, la conosceva meglio di me.
Lo trovai intento a far asciugare i calzini sulla caldaia e a pettinarsi la barba con il pettine che Janet mi aveva regalato l’anno precedente, come se fossimo in porto. Controllai l’alimentazione, attizzai il fuoco, tastai tutti i cuscinetti, sputai per scaramanzia sull’asse reggispinta, diedi a tutti la mia benedizione e presi i calzini di Kinloch prima di risalire sul ponte. Allora Bell mi consegnò il timone e andò di sotto per scaldarsi. Quando tornò i miei guanti erano congelati e attaccati al timone e il ghiaccio mi scricchiolava sulle ciglia. Un perfetto tempo invernale da Atlantico settentrionale, come dicevo prima. La tempesta si esaurì nel corso della notte, ma il mare restò terribilmente agitato e faceva ondeggiare il Kite da prua a poppa. Rallentai a trentaquattro, credo… no trentasette. Al mattino c’era il mare mosso e il Grotkau si dirigeva verso ovest. “Ha deciso di far rotta su Rio, albero dell’elica o no” disse Bell. “La notte scorsa ha tremato” risposi. “Lo perderà con le vibrazioni, credetemi”. Ci trovavamo all’incirca a centocinquanta miglia ovest-sud-ovest di Slyne Head.
Il giorno seguente a centotrenta (vi sarete accorti che non eravamo navi veloci) e il giorno dopo a centosessantuno, e questo ci portò, diciamo, a diciotto latitudine ovest e forse cinquantuno longitudine nord, tagliando la rotta di tutte le navi di linea dell’Atlantico settentrionale, sempre in vista del Grotkau, avvicinandoci di notte e rimanendo a distanza di giorno. Dopo la tempesta si susseguirono tempo freddo e notti buie. Un venerdì sera ero in sala macchine, poco prima della guardia di mezzanotte, quando Bell mi fece un fischio: “È successo”. Così salii.
Il Grotkau era a breve distanza da noi verso sud e issò tre fanali rossi in verticale, uno dopo l’altro… il segnale di una nave che ha perso il controllo.
“Ecco un rimorchio per noi” disse Bell, leccandosi i baffi.
“Varrà molto di più del Breslau. Raggiungiamolo , McPhee!”
“Aspettiamo un po’” dissi. “Il mare è pieno di navi da queste parti”. “Proprio per questo” fece Bell.
“È una fortuna per chi arriva prima. Che ne dite?”
“Diamole tempo fino all’alba. Sa che siamo qui. Se Bannister dovesse aver bisogno d’aiuto lancerà un razzo”. “E che ne sapete dei bisogni di Bannister? Ce la vedremo portare via da sotto il naso da qualche altro vagabondo di mare” disse, e mise la barra al timone. Andavamo lentamente.
“Bannister preferirebbe tornare a casa su un transatlantico e mangiare in una sala da pranzo. Vi ricordate cosa disse del cibo di Holdock & Steiner’s quella sera al Radley’s? Tenetevi alla larga, alla larga vi dico. Un rimorchio è un rimorchio, ma un relitto è un grande salvataggio”.
“Ehi!” fece Bell. “Che pensiero profondo, Mac. Vi amo come un fratello. Resteremo dove siamo fino all’alba”. E tenne lontano il Kite.
Poi un razzo venne lanciato dalla prua, due dal ponte di comando e una luce blu da poppa. Poi di nuovo un fuoco da prua. “Sta affondando” fece Bell.
“È tutto perduto e io non otterrò che un binocolo notturno per aver salvato il giovane Bannister… che cretino!” “Ancora calma e sangue freddo” dissi. “Sta mandando dei segnali più a sud di noi. Bannister sa bene quanto me che basterebbe un razzo per far accostare il Kite. Non sprecherebbe razzi per niente. Ascoltate come chiama!”
Il Grotkau fischiò per cinque minuti e dopo ci furono altri razzi… una vera e propria esibizione.
“Questo non è per i marinai del traffico regolare” disse Bell.
“Hai ragione, Mac. Questo è per una cabina piena di passeggeri”.
Guardò con il binocolo notturno strizzando gli occhi verso sud, dove c’era un po’ di foschia. “Cosa riuscite a vedere?” domandai.
“Un transatlantico” rispose.
