Come ballare da soli in America con i racconti di Lorrie Moore


di Fabrizia Gagliardi

Il modo umbratile e criptico con cui piccole gocce di noia iniziano a cristallizzare in stalattiti di ripensamenti. Il regno del conosciuto inizia a farci schifo. Il momento in cui percepiamo il fastidio negli interstizi di tempo masticato dal nostro compagno. L’affermazione di una routine in cui l’intraprendenza è inversamente proporzionale alla contrazione di uno spirito meno avvezzo all’avventura.
Nel modo frenetico e confuso con cui la vita prende il ritmo c’è il passaggio dal bagaglio delle illusioni alla realtà vera e propria.
A pensarci bene, i “te l’avevo detto” e i “vedrai” di quelli che si dicono esperti sono in grado di mantenere il fascino del segreto rispetto alla mole di esperienze che raccontate a voce, in effetti, avrebbero più che altro il sapore di una teoria da imparare a memoria.
Per uscire dall’impasse basta avere consapevolezza di un paradosso: essere coscienti dei piccoli sommovimenti del cambiamento senza avere la pretesa di domarli. Questa è in fondo, la speranza recondita della lettura: una palestra per non trascurare tutti quei dettagli oscurati dall’abitudine dell’esistenza.
In questo caso, i racconti di Lorrie Moore costituiscono un valido allenamento. Ci troveremo davanti un paesaggio variegato di personaggi alle prese con un compendio vastissimo di casi della vita, dalla disgregazione di relazioni, matrimoni, famiglie, amanti, fino allo sgretolarsi del mondo,  l’approssimarsi della vecchiaia, l’illogicità di malattie incurabili.
Quando le chiedono se da bambina pensava di diventare una delle scrittrici più acclamate d’America, Lorrie Moore ricorda l’infanzia trascorsa in una piccola cittadina ai piedi dei Monti Adirondack, nello stato di New York, seguendo gli spettacoli di teatro amatoriale dei suoi genitori. Tutto lo stupore infantile le ha permesso di assimilare il ritmo incalzante delle scene recitate e la capacità di ritrarre in poche righe la scenografia interiore dei suoi personaggi, il tutto completato da una certa destrezza nella costruzione di dialoghi significativi carichi di ironia.


La carriera letteraria di Moore inizia dall’età di diciannove anni con il premio per la narrativa della rivista Seventeen; all'epoca studiava inglese alla St. Lawrence University. Dopo la laurea, si è trasferita a New York, dove ha lavorato come assistente legale, e poi si è iscritta al Master of Fine Arts della Cornell University.
Nel 1985 viene pubblicata la sua prima raccolta di racconti, Tutto da sola (La Nave di Teseo, traduzione di Marisa Caramella, 2018) che stabilisce fin da subito due capisaldi della sua produzione iniziale: la volontà di sperimentare la temporalità ristretta dei racconti e le tecniche narrative diverse dall’uso della terza persona.
Le voci femminili protagoniste sono fotografate in diverse fasi della vita, nessuna si confonderà con l’altra: è impossibile parlare di sovrapposizione quando una caratterizzazione minuziosa della personalità rivela gradualmente un disegno armonico e multiforme tra spazio riflessivo e vicende narrate.
In Come essere un’altra donna la narrazione in seconda persona racconta gli incontri tra un uomo e la sua amante. Una scelta narrativa che solletica la memoria di poetiche intimiste viene messa sullo stesso piano della cultura del consiglio, in diretta corrispondenza con i libri di auto aiuto:

A sei anni confondevi la parola amante con la parola demente. Ora sei più vecchia e sai che la parola amante può voler dire molte cose, ma che essenzialmente è sinonimo di demente.

Non sei più la stessa. Cammini in modo diverso. Non riconosci la tua immagine riflessa nelle vetrine dei negozi; sei un’altra donna, una vetrinista pazza che inciampa frenetica e ansiosa nei manichini. Nei gabinetti pubblici ti accovacci pericolosamente sulle sedute, uno strano miscuglio di disperazione e felicità, e mormori alle tue cosce livide “Salve, sono Charlene. Sono un’amante.”

È come avere un libro preso a prestito dalla biblioteca. È come avere sempre un libro preso a prestito dalla biblioteca.

Non sempre il “tu” narrante stempera l’inquietudine con l’ironia, ma è in grado di raggiungere vette diametralmente opposte alla risata amara. In Come il disamore di una donna sopraggiunge con la notizia della malattia del compagno; in Come parlare a tua madre (Appunti) il tempo della storia è scandito da anni a ritroso che ricostruiranno il rapporto tra madre e figlia.

