Sur pubblica Anatomia sensibile di Andrés Neuman,. Un libro che celebra il corpo in tutte le sue forme e un tributo alla bellezza non convenzionale scritto nella forma di un viaggio poetico, politico ed erotico alla scoperta di ciò che siamo veramente. Un libro che racconta come vediamo noi stessi e come ci guardiamo attraverso gli occhi degli altri, proponendo un ideale estetico dissacrante e inclusivo che mira a scardinare i pregiudizi di genere e sull’apparenza.
Cattedrale pubblica alcuni estratti della raccolta, per gentile concessione dell’editore.
La bocca sentinella
di Andrés Neuman
traduzione di Silvia Sichel
Capricciosa, parla a nome del corpo intero. È piena d’altri. La sua ansia trova origine nelle sue mansioni in fondo incompatibili: esternare e ingerire, proferire e trangugiare.
Molta gente chiacchierina manovra una bocca piccola, come se la cavità si sforzasse di restringere il discorso. Per lo stesso principio, una bocca smisurata può rappresentare parlanti timidi, che amministrano con prudenza quel portento.
Esiste la bocca pozzo. Profonda e umida. Ogni volta che si apre, qualcuno affoga. Dall’accurata rifinitura, la bocca sibilante rimane acquattata. Tra il benvenuto e il disprezzo passa appena un millimetro. La bocca bislunga forza le guance come la finestra il muro, facendo gargarismi di luce. Molto diversa è l’asimmetrica, in cui un labbro dissente dall’altro, in una discussione capace di poligoni inauditi.
Secondo la matematica boccale, se al primo labbro sottraiamo il secondo, si rivela l’incognita. Due più due fa un bacio, tatuaggio che non dura. Incurvandosi il piano, lanciano una parabola. Dalla mira di quel sorriso dipende la grandezza della bocca.
Ci sono labbra che si astengono e si ripiegano. Ce n’è di così gonfie che ostruiscono il linguaggio. Al labbro prominente spetta il protagonismo dell’alunno sapientone; e anche la sua vulnerabilità. Di tanto in tanto spunta un labbro superiore che si direbbe leggermente rialzato da un dito, come se gli chiedesse discrezione. Quelle ben disegnate sono patriote della bocca: ne delimitano il territorio anche senza parlare.
Rinunciando a ogni proselitismo, il labbro pallido sfuma. Quello rosso sottolinea i propri diritti, si delizia nella sua tonalità, cospira con la gengiva. Quello rosa diventa interessante in vecchiaia, conquista la nostra attenzione quando avvizzisce. Quello violaceo raggiunge la pienezza nell’inverno e il labbro scuro è forse il migliore a far nottata.
L’oreficeria della bocca esagera coi denti, opere maestre d’erosione. Ciascuno è il filo di un desiderio: quelli appuntiti chiedono, quelli rotti pregano. Nessuno di essi morde senza il permesso del labbro, dimostrando che la tenerezza governa la ferocia.
Il dente bianco si dà arie da smoking, risalta nelle feste e ha timore dell’alba. Quelli storti hanno un che di danza ebbra. Il dente giallo prova un pizzico di vergogna e, però, quanta sincerità nel suo smalto. I piccolini rosicchiano le parole con rigore aforistico. Tuttavia, niente è paragonabile al fascino puerile dei denti spaziati, tra cui s’intrufola, clandestina, l’allegria.
Con il masticare degli anni, i denti si riempiono di ingegnerie. I loro rilievi sono sferzati da minuscole inclemenze. L’intera dentatura inizia allora una lenta partita a scacchi, che si concluderà immancabilmente con la sconfitta dei pezzi bianchi.
Predicando tra i denti, la lingua batte il tempo e punteggia la nostra prosa. Attende la venuta della frase successiva, sentinella nel silenzio, sotto il cielo del palato.
Biasimo del braccio e lode del gomito
[…]
Nessuna di tali questioni si può paragonare al sacrificio, all’umiltà del gomito. La nostra esperienza vi si accumula e lascia un’impronta arida. Senza il suo provvidenziale contributo, il braccio sarebbe inadeguato alla rettifica o alla sottigliezza, ridotto a una specie di ossessione rettilinea. Chi, se non il gomito, sa essere insieme punto d’appoggio e di inflessione? Chi regge l’attesa e sopporta gli strusci, esponendo la propria corteccia per il bene del ramo? Cantare le lodi del suo silenzio è giustizia poetica.
Più è vivo, più è brutto: nessuno adora il gomito, paria della bellezza. Un giorno o l’altro lo vedremo sollevarsi per attuare la sua piccola rivoluzione sensuale.