“Ecco i razzi. Oh, sì, hanno svegliato il capitano gallonato… e ora hanno svegliato i passeggeri. Accendono le luci, cabina dopo cabina. Ecco un altro razzo! Stanno andando al salvataggio di naufraghi in alto mare”. “Datemi il binocolo!” dissi.
Ma Bell ballava sul ponte di comando come impazzito. “La posta… la posta… la posta!” diceva.
“È sotto contratto con il governo per il debito recapito della posta; e per questo motivo, Mac, come saprete, può effettuare salvataggi in mare, ma non può rimorchiare! Non può rimorchiare! Ecco il segnale luminoso. Arriverà fra mezz’ora!”
“Dio mio!” affermai. “E noi qui risplendiamo con tutti questi fanali. Oh Bell, che cretino siete!”.
Lui si precipitò sul ponte di prua, io di poppa, e i fanali vennero spenti subito, il boccaporto della sala macchine venne chiuso, e noi restammo completamente al buio a osservare le luci del transatlantico a cui il Grotkau aveva inviato i segnali che si avvicinava. Arrivò a venti nodi, ogni cabina illuminata e le lance che scendevano. Il salvataggio fu portato magnificamente a termine, e nel giro di un’ora. La nave si fermò come la carrozza della signora Holdock; scese la passerella, scesero le lance e in dieci minuti udimmo i passeggeri esultare e vedemmo la nave andarsene. “Ne parleranno per tutta la vita” disse Bell.
“Un salvataggio in mare di notte, bello come una commedia. Il giovane Bannister e Calder staranno bevendo nel salone e fra sei mesi la Camera di Commercio regalerà al capitano un bel binocolo. È davvero una cosa tutta filantropica”. Rimanemmo nei paraggi fino all’alba (potete immaginare come ci stancammo gli occhi ad aspettare) e il Grotkau rimase lì, con il naso un po’ in aria, a fissarci. Aveva un’aria ridicola.
“Si starà riempiendo di acqua a poppa” disse Bell, “altrimenti perché la poppa è mezza sommersa? L’albero dell’elica gli ha fatto un buco, e noi non abbiamo lance. Ci saranno trecentomila sterline, in una stima al ribasso, che affondano davanti ai nostri occhi. Che cosa facciamo?” e in un attimo gli si scaldarono nuovamente i cuscinetti: era un uomo senza moderazione.
“Avviciniamoci il più possibile” dissi. “Datemi un salvagente e una cima, e raggiungerò la nave a nuoto”. C’era un pezzetto di mare e con il vento faceva freddo… molto freddo; ma il giovane Bannister e Calder e gli altri erano sbarcati come passeggeri, lasciando la passerella dal lato sottovento.
Rifiutare quell’invito sarebbe stato come dare uno schiaffo in faccia alla Provvidenza. Eravamo a meno di cinquanta metri da lei e Kinloch mi spalmava di olio da capo a piedi nella cucina; e quando gli passammo accanto me ne andai fuori bordo al salvataggio di trecentomila sterline. Credetemi, faceva freddo da morire, ma feci il mio lavoro magistralmente e arrivai raschiando l’intera murata fino all’estremità della passerella. Nessuno era più stupito di me, ve lo assicuro. Senza neanche riprendere fiato mi sbucciavo le ginocchia sulla passerella e mi arrampicavo a bordo prima della nuova rollata.
Attaccai velocemente la mia cima alla battagliola e mi diressi a poppa verso la cabina del giovane Bannister, dove mi asciugai con tutto quello che trovai al suo interno e mi misi addosso le cose più impensabili per rimettere in circolo il sangue. Ricordo che trovai tre paia di mutande tanto per cominciare, e mi servivano tutte. Non ho mai provato così tanto freddo in vita mia. Poi mi diressi a poppa, in sala macchine. Il Grotkau “era seduto sulla sua coda” come si suol dire.
Aveva l’albero cortissimo e i macchinari tutti a poppa. Nella sala macchine c’era un metro e mezzo circa di acqua nera e oleosa che scivolava da una parte all’altra; forse addirittura un metro e ottanta. Le porte delle caldaie erano avvitate fino in fondo e le caldaie erano abbastanza isolate, ma per un attimo lo stato della sala macchine mi trasse in inganno. Solo per un attimo però, perché non ero, per così dire, calmo come al solito. Diedi un’altra occhiata per essere sicuro. Era solo acqua nera di sentina: acqua stagnante, che doveva essere entrata fortuitamente, sapete com’è».