Per assaporare un inscalfibile talento che non si cimenta soltanto nella sperimentazione, basta leggere i racconti in cui la prima persona crea narrazioni lunghe ed estremamente toccanti. In Riempire, per esempio, una donna ricorda la vita perduta del passato e deve barcamenarsi nelle frustrazioni del presente fino a scivolare nella fame compulsiva e nel furto. Mia madre racconta il lascito di una madre in punto di morte: tutte le ferite della vita coniugale rimaste oscure durante l’infanzia della figlia verranno inevitabilmente a galla.

Nella foto del matrimonio indossano abiti bianchi contro la macchia scura degli alberi. Sono sottili ed eleganti. Hanno un sorriso placido. La bocca del padre della sposa è una linea breve, dritta. Non so chi abbia fatto le fotografie. Immagino che siano una specie di bugia, rivelano per omissione, indirettamente, per indizi, come le scarpe e le nuvole. Ma dicono una verità, nel solo modo in cui la dicono le bugie. Nel solo modo in cui solo le bugie riescono a dirla.

Con Lorrie Moore individuare un vero e proprio percorso tra le raccolte successive diventa un’impresa ardua. Non a caso la stessa autrice in una nota all’edizione di tutti i suoi racconti di Everyman’s Library precisa che: «tentare di intravedere la crescita di un autore attraverso la disposizione cronologica è, a mio avviso, spesso un'impresa da pazzi e anche se possibile e di successo è alquanto imbarazzante per il giovane autore che rimane vivo all'interno di quello più anziano».

Anche con Amo la vita (La Nave di Teseo, traduzione di Carlo Prosperi, 2020) e Ballando in America (in attesa di una nuova edizione italiana dopo quella di Bompiani, con la traduzione di Marcella Maffi, 2011) attenersi alla cronologia d’uscita ha poco senso con uno stile consolidato sin dai primi racconti. È più interessante notare i piccoli spostamenti di attenzione dell’autrice tra temi e personaggi, come a ricercare costantemente cosa attira lo sguardo di una persona brillante.
In quest’ottica Amo la vita risponde alla domanda cos’è successo, con tempi e luoghi che hanno plasmato la vita dei protagonisti.
Per esempio, Lei è anche bruttarello porta in scena la vita solitaria di una donna che insegna all’università in una cittadina sperduta, i suoi incontri fortuiti, il rapporto affettuoso con la sorella a New York e il tentativo di conservare il proprio essere senza snaturarsi per trovare un compagno di vita. Due ragazzi è percorso da una vena ironica, poi malinconica, dove si snoda la relazione di una donna con due uomini, il tentativo di suscitare amore negli sprazzi di solitudine.

Gli otto racconti accennano a tratti la sensazione di un presagio stranamente attuale: quanto possono dirsi liberi i personaggi di fronte a un mondo in rovina? Gli amori in tempo di apocalissi silenziose sono meno veri di quelli che prosperano in condizioni normali?
Gioia e Sembianza di vita sono storie che raccontano, rispettivamente, la vita di una ragazza che dopo la rottura con il fidanzato torna nella cittadina dov’è cresciuta e la fine dell’amore coniugale in una New York devastata ma sognatrice. Gli incipit dei due racconti, però, continuano a risuonare all’unisono:

Era un autunno, Jane lo sapeva, in cui le piccole cose andavano perse. I pesci finivano spiaggiati e nessuno osava mangiare una vongola nemmeno sotto tortura. Gli ostricai che tendevano le reti sul fondo dell’oceano tiravano a galla solo ostriche morte. Nere come il carbone e nessuno sapeva perché. Chi viveva lontano dalle coste non voleva nemmeno pensarci, vedeva i mari e poi l’intero pianeta sollevarsi in un’onda gigantesca di zuppa di pesce arrabbiata e corvina.

(Gioia)

Tutti i film quell’anno parlavano di persone con un piatto nella testa: spiriti provenienti da un’altra galassia si radunano nottetempo in una località balneare impossessandosi degli abitanti – tutti tranne l’uomo con il piatto nella testa. Oppure: una ragazza con un piatto nella testa vaga per la spiaggia di una città, convinta di essere un’altra persona. Il mare restituisce le tracce. Ci sono marinai. Oppure: una donna sogna una bellissima casa disabitata e un giorno ci passa davanti – lanterna, abbaini, portico. Si avvicina, bussa, la porta viene lentamente aperta da... lei stessa! Una gemella sorridente. Ha un piatto nella testa.

