Premiato con il Kirkus Prize, il New York Public Library’s Young Lions Award e il Commonwealth Short Story Prize per l’Africa, Quando un uomo cade dal cielo, di Lesley Nneka Arimah, è una raccolta di storie che spazia dal realismo al racconto fantastico, tutte legate dallo stesso filo: le loro protagoniste femminili. La scrittura di Lesley Nneka Aarimah, la sua capacità di fissare con poche parole un momento decisivo, di descrivere i sentimenti con grande lucidità, sono la chiave di un talento che ha ancora molto da dire.
Cattedrale vi propone il racconto che apre la raccolta, per gentile concessione dell’editore e The Italian Literary Agency.
Il futuro promette bene
Ezinma traffica con le chiavi nella serratura e non vede cosa le arriva alle spalle: suo padre quando era ancora un bambinetto adorabile, lì a contendersi l’amore della propria madre. La nonna, riempita di lavoro fino al collo da donne a cui spolverava la casa, lavava la biancheria, puliva il culo dei figli; riempita di lavoro da un marito che voleva molti figli maschi, e dagli uomini con cui lei si intratteneva per farli; una donna che vigila sul figlio fino ai suoi tredici anni con la precisione di un’infermiera e che poi muore nel suo letto con un lungo, esausto sospiro. Qualche tempo dopo la matrigna guarda il ragazzino come si guarderebbe un cane randagio che si presenta alla porta abbastanza spesso da riconoscerne il muso, ma dio la fulmini se lo farà entrare in casa. Danzano l’uno attorno all’altra, il bambino avanzando determinato a passo di valzer, la donna allontanandosi con piroette. È la maggiore di troppi figli e sa quanto i bisogni di un bambino possano prosciugare i sogni di una ragazza. Il piccolo vede solo le sue spalle voltate, il rifiuto, mentre suo padre ignora la cosa, accecato dalla gioia di essere un uomo vecchio con una moglie giovane e ancora fertile. Non la vuole condividere con nessuno. E quando il ragazzino ha quindici anni e tornando dal mercato trova tutte le sue cose in due buste di plastica sui gradini di casa, non bussa nemmeno per scoprire il perché o per chiedere dove dovrebbe andare, ma insieme ad altri senzamadre occupa un bungalow costruito a metà e abbandonato, dove gli vengono rubate le sue due camicie migliori e impara a portarsi sempre dietro tutti i suoi soldi. Mendica, vende rottami di ferro, ruba, e questa terza cosa gli riesce così facile che diventa la sua via di fuga. Inizia in piccolo, scippando borse e sgraffignando merce da banconi del mercato incustoditi. Poi impara a scassinare le serrature, a mettere in moto automobili senza la chiave, diventa sempre più bravo. Quando ha ventun anni, arriva la guerra, e mentre la gente festeggia nelle strade e urla «Biafra! Biafra!» lui inizia a fare scorte di beni. Quando in giro non c’è più niente, fa una fortuna. E quando anche il cibo comincia a scarseggiare, saccheggia le fattorie nel cuore della notte, che è come ha conosciuto sua moglie, e perché Ezinma, trafficando con le chiavi nella serratura, non vede cosa le arriva alle spalle: sua madre a ventidue anni, non proprio una bellezza ma con l’aspetto sano di una persona che non ha mai sofferto la fame. Una ragazza sfrontata che prende più di quello che le viene offerto. È il 1966, mesi prima che cambi tutto, la madre si trova a una festa a casa di amici dei suoi e c’è un uomo, la pelle gialla come un mango, la mascella squadrata e un fisico come la statua del David; le donne senza marito sfoderano tutte le loro armi (sorrisi seducenti, décolleté abbondanti, personalità servizievoli) e si battono per lui. Quando alla fine è lei a spuntarla, prende la vittoria come se le fosse dovuta. Quasi un anno dopo l’inizio del corteggiamento arriva la guerra. La famiglia di lei è leale alla repubblica del Biafra, quella di lui pensa che Ojukwu sia un pazzo. La sera della festa di fidanzamento ci sono solo i parenti della ragazza. E quando lei l’indomani va a trovarlo, scopre che lui ha lasciato il paese.