«McPhee, io sono solo un passeggero» lo interruppi, «ma non riuscirete a farmi credere che un metro e ottanta di acqua fosse entrato nella sala macchine fortuitamente».
«E chi sta cercando di farvi credere una cosa o l’altra?» ribatté McPhee. «Io sto riferendo i fatti del caso, i puri e semplici fatti. Un metro e ottanta o due metri di acqua stagnante nella sala macchine sono uno spettacolo davvero deprimente se pensate che ce ne sia dell’altra in arrivo; ma io non lo ritenni possibile, perciò, come noterete, non ero depresso».
«È tutto molto interessante, ma voglio sapere di più riguardo all’acqua» dissi.
«Ve l’ho già detto. C’erano un metro e ottanta, o forse di più, di acqua lì, con il cappello di Calder che galleggiava».
«Da dove arrivava?»
«Beh, nella confusione generale, dopo il cedimento dell’albero dell’elica e con le macchine in piena attività, è possibile che sia caduto dalla testa di Calder e che lui non si sia preoccupato di recuperarlo. Ricordo di avergli visto quel cappello in testa a Southampton».
«Non mi interessa del cappello. Voglio sapere da dove era arrivata l’acqua e cosa ci faceva lì, e perché eravate così sicuro che non fosse una falla, McPhee».
«Per una buona ragione… una ragione buona e sufficiente».
«Ditemela, allora».
«Beh, è una ragione che non riguarda soltanto me. Per essere precisi, io sono dell’idea che l’acqua fosse dovuta in parte a un errore di valutazione di un’altra persona. Tutti possiamo sbagliare».
«Vi chiedo scusa! Continuate». «Tornai sulla battagliola e Bell mi gridò: “Qualcosa non va?” “Ce la farà” risposi. “Mandatemi un cavo di ormeggio e un uomo per aiutarmi a governarla. Lo tirerò su con la cima”. Vidi scuotere delle teste, e con il vento mi arrivarono un paio di parolacce. Poi Bell disse: “Nessuno di loro se la sente in quest’acqua, eccetto Kinloch, ma io non posso fare a meno di lui”. “Un compenso maggiore per me, quindi” affermai. “La rimorchierò da solo”.
A questo punto uno di loro mi chiese: “Pensate che sia sicura?”
“Non vi garantisco nulla” risposi.
“Eccetto forse una martellata per avermi fatto aspettare così tanto”.
Allora lui gridò: “C’è solo un salvagente e non riescono a trovarlo, altrimenti verrei”.
“Buttatelo giù, quel codardo” gridai, poiché ormai avevo perso la pazienza; così quelli presero il volontario prima che potesse rendersi conto di quello che stava succedendo e lo gettarono vicino alla mia cima.
Io lo tirai su e dopo che gli ebbi fatto sputare l’acqua salata fu una recluta benvenuta: bisogna dire che non sapeva nuotare. Quindi legarono un cavo di ormeggio di cinque centimetri alla cima e quest’ultima a un gherlino e io passai il cavo intorno al tamburo di un arganello a mano a prua, tirammo con molta fatica il gherlino a bordo e lo attaccammo velocemente alle bitte del Grotkau.
Bell portò il Kite talmente vicino che temetti che urtasse e danneggiasse il fasciame del Grotkau. Mi lanciò un’altra cima e si diresse a poppa, poi noi dovemmo ripetere quel lavoro faticoso con l’arganello e un secondo gherlino. Però Bell aveva ragione: avevamo un lungo lavoro di rimorchio da fare, e nonostante la Provvidenza ci avesse aiutato fino a quel momento, non aveva senso lasciar fare troppo a lei.
Quando il secondo gherlino fu in posizione, ero bagnato di sudore e gridai a Bell di recuperare l’imbando e di tornare a casa.
L’altro uomo aiutava nel lavoro chiedendo qualcosa da bere, ma io gli dissi che doveva bere con una mano e governare con l’altra, cominciando con il governare perché io smontavo. Lui governò… beh, governò per modo di dire. Per lo meno afferrò le maniglie del timone e lo girò, dandosi un’aria da esperto, ma dubito che la Meretrice se ne fosse accorta. Io rientrai nella cabina del giovane Bannister e feci una lunga dormita. Mi svegliai rabbioso dalla fame, con il mare piuttosto mosso, e con il Kite che si muoveva a quattro nodi; e il Grotkau che si immergeva di prua, straorzava, si poggiava ovunque. Fu un rimorchio vergognoso. Ma la cosa peggiore di tutte fu il cibo. Misi insieme un pasto frugando fra gli scaffali della cucina, nella dispensa, nell’infermeria e nelle cabine, un pasto che non avrei dato nemmeno al secondo di una carboniera di Cardiff; e come sapete, noi diciamo che il secondo di una carboniera si mangerebbe anche le scorie pur di evitare gli sprechi.
