Una questione di occhi: il mondo di E.T.A. Hoffmann, di Antonella Lattanzi

In Racconti dal buio, Rizzoli raccoglie, nella collana Bur, i più importanti capolavori della produzione fantastica e demoniaca di E.T.A Hoffmann – dall’Uomo della sabbia al Consigliere Krespel, dalle Avventure della notte di San Silvestro a Vampirismo – e ci guida alla scoperta di protagonisti indimenticabili.

Cattedrale vi propone in lettura la prefazione al libro firmata da Antonella Lattanzi, per gentile concessione dell’editore.

Una questione di occhi: il mondo di E.T.A. Hoffmann
di Antonella Lattanzi


Ernst Theodor Wilhelm Hoffmann, che nel 1804. Cfr. più avanti nella cronologia (con questo nome firma nel 1804 la partitura di un Singspiel) cambierà il suo terzo nome in Amadeus, per Mozart, e che oggi conosciamo come E.T.A. Hoffmann, nasce nel gennaio 1776 a Königsberg, nella Prussia orientale. Muore nel 1822 a Berlino, per una malattia causata dall’abuso di alcolici. Continua a scrivere e pubblicare fino all’ultimo. In soli quarantasei anni di vita, quest’uomo dalla fantasia incandescente e vulcanica come gli intingoli di un alchimista rivoluziona la letteratura mondiale e influenza chi verrà dopo di lui. Baudelaire, Balzac, Gogol’, Puškin, Dostoevskij, e Freud – che nel suo saggio Il Perturbante, scritto agli albori del Novecento e incluso nel volume che avete tra le mani, definirà l’Unheimlich proprio a partire da Hoffmann – lo amarono, lo ammirarono, e ne rimasero come stregati. Stregare è la parola giusta per parlare di Hoffmann. Non riesco a trovarne una migliore. Per chi non lo conosce e lo incontra per la prima volta, ma anche per chi è un suo lettore da sempre, entrare nel libro che state per leggere è come fare un balzo nel calderone di un demone. Non è una questione di storie, di trama, di ciò che succede. La questione è come succede. Come appaiono e scompaiono i personaggi dal racconto, come si fanno cupe, pastose e nere anche le più ridenti atmosfere. Come mutano di colpo le certezze, poiché appena ci sembra di aver carpito l’essenza di qualcuno, questo qualcuno ci si rivela per il suo esatto contrario. Come, dunque, si combinano le parole sulla pagina. A un certo punto, mentre leggi e leggi e mastichi e ti immergi nei racconti di E.T.A. Hoffmann, nel suo mondo, è inevitabile che i caratteri si sfochino, si scambino di posto, comincino a turbinare e trasformarsi in creature spaventose che ti chiedono chi sei davvero, da dove vieni, chi ami davvero, cosa vuoi davvero, e cos’è la realtà, cos’è il sogno, cos’è l’incubo, cos’è la vita, cos’è la morte. È inevitabile che ogni maleficio che accade sulla pagina ti parli di te. Non a caso, i racconti di Hoffmann non sono soltanto gotici – anche se qui il gotico guadagna la sua intramontabile potenza – ma anche qualcosa travestito da qualcos’altro. Come scrivevo prima, non è un caso che Freud, padre della psicoanalisi, abbia scelto uno scrittore e i suoi racconti per studiare i rapporti con la figura paterna, l’invenzione dell’anima, il doppio, il sosia come risarcimento per chi non siamo stati, ciò che non abbiamo fatto, le occasioni che non abbiamo colto, ma anche come punizione per tutte le nostre colpe. E soprattutto l’Unheimlich, parola che in italiano si traduce appunto con perturbante, ma che in tedesco dà il suo meglio perché viene da un- (non), heimlich (confortevole, tranquillo), che a sua volta viene da heim: casa. E cioè il posto più tranquillo, più sicuro del mondo. Almeno in teoria. Il perturbante, scrive Freud, «è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare». Se ci pensiamo, questa sensazione è alla base degli horror più riusciti, più belli che conosciamo. Ma non solo. È l’esperienza più orribile che possa capitarci. Sentirci strani in un posto o con delle persone che ci sono sempre state familiari. A chi non è capitato? Non riconoscere più le persone o i luoghi che frequentiamo da sempre. Non perché siano cambiati davvero; ma perché in quel momento c’è qualcosa di strano, di rotto, di non confortevole, di perturbante, appunto, in noi. È qui che si gioca la partita di Hoffmann: a cavallo tra la letteratura e l’indagine sull’essere umano. Anche Calvino dirà, a proposito dell’Uomo della sabbia, tra i più potenti e famosi scritti di Hoffmann, che: «La scoperta dell’inconscio avviene qui, nella letteratura romantica fantastica, quasi cent’anni prima che ne venga data una definizione teorica». Perché studiando Hoffmann Freud arriva a parlare anche della rimozione, di ciò che ritorna: e così il perturbante è anche «qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che è invece affiorato». Come i traumi che abbiamo subito. Ma anche come qualcuno che torna dopo la morte. Qual è la differenza? Ciò che vogliamo dimenticare o che abbiamo dimenticato e torna ad assillarci non è esattamente uguale a un cadavere che si risvegli, scavi nella terra, e torni alla luce?