La famiglia di lei viene presto costretta a lasciare la città, presto costretta a barattare le cose che era riuscita a portare con sé, e infine costretta quasi a mendicare. Per la prima volta nella sua vita, il cibo scarseggia così tanto che di notte la giovane donna si intrufola di nascosto nelle fattorie e raccoglie furtivamente tenere piante di granturco non ancora cresciute del tutto. Bollite diventano così morbide che mangia sia la parte più interna sia le foglie esterne. Una sera s’imbatte in una piccola fattoria nascosta dietro una collina dove incontra un uomo che ruba patate dolci novelle che avrebbero potuto essere sue. Ma non c’è storia: lui è ben nutrito e forte, e anche se lei provasse a dare l’allarme per dispetto, lui riuscirebbe a zittirla. L’uomo però mette un dito sulle sue labbra e le dà una patata. Ed essendo quella che è, lei gli fa segno di dargliene due. Lui gliene passa un’altra e lei scappa via. Quando la sera successiva torna alla fattoria, lo trova ad aspettarla. Gli si siede accanto e ascoltano i grilli e i respiri uno dell’altra. Quando lui la cinge con un braccio, lei gli si appoggia contro e piange per la prima volta dalla festa di fidanzamento di molti mesi prima. Quando le mette una patata in grembo, lei ride. E quando le prende una mano, pensa: “Valgo tre patate dolci”. Avrà due figlie. La prima la chiama Biafra per sfida, come a dire: “Ecco, mamma, riponi le speranze in un’altra cosa fragile”. E alla seconda dà il nome di sua madre, che a quel punto è morta e non sa che sua figlia l’ha perdonata per avere scelto il lato perdente e ha chiamato la propria figlia più piccola Ezinma, che traffica con le chiavi nella serratura e non vede cosa le arriva alle spalle: sua sorella, che tutti hanno cominciato a chiamare Bibi, perché non ha senso chiamare una bambina come un paese che non esiste. Bibi, bella come sua madre non è mai stata. Bibi, testarda come sua madre è sempre stata. Litigano fin da quando era nel suo grembo e le pesava così tanto sulla cervice che un piccolo colpetto avrebbe potuto spingerla fuori. Costretta a letto, la madre ha finito per avercela con lei, scaldandosi così tanto che la bambina rischiava di bollirle in pancia. E tre anni dopo ecco arrivare Ezinma, carina, sì, ma così docile che non farebbe male a una mosca. È un fantasma di Bibi, più pallida nei toni e nella personalità, ma dolce come Bibi sa essere solo quando vuole qualcosa. Bibi la detesta. No, Ezinma non può giocare con i suoi giocattoli; no, Ezinma non può andare a piedi a scuola con Bibi e le sue amiche; no, Ezinma non può avere un assorbente vero, deve mettere insieme un po’ di fazzoletti di carta e gestirsela così. Ezinma cresce bramando l’affetto della sorella. Quando ha ventun anni e i suoi genitori sgobbano per pagarle le tasse universitarie, Bibi conosce Godwin, la pelle gialla e la mascella squadrata come il padre, e si innamora. Se ne innamora ancora di più quando la madre cerca di dissuaderla. E quando la madre insiste, dicendo «Non conosci la sua famiglia», Bibi risponde: «La conosco. Tu sei solo arrabbiata e amareggiata che ho un uomo migliore del tuo». Sua madre la schiaffeggia e il discorso si chiude così. Ezinma fa da intermediaria, ruolo a cui è costretta sin da quando era piccola, e informa Bibi di tutte le novità in famiglia, malgrado la richiesta della madre di essere esclusa dalla vita della figlia. E Godwin sa provvedere ai suoi bisogni meglio del padre, che adesso è un modesto commerciante. Le prende in affitto un appartamento. Le procura una macchina. La acceca con una costellazione di regali, cose che lei non ha mai avuto prima. Ma l’unica volta in cui Bibi prova a parlare di matrimonio, lui esce di casa e lei non riesce a rintracciarlo per dodici giorni. Dodici giorni in cui Bibi deve ricorrere ai risparmi in banca; dodici giorni in cui se ne sta seduta nell’appartamento intestato a lui, guida l’auto intestata sempre a lui, e si chiede cosa ci sia di tanto prezioso in quel suo cognome da non volerlo condividere con lei. E quando alla fine Godwin ritorna e la vede fare le valigie, la afferra per i capelli, glieli tira urlando che anche quelli sono suoi, e lei viene colpita... da un pugno, sì, ma anche dall’intuizione che forse doveva dar retta alla madre. Ritrovarsi non è dolce. L’occhio destro di Bibi è quasi chiuso dal gonfiore, la bocca della madre resta sigillata: non si guardano, non si parlano. Il padre, che non riesce a sopportare la tensione tra loro, ripensando alla propria infanzia turbolenta, stringe le spalle di Bibi, poi va via, ed è quella fugace stretta che la fa piangere. Dopo un attimo singhiozza mentre la madre è ancora impenetrabile, anche se è un viso bagnato dalle lacrime quello che volge dall’altra parte perché nessuno possa vederlo. Ezinma porta Bibi al gabinetto, lo stesso che hanno condiviso e si sono litigate fino a essere grandi a sufficienza da riuscire a parlare. La fa sedere sulla tavoletta del water e inizia a pulirle le ferite. Quando finisce, la sorella ha ancora un aspetto terribile. E quando Bibi si alza per esaminarsi il viso, si ritrovano entrambe davanti allo specchio. «Continuo a fare schifo» dice Bibi. «Mi sa di sì» risponde Ezinma, e scoppiano a ridere. E nel loro riflesso notano per la prima volta che hanno lo stesso identico sorriso. Come hanno fatto a non accorgersene prima? Nessuna delle due lo sa. Bibi è preoccupata perché le sue cose sono ancora nell’appartamento. Ezinma le dice di non preoccuparsi, andrà a prenderle lei. «Perché continui a essere così gentile con me?» domanda Bibi. «Abitudine» replica Ezinma. Bibi ci pensa per un istante e dice alla sorella una cosa che non le ha mai detto. «Grazie.» E così Ezinma traffica con le chiavi nella serratura e non vede cosa le arriva alle spalle: Godwin, cresciuto nella corrosiva indulgenza del padre. Godwin, così poco avvezzo a sentirsi dire di no che la cosa lo ferisce come un’ondata di acido, dissolvendo la patina di decenza tipica di chi ottiene sempre ciò che vuole. Godwin, che ha rotto il suo violoncello quando ha scoperto che il fratello minore sapeva suonarlo meglio di lui, che è il motivo per cui è finito qui, a guardare Ezinma – che da dietro somiglia così tanto alla sorella – mentre traffica con chiavi che non conosce nella serratura dell’appartamento di Bibi così da non vedere cosa le arriva alle spalle: Godwin, che con una pistola le spara.
Quando un uomo cade dal cielo
di Lesley Nneka Arimah
Pubblicato in accordo con The Italian Literary Agency
Titolo originale dell’opera: What it means when a man falls from the sky
© 2017 Lesley Nneka Arimah Copyright © 2019 Società Editrice Milanese www.semlibri.com