Era semplicemente disgustoso! La ciurma aveva scritto cosa ne pensava sulla vernice fresca del castello di prua, ma io non avevo vicino un’anima con cui lamentarmi. Non avevo niente da fare tranne guardare il gherlino e la poppa del Kite che si adagiava nell’acqua bianca quando si sollevava su un’onda. Perciò diedi vapore alla pompa ausiliaria di poppa e tirai via l’acqua dalla sala macchine. Non aveva senso lasciare dell’acqua libera in una nave.
Quando il compartimento si fu asciugato, entrai nel buco dell’albero dell’elica e vidi che la nave faceva un po’ d’acqua dal pressatrecce, ma niente di grave. L’elica era saltata via proprio come mi aspettavo e Calder era rimasto ad aspettare che si staccasse con la mano sulla leva.
Me lo raccontò dopo, quando lo ritrovai sulla terraferma. Non c’era niente di rotto o di deformato. L’elica era solo scivolata sul fondo dell’Atlantico con la stessa facilità con cui un uomo muore senza preavviso… un affare provvidenziale per tutti noi. Poi feci il punto sulle attrezzature del Grotkau. Le scialuppe si erano sfasciate sulle loro gru, qui e lì mancava un pezzo di battagliola, una o due maniche a vento erano sparite, la battagliola del ponte di comando si era curvata a causa delle onde; i boccaporti, però, erano stagni e la nave non sembrava aver subito danni. Arrivai al punto di odiarla come fosse un essere umano, perché ci rimasi per otto estenuanti giorni, a morire di fame a una lunghezza di cavo dall’abbondanza. Trascorsi le giornate in cabina a leggere Il nemico delle donne, il più grande libro che Charles Reade abbia mai scritto, e a mangiare qualcosa di tanto in tanto.
Fu un lavoro noiosissimo. Otto giorni a bordo del Grotkau e nessun pasto completo. Non c’è da biasimare la ciurma perché non c’era voluta rimanere. L’altro uomo? Oh, lo feci lavorare con la scusa di tenerlo in forma. Si alzò il vento quando entrammo in acque basse, e ciò mi costrinse a stare vicino ai gherlini, incollato all’arganello e a barcamenarmi tra i marosi verdi. Quasi morii per il freddo e la fame, perché il Grotkau teneva il rimorchio come una chiatta e Bell lo sbatteva da tutte le parti. Inoltre, nella Manica c’era una nebbia molto fitta.
Rimanemmo in piedi per fare un po’ di luce e quasi investimmo due o tre pescherecci che ci gridarono che eravamo vicini a Falmouth. Poi fummo quasi uccisi da una bananiera straniera che brancolava tra noi e la costa, perché la nebbia diventava sempre più fitta quella notte e potevo sentire dal rimorchio che Bell non sapeva dov’era.
Santiddio, lo scoprimmo la mattina, poiché il vento soffiò via la nebbia come se spegnesse una candela, e spuntò il sole; e com’è vero che McRimmon mi ha consegnato il mio assegno, l’ombra di Eddystone si stendeva sul gherlino da rimorchio! Eravamo così vicini… sì, così vicini! Bell virò il Kite così bruscamente che quasi strappò le bitte del Grotkau, e ricordo che ringraziai il Creatore nella cabina del giovane Bannister, quando fummo all’interno del frangiflutti di Plymouth. Il primo a salire a bordo fu McRimmon con Dandie. Vi ho detto che i nostri ordini erano di portare a Plymouth tutto ciò che avremmo trovato? Il vecchio diavolo era arrivato la notte prima, avendo fatto due più due in base a ciò che gli aveva raccontato Calder quando il transatlantico aveva sbarcato la ciurma del Grotkau. Aveva indovinato con precisione il nostro orario di arrivo.
