Disastri esistenziali e spese folli, di Robert Perišić

Autore: Robert Perišić
Editore: Bottega Errante. Traduzione: Elvira Mujčić
pp. 208 Euro 17,00

di Giordana Restifo

Nell’ultima opera di Robert Perišić c’è tutto il senso dell’esistenza: l’amore, l’odio, le malattie mentali e quelle fisiche, la pace, la guerra, il sesso, la violenza, il mare, la montagna, il pianto, il riso, la religione. Fin dal titolo il lettore è avvisato, nelle pagine avverrà l’incontro con lo scibile e con l’ignoto. Disastri esistenziali e spese folli, pubblicato ad agosto 2023 da Bottega Errante Edizioni e tradotto da Elvira Mujčić, è una raccolta di ventitré racconti scritti tra gli anni ’90 e 2000. Storie che inquadrano la situazione della Croazia durante la guerra e le successive trasformazioni, dal dopoguerra in poi. Il contesto storico in cui sono ambientate alcune di queste risale a più di venti anni fa, nonostante ciò sembrano una fotografia attuale delle nostre società.

«Dice che esistono i talenti, ma quelli che riescono in questa società sono i primitivi e gli aggressivi, perché la gente normale sta zitta», potrebbe essere una frase pronunciata banalmente dal nostro vicino di casa qui e ora, invece esce dalla bocca di Krama, un particolare personaggio del racconto Il gran finale è in corso, mentre sorseggia birra tedesca in un paesino a sud di Zagabria durante un devastante torneo di bocce. Per Krama vivere in un paese con quel mare, quei profumi, quella gente, è una meraviglia e ogni qualvolta torna nella capitale croata cade in preda a un delirio critico. Per alcuni personaggi della stessa storia l’unica cosa che conta è vincere il torneo, per altri è dimostrare al padre di essere alla sua altezza. Priorità, ognuno ha le proprie. 
Per il protagonista di La festa era nella fase iniziale l’importante è compiacere la sua giovane fidanzata Blanka, che sta muovendo i primi passi come deejay e vorrebbe farlo diventare un lavoro. Pur di starle dietro il narratore indossa un’immaginaria maschera che gli permette di andare in ufficio durante la settimana e tornare a casa all’alba nei weekend per seguire la ragazza e i suoi amici alle feste. E a lungo andare, probabilmente a causa della mancanza di sonno o dell’esagerato uso di bevande energizzanti, perde tutto, compreso l’interesse per la vita.

C’è Tandar che dovrebbe trovarsi all’ospedale Vinogradska a disintossicarsi dall’eroina, o almeno così ha detto agli amici, nel racconto La visita. I due conoscenti scopriranno, solo dopo aver rischiato di essere aggrediti da un gruppo di donne, che in quella struttura sanitaria non c’è nessuno che corrisponda alla descrizione di Tandar, il loro amico non è mai stato lì. Partito per Zagabria per andare a lavorare come muratore, per la vergogna ha inventato la storia della tossicodipendenza, mentendo a tutti.
Questi sono solo alcuni dei tanti personaggi che popolano le storie di Perišić, le donne e gli uomini di racconti che, anche se profondamente diversi tra loro, hanno tutti una caratteristica essenziale: l’essere impelagati nei propri disastri esistenziali, ognuno con le proprie urgenze, con i propri traumi pregressi che non svaniscono nel presente della narrazione. Su ciascun personaggio pesa il doloroso passato, il passaggio dalla guerra della fine degli anni ’90 al mondo globalizzato. In alcuni racconti l’affanno di quegli anni di conflitto è evidente, in altri non è citato in modo esplicito ma traspare comunque dalle connotazioni caratteriali dei personaggi. C’è chi ha affrontato quel periodo con paura e sconforto, con isteria e preoccupazione, come il ragazzo e la ragazza di Addio alle armi, una storia di amore e di guerra, chiaro richiamo al celebre romanzo di Ernest Hemingway. Il racconto, che inizia con un incipit tutt’altro che premonitore («Giornate calde, notti bollenti. Estate, Dalmazia»), in dodici pagine si fa sempre più impegnativo, grave, passando da un clima di odio verso i serbi invasori alla gioia per l’arrivo in porto di rimorchi croati carichi di armi. Il lettore si imbatte anche in chi, al contrario, non pare preoccuparsi delle granate che esplodono intorno, come Martina, la protagonista di quella che all’apparenza potrebbe sembrare una storia totalmente strampalata, Il formaggione.

