La notte surreale di Francisco Tario

di Matteo Moca

Quali sono i pensieri di un battello? Su cosa si posa l'immaginazione di un pupazzo? Quali concetti possono agitare un feretro? Nel suo Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura il critico e francesista Francesco Orlando attraverso una mirabile costellazione di esempi tratti dalle maggiori letterature indagava l'attrazione che gli scrittori, dal mondo classico a quello contemporaneo, e quindi la letteratura di ogni epoca, hanno avvertito nei confronti degli oggetti. Anche la raccolta di racconti La notte di Francisco Tario, scrittore messicano nato nel 1911 da una famiglia spagnola a Città del Messico, prima portiere in una squadra di calcio, poi pianista, scrittore, gestore di sale cinematografiche e quant'altro possa apparire liminale rispetto al mondo letterario, sembra vivere una simile attrazione verso gli oggetti che si animano e acquistano vita, diventano menti in grado di riflettere e di interagire, nella maggior parte delle volte senza risposta, con l'umanità. L'oggetto, in queste storie pubblicate originariamente nel 1943 (tradotte da Silvia Sichel, introdotte da un breve, ma puntuale, saggio di Adriàn N. Bravi e pubblicate dall'attenta Edizioni degli Animali), si trasforma, come suggeriva anche Orlando, in soggetto, e la sua mutazione offre al narratore la possibilità di scivolare nell'impossibile, in una continua scoperta che asseconda il grottesco e l'ironico attraverso un gesto letterario che mira a sondare ciò che non esiste, ma è presente, sfugge ma si può acchiappare a patto di non credere ciecamente nel reale.
I vari oggetti protagonisti di alcuni dei racconti di questa raccolta sembrano infatti la possibilità che può agguantare lo scrittore per descrivere sé stesso attraverso un dispositivo che si frappone tra lui e le realtà, strumento, probabilmente, per dire più di quanto possa fare un ritratto umano. Così in un racconto possiamo scoprire cosa pensa un feretro, il meccanismo che nella sua comunità regola il sesso, l'insofferenza nei confronti delle fosse profonde dove vengono adagiati e l'ambizione a ospiti di un certo tipo, in un altro invece seguiamo i pensieri di un battello che decide di morire, e quindi affondare, anziché finire scartocciato e abbandonato in un molo, trascinando con sé tutto il carico e tutti gli ospiti che ballano e cantano, oppure, in un altro ancora, come un completo grigio sia in grado di leggere e comprendere la solitudine di un uomo che lo indossa. Se si prende per esempio il racconto del battello il meccanismo sfuggente dell'opera di Tario si rivela in tutta la sua energia: a partire da una fusione con l'ambiente che li circonda, e che si tinge di un carattere percettivo che occulta il senso della fine

 

Ho guardato per l’ultima volta il cielo alto, nero; la luna morbosa, sanguinante: la spuma inquieta; la profonda cavità dell’orizzonte. Una sete ardente – sete di acqua salata – mi bruciava la gola, come se un incendio improvviso mi fosse divampato in petto e si propagasse attraverso le mie arterie

 

