Esce oggi 21 Novembre 2019, La babysitter e altre storie, l’attesa raccolta di racconti di Robert Coover, pubblicata da NN editore; un libro che ripercorre la carriera di uno dei padri della letteratura americana.
Ognuna di queste trenta storie si avventura oltre i confini della realtà, catapultando il lettore in universi fantastici come quelli dell’Uomo Invisibile o dei cartoni animati, oppure riscrivendo le narrazioni del mondo occidentale, dalla Bibbia alle fiabe classiche, dai film ai fumetti. Ciascun racconto è stato affidato alla traduzione di trenta traduttori, che hanno restituito la potenza evocativa linguistica di questo autore preciso e denso.
L’editore di NN Eugenia Dubini, commenta così l’idea del progetto: “Mi sembrava che far tradurre a 30 diversi traduttori 30 racconti di Robert Coover riuscisse a restituire l’infinità di voci di questo scrittore”.
La curatela è affidata a Luca Pantarotto e Serena Daniele.
Cattedrale vi anticipa uno dei racconti della raccolta, con la collaborazione di NN Editore, dandovi appuntamento a un approfondimento con le voci che hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto.
Farsi una birra
Robert Coover
Traduzione di Laura Noulian
Si ritrova seduto nel bar del quartiere a bere una birra proprio nel momento in cui comincia a pensare di andar lì a berne una. In realtà l’ha già finita. Forse può ordinarne un’altra, pensa, mentre se la scola e ne ordina una terza. C’è una donna giovane seduta non lontano da lui che non è esattamente attraente, ma lo è comunque quanto basta, e ha l’aria di essere brava a letto, come in effetti è. Lui l’ha finita quella birra? Non se lo ricorda. Conta solo una cosa: gli è piaciuto godere? Ma ha goduto davvero? Questo si chiede uscendo dall’appartamento di lei e tornando a casa lungo le strade nebbiose. L’appartamento era pieno di bambole Kewpie, di quelle che si vincono al luna park, e si sono dati appuntamento, lui ricorda, per andarci insieme. E lì lei ne vince un’altra: è qualcosa per cui ha talento. Dopodiché eccoli di nuovo nell’appartamento di lei, si spogliano, la donna eccitata stringe fra le braccia la nuova bambola in un letto che ne è pieno. Lui non ricorda da quanto tempo non dorme, e fatica a trovare, barcollando per le strade notturne, ancora nebbiose, la via di casa, quanto all’orgasmo, ammesso ne abbia avuto uno, gli sta già svanendo dalla memoria. Forse dovrebbe portarla di nuovo al luna park, pensa, dove lei vincerà un’altra bambola Kewpie (questo è quantomeno il loro secondo appuntamento, se non il quarto), e stavolta vanno a farsi un romantico cicchetto notturno nel bar in cui si sono incontrati la prima volta. Dove un tipo muscoloso comincia a importunarla. Lui interviene e se la vede spuntare accanto al letto in ospedale: gli ha portato una delle bambole Kewpie perché gli faccia compagnia. Questo è il modo in cui la donna vuole esprimere il legame che c’è fra loro, o così lui suppone, mentre lascia l’ospedale sulle stampelle, non sapendo di preciso in quale parte della città si trovi. O in quale parte dell’anno. Decide che è tempo di darci un taglio – lei lo sta facendo uscire matto – ma poi il tipo muscoloso si presenta al loro matrimonio e si scusa per le botte che gli ha dato. Non aveva capito, dice, quanto fosse seria la loro storia. I regali di nozze del tipo sono un buono per due birre al bar dove si sono conosciuti e un paio di nastri di satin bianco per le stampelle. Durante la cerimonia sia lei che lui hanno in mano una bambola Kewpie, il che probabilmente ha un significato molto poco recondito, come in effetti si dimostrerà presto. Il bambino che lei gli dà, suo o di un altro, gli ricorda, come se ne avesse bisogno, che il tempo scorre veloce. Ora lui ha delle