Avevo chiesto a Bell qualcosa da mangiare e lui me lo mandò sulla stessa nave con cui arrivò McRimmon, quando il vecchio venne a trovarmi. Sorrideva, si dava delle botte sulle gambe e sollevava le sopracciglia mentre io mangiavo.
“Cosa danno da mangiare ai loro uomini Holdock, Steiner & Chase?” mi chiese.
“Potete immaginarlo” risposi, facendo saltare il tappo di un’altra bottiglia di birra.
“Non ho firmato per morire di fame, McRimmon”.
“E nemmeno per nuotare” disse lui, perché Bell gli aveva raccontato di come avevo portato a bordo la cima di ormeggio.
“Beh, credo che non ci abbiate rimesso. Quale carico che avremmo potuto imbarcare nel Lammergeyer avrebbe potuto eguagliare il salvataggio di quattrocentomila sterline, tra scafo e merce? Eh, McPhee? Quelli della ditta Holdock, Steiner & Chase si mangeranno il fegato. Vero, McPhee? Sto soffrendo di demenza senile ora? Eh, McPhee? E non sono pazzo finché non inizio a verniciare il Lammergeyer? Eh, McPhee? Puoi proprio alzare la zampa, Dandie! Mi fanno tutti ridere. Avete trovato dell’acqua nella sala macchine?” “A dire la verità” risposi, “c’era dell’acqua”.
“Hanno pensato che stesse affondando dopo che l’elica è scivolata via. Imbarcava acqua con straordinaria rapidità. Calder ha detto che a lui e a Bannister è dispiaciuto abbandonarla”.
Pensai alla cena al Radley’s e a che razza di cibo avevo mangiato per otto giorni. “Gli sarà dispiaciuto da morire” dissi. “Ma l’equipaggio non ne ha voluto sapere di restare e correre il rischio. Vanno a dire in giro che avrebbero preferito morire di fame”.
“Sarebbero morti di fame se fossero rimasti a bordo” dissi io.
“A quanto dice Calder è stato un mezzo ammutinamento”.
“Lo sapete meglio di me, McRimmon” dissi.
“Parlando francamente, visto che siamo tutti sulla stessa barca, chi ha aperto la presa d’acqua della sentina?”
“Eh? Cosa?” disse il vecchio e io mi accorsi che era sorpreso.
“La presa d’acqua della sentina, avete detto?”
“Almeno credo che fosse una presa d’acqua della sentina. Quando sono salito a bordo erano tutte chiuse, ma qualcuno aveva allagato la sala macchine fino a due metri e mezzo e l’aveva chiusa con le viti e gli ingranaggi dal secondo carabottino”.
“Oh, Signore!” disse McRimmon.
“L’iniquità umana va oltre ogni immaginazione. Ma sarebbe una vergogna per Holdock, Steiner & Chase se questo dovesse venire fuori in tribunale”.
“È solo una mia curiosità” dissi.
“Bene, Dandie è afflitto dalla medesima malattia.
Dandie lotta contro la curiosità, poiché la curiosità porta i cagnolini in trappola. Dov’era il Kite quando quel transatlantico verniciato ha preso a bordo l’equipaggio del Grotkau?”
“Proprio lì, o nei paraggi” risposi.
“E chi di voi due ha avuto l’idea di coprire i fanali?” chiese ammiccando.
“Dandie” mi rivolsi al cane, “dobbiamo entrambi lottare contro la curiosità. È un affare che non dà profitti. Qual è la nostra possibilità di salvezza, Dandie?”. Rise fino a soffocare.
“Prendete quello che vi do, McPhee, e accontentatevi” disse.
“Oh, Signore, quanto tempo si perde quando si diventa vecchi. Salite a bordo del Kite, il prima possibile. Mi sono completamente dimenticato di dirvi che c’è un carico per il Baltico che vi aspetta a Londra. Quello sarà il vostro ultimo viaggio, credo, salvo quelli che farete per piacere”.
La ciurma di Steiner stava salendo a bordo per prendere il controllo della nave e rimorchiarla e io, dirigendomi verso il Kite, incrociai Steiner figlio su una barca. Ci guardava dall’alto in basso, ma McRimmon iniziò a gridare: “Ecco l’uomo al quale dovete il Grotkau, a caro prezzo Steiner, a caro prezzo! Lasciate che vi presenti il signor McPhee. Forse lo conoscete già, ma avete davvero poca fortuna nel tenervi i vostri uomini, a terra e in mare!”