Così sembrava essere diventata la vita. Si era sprigionata da se stessa, come un insetto.

A febbraio il disgelo ridusse la città a una ferita trasudante. Il raffreddore dilagava, gente che tossiva in metropolitana.

(Sembianza di vita)

Ballando in America nelle parole dell’autrice in un’intervista su Paris Review registra una grande varietà di argomenti, vere e proprie preoccupazioni emerse negli anni Novanta. Il compendio di anime perdute alle prese con dolore e delusione ha nuovi adepti, ma persiste la capacità di far lievitare la tragedia con l'umorismo e di fondere il dolore con l'arguzia sovversiva.
Riusciamo a percepire il cuore ferito e vulnerabile dell’attrice in declino che in Buona volontà cerca ingenuamente un amore vero e illuso. Cogliamo lo scetticismo di un nuovo inizio in Una nuova casa, quando la donna protagonista rivela di essersi sottoposta alla chemioterapia e che in fondo le scappatelle primaverili del marito sono un dettaglio trascurabile («Aveva concluso che il segreto del matrimonio era non prendere le cose in modo troppo personale»). In Appunti una coppia scopre il tumore del figlio neonato, e per la protagonista, che è una scrittrice, si presenterà il paradosso della metanarrazione: è davvero possibile trarre dalla vita che sta accadendo il materiale per scrivere?

I dodici racconti di Ballando in America sono un documento temporale che nasce dall’esperienza personale e che rivela una parte fondante del processo di scrittura. «Bisogna immaginare, bisogna creare (esagerare, mentire, fabbricare da tutta la stoffa e rattoppare insieme dai resti) [...] si prendono queste osservazioni, sentimenti, ricordi, aneddoti - qualunque cosa - e si intraprende un viaggio immaginativo con loro. Ciò che si spera di fare in quel viaggio è immaginare profondamente e bene e quindi in qualche modo sia raccogliere che estrarre le cose migliori del mondo.» Ironicamente, proprio come i protagonisti delle sue storie, Lorrie Moore non asseconda cinicamente l’incancrenirsi della vita, ma fa esattamente l’opposto: la vive e la scrive immaginando di arrivare in fondo all’esperienza come unico modo per avere la possibilità di espanderla.
Quando viene pubblicato Bark (traduzione di Alberto Pezzotta, Bompiani) è chiara la frattura di un’America stravolta dai momenti successivi all’11 settembre, dalle proteste pacifiste, i bombardamenti, gli scandali di Abu Ghraib. I protagonisti arrivano a un punto di rottura con la solitudine che da sempre li aveva caratterizzati: hanno bisogno di purificarsi, raschiare via qualcosa col timore di dover scavare per molto. Il titolo, infatti, allude al doppio significato del latrare del cane e dello scorticare, e più volte, in lingua, ricorreranno echi e allitterazioni.

Il racconto che apre la raccolta, per esempio, in inglese è «Debarking» e farà da eco alle vicende di un uomo che non riesce a togliere la fede nuziale dopo il divorzio. Sullo sfondo di marce pacifiste e notizie di bombardamenti, il protagonista dovrà scegliere tra il timore di un’arida vita sentimentale e un legame indesiderato pur di non rimanere solo.
Una sottile vena di umorismo percorre anche Scartoffie in cui due coniugi pacifisti arrivano a odiarsi rinunciando persino ai valori che avevano condiviso in passato («Anche se Kit e Rafe si erano conosciuti nel movimento pacifista tra marce, riunioni e striscioni contro il nucleare, ora si sarebbero ammazzati volentieri a vicenda. Inoltre, erano diventati, seppur timidamente, favorevoli all’energia atomica»).

Il gioco continuo sul filo dello humor ricorda le storie di Lydia Davis, anche se Lorrie Moore se ne allontana con un tono personalissimo, meno distaccato e, nonostante tutto, meno cinico. Tra le sue contemporanee prende le distanze anche dal “feroce” minimalismo di Amy Hempel e dalla solitudine più spigolosa di Mary Gaikill. Nella rosa delle autrici di racconti più stimate Lorrie Moore guadagna un posto di rilievo perché il suo sguardo, a differenza delle altre, lascia trapelare il calore inaspettato dell’umanità che non può distaccarsi da un modo unico e intenso di vivere. Se qualche volta capiterà di dare per scontato un aspetto della vita o a trattare con sufficienza l’abbondanza o, ancora, a non vivere le gioie con l’attenzione dovuta, ci penseranno poche righe dei suoi racconti a riportarci in carreggiata.