responsabilità e decide di verificare se sia ancora suo il lavoro che svolgeva quando l’ha conosciuta. Lo è. La sua assenza, ammesso che sia stato assente, non viene rimarcata, ma neanche si congratulano con lui per il matrimonio, senza dubbio perché – se ne ricorda ora – prima di conoscere la moglie lui aveva una relazione con una collega e c’era stata già una festa di fidanzamento organizzata dai colleghi, i quali ora devono avercela con lui per i soldi che hanno speso per i regali. È imbarazzante, e l’atmosfera in qualche modo è ostile, ma lui ha un bambino all’asilo e un altro in arrivo, quindi cosa può fare? Be’, non ha ancora utilizzato il buono, così, innanzitutto, che diavolo, può farsi una birra, due in realtà, e può permettersene una terza. C’è una donna giovane seduta vicino a lui e ha l’aria di essere brava a letto, ma non è sua moglie e lui non vuole commettere adulterio, o almeno così si dice mentre è seduto sul bordo del letto di lei con i pantaloni attorno alle caviglie. Se li sta togliendo o se li sta mettendo? Non lo sa, ma ora se li tira su e torna a casa zoppicando, avendo lasciato chissà dove le stampelle coi nastri. Rincasando trova tutte le bambole Kewpie, che da quando sono cominciati ad arrivare i bambini sono state collocate su uno scaffale, sparse qui e là per l’appartamento, decapitate e mutilate. Uno dei bambini piange e lui, dopo aver messo sul fornello il latte per il biberon, va nella camera del piccolo per calmarlo e, appuntato sul pigiamino, trova un biglietto della moglie, in cui dice di essere andata in ospedale a partorire un altro figlio e che sarà meglio che lui non si faccia trovare a casa quando ritorna, perché altrimenti lo ammazza. Lui le crede, e poco dopo è di nuovo per strada, e si chiede se ha poi dato il biberon al piccolo o se il latte è ancora sul fornello. Passa davanti al bar del vecchio quartiere ed è tentato di entrare ma decide di avere avuto già tanti guai quanti ne bastano per un’intera vita e sta per proseguire quando viene intercettato dall’energumeno che lo aveva picchiato e che ora gli offre un sigaro perché è appena diventato padre e lo trascina nel bar per festeggiare l’evento con un cicchetto, o meglio svariati cicchetti, lui ha perso il conto. In ogni caso i festeggiamenti sono già finiti e il neo padre, che ha sposato la stessa donna che ha buttato lui fuori di casa, piange sulla sua birra le miserie della vita matrimoniale e si congratula con lui perché ne è uscito, che uomo fortunato. Lui però non si sente affatto fortunato, soprattutto quando vede una donna giovane seduta vicino a loro, che ha l’aria di essere brava a letto, e decide di proporle di andare da lei ma è troppo tardi: lei sta uscendo dal bar con il tipo che lo ha picchiato e che gli ha rubato la moglie. E a quel punto lui si fa un’altra birra, e si chiede dove andare a vivere adesso, e rendendosi conto – è il barista che glielo dice, allungandogli un’altra birra gratis – che la vita è breve e brutale e che prima ancora di rendersene conto uno è già bello che morto. Il barista ha ragione. Dopo qualche altra birra, e qualche altro orgasmo, alcuni li ricorda vagamente, la maggior parte no, uno dei suoi figli, ora pilota di macchine da corsa e presidente della stessa società per la quale lui lavorava un tempo, viene a trovarlo mentre è sul letto di morte e, scusandosi per il notevole ritardo (Sono andato a farmi una birra, papà, sai come vanno queste cose), gli dice che sentirà la sua mancanza ma che probabilmente è meglio così. Perché è meglio così? chiede lui, ma suo figlio se n’è andato, ammesso che sia mai venuto davvero. Be’... sa... la vita, dice lui all’infermiera che è venuta per coprirgli il viso col lenzuolo e a portarlo via sul letto a rotelle.