i pensieri del battello, «pellegrino di tutti i mari; marinaio di tutti i porti; nottambulo di tutte le notti», nascondono la domanda più radicale dell'animo umano, cosa infatti possa seguire la vita nel momento in cui la fine si avvicina: «da tempo ero assediato dal terrore, dall'angoscia, da tutti questi sentimenti pestilenziali che agitano l'uomo all'avvicinarsi della vecchiaia». In questo breve racconto Tario offre l'illustrazione plastica delle capacità del suo dettato di aderire agli oggetti su cui si sofferma, strumento straordinario perché capace di afferrare anche l'inafferrabile, ovvero la morte: «E un altro mondo più nobile, infinitamente più bello, mi è venuto incontro. Un mondo umido, sussurrante e compiuto. Un mondo di strane fosforescenze, di mostri quasi divini, di ombre sottili dalle movenze silenziose, di donne azzurre e di uomini coperti di squame rosse, di calici colmi di sale. Un mondo di perenni fioriture; di sguardi imperturbabili; di pace e piacere costanti».
Ma questo racconto in realtà svela anche al lettore alcuni dei temi che maggiormente abitano questi racconti, la morte e, soprattutto, la fiducia nel mezzo letterario che nelle storie, le più varie, riesce a offrire immagini che, affondando nell'onirico e nel surreale, acquisiscono una concretezza altrimenti impossibile. Così si devono intendere i racconti che hanno per protagonisti oggetti (La notte del valzer e del notturno dove la musica prende forma e ciò che essa veicoli si trasforma in sentimento) o animali (è il caso di La notte della gallina, dove la prevaricazione e la violenza presentano il loro conto) ma, ancor di più, questo accade nei racconti con protagonisti uomini e donne. Accomunati dall'ambientazione notturna, regno del confuso e dei contorni inconoscibili, commovente ispirazione (per Chopin «il notturno piangeva, piangeva, con un dolore che nel freddo silenzio della notte prometteva di essere eterno»), questi racconti sembrano assumere il loro valore rivelatorio nell'istante in cui il buio sembra avvolgere ogni cosa. Questo accade per esempio in La notte dell'uomo dove il mare, assieme all'alternarsi del giorno e della notte, della luce e dell'oscurità, offre la possibilità, attraverso una promessa non mantenuta, di oltrepassare i confini del mondo naturale e agitare nell'animo del protagonista ciò che normalmente non può giungervi: «il mare frangeva, e taceva il cielo, e lo scoglio, nel buio allucinante, diceva all'anima quanto questa stupida vita possa essere disorientante, brutale e vana».
Ma la notte di cui Tario in questa raccolta si fa carico non è solo quella che regola il sorgere e il tramontare del sole, ma ha anche la funzione simbolica di eccezionale spazio del pensiero, una soglia che, grazie agli attraversamenti che la sua porosità permette, fa detonare pensieri e improvvise illuminazioni. È lo spazio in cui lo scrittore si confessa, magicamente padrone di lingua e pensieri anche di animali, come accade in La notte del cane, straziante monologo interiore di un cane all'ombra del padrone morente («Il mio padrone è un poeta malato, giovane, molto triste, e bianco come la cera. Muore così, come ha vissuto da quando lo conosco: in silenzio, sommessamente, senza un grido né un lamento, tremante di freddo fra le lenzuola lise»), ma è anche la notte del pensiero, la follia che abita la mente e la rivoluziona come un'epifania, come accade in uno dei racconti più immaginifici della raccolta, La notte del folle. Qui il delirio del protagonista infesta le pagine del racconto, rende impossibile definire la realtà di ciò che accade, ma contiene anche un condensato di poetica («D’altra parte, sto diventando cieco; cieco a forza di lavorare in questa oscurità insondabile. Non distinguo più i contorni delle cose: solo il loro volume. Così confondo facilmente un albero con un tavolo e un tavolo con un ventre»), una definizione del valore multiforme della notte e una precisa idea della letteratura come gesto estremo, come fatica fisica inarginabile, forza creatrice che non conosce compromesso «in balìa delle belve e dei fantasmi».

 

La notte si accende di una luce fantasmagorica al bagliore di una piccola lampada dimenticata sullo scrittoio; prendono colore e rilievo gli oggetti; fruscia il vento; la pioggia cade a scrosci; solcano lo spazio i lampi; mille profumi insospettati salgono dalla pianura. Tutto palpita, ribolle, torna alla vita.

 

È forse questo racconto il miglior viatico per addentrarsi in un libro forse inattuale per il suo sguardo magico sul reale, ma quantomai importante perché svela come possa esistere una vista ulteriore sul mondo e sulle cose e su come attraverso questa vista dissennata si manifesti un indicibile colpevolmente e continuamente evitato.