Torniamo all’Uomo della sabbia. Io, per parte mia, l’ho conosciuto nella mia adolescenza con una canzone dei Metallica: Enter Sandman (il tedesco e l’inglese sono molto simili, il titolo originale del racconto è infatti Der Sandmann). È notte. Qualcuno, nella canzone – un padre o una madre – esorta un bambino a dire le sue preghiere, stando ben attento a non dimenticare nessuno. Colui che parla gli rimbocca le coperte, in modo che il caldo del letto lo mantenga libero dal peccato. Fino a quando arriva l’Uomo della sabbia. E a quel punto esce la luce, entra la notte, «granello di sabbia». Ed è proprio così. Nell’Uomo della sabbia, il Sandmann è: «un uomo cattivo che viene dai bambini quando non vogliono andare a letto e getta loro manciate di sabbia negli occhi fino a che, sanguinanti, non schizzano via dalla testa: poi li prende, li mette in un sacco e li porta sulla luna per darli in pasto ai suoi figlioletti, che stanno lassù in un nido e hanno il becco curvo come le civette, con il quale beccano gli occhi dei bambini cattivi». Tutta una questione di padri e di figli. E di occhi. Tantissimi occhi in tutti i racconti di Hoffmann: che roteano, strabuzzano, vedono il vero, vedono il falso, prendono persone vive per automi o automi per bellissime fanciulle, si posano un’ultima volta sulla persona amata dichiarandole amore per sempre e un attimo dopo sono catturati da altri occhi di altre donne che gli rubano l’anima, la fedeltà, l’amore. Ma pure il ricordo. È tutta una questione di inganni ed errori, in Hoffmann. Fidarsi delle persone sbagliate. Condannare le persone oneste. Venire perseguitati per sempre dall’orribile immagine di tuo padre morto. E, dopo che l’hai visto morto, come puoi pensare che non arriverà qualcuno a strapparti gli occhi? Per dar vita a un automa, forse, per punirti di non essere stato un bravo figlio, forse, ma forse pure per farti dimenticare quello che hai visto. Per rimuovere la morte di tuo padre dalla tua memoria. Io, l’Uomo della sabbia, l’ho conosciuto prima coi Metallica e poi con Hoffmann. Però, la prima volta che l’ho letto mi è tornata questa canzone in mente e non sono più riuscita a togliermela dalla testa. Pure questa è una stregoneria. Che dai primi dell’Ottocento, un Uomo della sabbia strisci coi suoi passi mortiferi fino a noi: «Sempre più vicino... sempre più vicino suonavano quei passi... e di fuori un tossire, uno strisciar di piedi, uno strano borbottìo. Il cuore mi tremava nell’attesa angosciosa. Ed ecco proprio vicino alla porta sento un passo energico... un colpo violento sulla maniglia... la porta si spalanca! Raccogliendo tutto il mio coraggio sporgo la testa con cautela. L’uomo della sabbia è nel mezzo della stanza davanti a mio padre, la luce delle candele gli illumina la faccia. L’uomo della sabbia, il terribile uomo della sabbia è il vecchio avvocato Coppelius che qualche volta viene da noi a colazione!». Il vecchio avvocato Coppelius che qualche volta viene da noi a colazione. Un nostro vecchio amico d’infanzia. Nostra madre. Nostro fratello. Per ognuno di noi, l’Uomo della sabbia ha un volto diverso. Ma è qualcuno che è scivolato con l’inganno in un luogo a noi familiare per nutrirsi di noi.

La follia. La paura di diventare pazzi. Un demone di tutti e di Hoffmann in particolare, abbandonato dal padre da piccolissimo e cresciuto con una madre mentalmente instabile. Nel Consigliere Krespel, un altro bellissimo racconto, un uomo dice: «era come se volesse avvolgermi e trascinarmi nel nero abisso della follia». Salvo poi scoprire che, forse, quello che reputava il più folle e abietto degli uomini era in realtà tutto il contrario. Qualcuno che aveva, probabilmente, solo peccato di un amore purissimo. In un altro racconto, Vampirismo, quella che sembrava una sposa dolcissima era probabilmente l’opposto, una creatura malvagia degli inferi (si noti che, duecento anni fa, il vampiro qui è donna). Nelle Avventure della notte di San Silvestro, un’altra donna è sé stessa ma anche, forse, il suo doppio, e ci sono uomini senza ombra e uomini a cui è stata rubata l’immagine e non si riflettono più negli specchi. E il diavolo si chiama signor Dappertutto (che definizione meravigliosa). La signorina di Scudéry, invece, potrebbe essere una sorta di giallo. Ma è più un racconto sui veleni, su presenze a metà tra il reale e il sovrannaturale che appaiono e scompaiono nell’oscurità, sulla grettezza umana e su una domanda fondamentale: è possibile capire con certezza chi sono i buoni e chi i cattivi? Ma ancora di più: possiamo essere perdonati per le nostre colpe? Forse, probabilmente, potrebbe essere: continuo a usare queste parole. Ma è proprio questa la realtà, no? Un cumulo bellissimo e terribile di incertezze, di fuori e dentro, poiché l’essere umano, «evidentemente non separa granché la sua vita interiore da quella esterna, reale, rendendo così quasi impossibile intravedere una linea di demarcazione tra l’una e l’altra. Ma proprio perché tu non discerni chiaramente questo confine, colui che ha una fervida fantasia, il “visionario” [Geisterseher], forse non avrà difficoltà ad attrarti dalla sua parte. Per cui all’improvviso verrai a trovarti in un ignoto e magico regno, e gli strani personaggi che lo abitano entreranno nella tua vita reale per trattare a tu per tu con te, come vecchie conoscenze. Perciò ti prego con tutto il cuore, benevolo lettore, di accoglierli di buon animo e, abbandonandoti alle loro meravigliose avventure, di affrontare con coraggio qualche piccolo brivido febbrile che potrebbero procurarti nel trascinarti con più forza nella loro sfera d’azione. Che cosa potrei fare di più per il viaggiatore entusiasta, protagonista un po’ ovunque di tanti fatti bizzarri e incredibili, e adesso anche a Berlino nella notte di San Silvestro?».