Il giovane Steiner sembrava abbastanza infuriato da poterlo mangiare vivo mentre quello ridacchiava e tossiva nella sua vecchia gola secca.
“Non avete ancora avuto il vostro compenso” disse Steiner.
“Già, già” disse il vecchio, strillando a tal punto che l’avrebbero potuto sentire al The Hoe, “ma io ho due milioni di sterline e nessun figlio, caro ebreo Apella, se avete intenzione di andare in causa; e vi farò sborsare una sterlina dopo l’altra, fino all’ultima. Mi conoscete, Steiner! Sono McRimmon della ditta McNaughten & McRimmon!”
“Accidenti” disse a denti serrati, rimettendosi a sedere nella barca, “ho aspettato quattordici anni per rovinare quella ditta di ebrei e ringraziando Dio adesso ci riuscirò”.
Mentre il vecchio faceva la sua parte, il Kite era nel Baltico, ma so che i periti valutarono il Grotkau, complessivamente, più di trecentosessantamila sterline (il suo manifesto di carico sfoggiava una ricchezza dopo l’altra) e McRimmon ne ebbe un terzo per aver recuperato una nave abbandonata. Vedete, c’è una grande differenza fra il rimorchiare una nave con l’equipaggio a bordo e recuperare un relitto… una grande differenza… in sterline. Inoltre, due terzi dell’equipaggio del Grotkau morivano dalla voglia di testimoniare sul cibo e c’era una relazione di Calder indirizzata al Consiglio, riguardo l’albero dell’elica, che sarebbe stata davvero dannosa per gli armatori se fosse arrivata in tribunale. Perciò quelli capirono che sarebbe stato meglio non andare in causa. Finalmente il Kite tornò e McRimmon pagò personalmente me, Bell e il resto della ciurma pro rata, si dice così se non sbaglio. La mia quota, la nostra quota dovrei dire, era precisamente di venticinquemila sterline».
A questo punto Janet si alzò e lo baciò. «Venticinquemila sterline. Ora, io sono del nord e non sono il tipo che butta i soldi, ma darei sei mesi di paga… centoventi sterline… per sapere chi ha allagato la sala macchine del Grotkau. Sono abbastanza ben informato sulle peculiarità di McRimmon e sono sicuro che non vi abbia a che fare. Non è stato Calder, perché gliel’ho chiesto, e voleva prendermi a pugni. Sarebbe stata una cosa estremamente contraria al dovere professionale da parte di Calder, non il prendermi a pugni ma l’aver aperto le prese d’acqua di sentina… tuttavia per un momento ho pensato che fosse stato lui. Sì, ho creduto che fosse stato lui, preso dalla tentazione».
«Che teoria avete?» domandai.
«Beh, sono incline a pensare che sia stato uno di quei casi singolari che ci ricordano che siamo nelle mani di Poteri Superiori».
«Non potrebbe essersi aperta e chiusa da sola?»
«Non dico quello; ma potrebbe essere che l’abbia aperta qualche oliatore mezzo morto di fame, o forse qualche stivatore per avere la certezza di poter abbandonare il Grotkau. È una cosa demoralizzante vedere una sala macchine che si allaga dopo un incidente alle macchine… una cosa demoralizzante e ingannevole. Beh, l’uomo ha ottenuto quello che voleva, perché l’equipaggio è salito a bordo del transatlantico gridando che il Grotkau stava affondando. Ma è interessante pensare alle conseguenze. Secondo le probabilità umane, adesso quell’uomo è condannato a lavorare a bordo di un’altra nave da carico; e io sono qui, con venticinquemila sterline in banca, deciso a non tornare più in mare, felice è la parola precisa, tranne che come passeggero, se tu vorrai, Janet».
***
McPhee mantenne la parola. Lui e Janet partirono per un viaggio come passeggeri di prima classe. Pagarono settanta sterline per la loro cabina e Janet conobbe una donna molto malata in seconda classe, cosicché per sedici giorni visse sottocoperta a chiacchierare con le cameriere ai piedi delle scale della seconda classe, mentre la sua paziente riposava. McPhee fu passeggero per ventiquattro ore esatte. Poi, la mensa dei macchinisti (quella dove ci sono i tavoli con tela cerata) lo accolse gioiosamente tra le sue braccia e per il resto del viaggio la compagnia si arricchì dei servizi gratuiti di un macchinista altamente qualificato.