È l’argomento di questi giorni: se senti il fischio di una granata, devi buttarti a terra. Perché vuol dire che sta viaggiando nella tua direzione; può caderti in testa, può anche cadere molto dietro di te. Ma meglio non aspettare il risultato in piedi.

Così, tra un bombardamento e un accucciarsi per proteggersi, Martina cammina rapidamente verso casa dei genitori pensando alla grande e rotonda forma di formaggio che trasporta nello zaino. Quel formaggio, che non si sa nemmeno se sia più commestibile dopo dieci giorni di viaggio, è allo stesso tempo il seme della discordia tra la protagonista e il ragazzo che frequenta, e fonte di risate per stemperare la tensione del momento in famiglia.

La guerra nell’ex Jugoslavia ha rinfocolato un antico odio per i combattenti serbi e per i cetnici (termine ripreso dal passato e usato durante il conflitto degli anni ’90 per indicare le milizie irregolari nazionaliste serbe); in alcuni paesi dell’ex repubblica federale ha innescato psicosi, egoismi, nazionalismi. Per contrastare la tragicità degli eventi molti hanno cercato conforto in sostanze psichedeliche, tabacco e alcol, così avviene anche nei racconti di Perišić. Uno di questi è Per chi suona la campana, altro riferimento allo scrittore della generazione perduta, in cui il protagonista racconta di Aleksandar, il proprietario della casa in cui abita abusivamente. Il narratore è in attesa di quest’uomo che da un momento all’altro potrebbe rientrare nel suo appartamento. Un’attesa febbrile che, insieme alla mancanza di sonno, all’alcol (lo aspetta notte e giorno sveglio bevendo birra), all’assunzione di LSD, rende nevrotico il racconto, con una sorpresa nel finale: una proposta per appoggiare una singolare causa in difesa dei diritti umani. In un imperfetto equilibrio tra tragico e comico c’è il grande paradosso raccontato in Non ho smesso di bere, ma ho perso la speranza. All’apparenza una storia su un beone, il Dottore, concretamente, invece, dimostra come la percezione della realpolitik di un paese sia diversa, e alterata in alcuni casi, per ognuno di noi:

Sotto i russi si beveva bene, raccontava il Dottore. Sono stati periodi liberali, voglio dire da noi. E qualcosa si è pure conservato dopo. C’erano quelli che sembravano ortodossi, ma bevevano in segreto. Noi, però, eravamo più audaci, eravamo un pugno di radicali e, ovviamente, si venne a sapere. Bevevamo sempre di più, forse pure per protesta. Comportandoci così, era chiaro che eravamo pro Occidente. Dissidenti, come si suol dire.

 E tutto ciò perché «Giusto perché tu sappia, da noi l’alcol era ufficialmente proibito, dal regime che gli americani stessi hanno aiutato a far salire al potere. Una sorta di democrazia ma senza l’alcol. Con i russi era diverso, è stato il nostro sistema più occidentale». Sostanze che spesso hanno reso il rifugio agognato una trappola di paranoie e fobie e che nelle storie dell’autore croato rendono certe situazioni assurde ed esilaranti.
Nel racconto Strangers in the night, mentre scende la notte e le strade diventano buie, alcuni stranieri si trovano su una panchina a Central Park in attesa di un momento catartico che probabilmente non arriverà mai; contemporaneamente i lettori staranno cercando di decifrare la scrittura cantando tra sé e sé il celebre motivetto interpretato da Frank Sinatra «Strangers in the night exchanging glances, Wondering in the night…». Una lettura ardua.

I personaggi di Perišić ispirano simpatia, insofferenza, sono perlopiù incomprensibili e incompresi, con i loro disastrosi fallimenti esistenziali possono far infuriare ma possono anche suscitare molta ilarità. D’altronde, lo ammettono essi stessi, «Il sorriso aveva contagiato anche il volto di lui, perché i sorrisi si tramandano attraverso certe storie, così come tramite altre storie si trasmettono espressioni del tutto differenti» (in Saluta lo Zar), e ancora «La risata avvicina le persone che non si capiscono» (in Nessun Dio a Susedgrad). Dalla storia più corta (Sotto la scarpa) a quella più lunga (Nessun Dio a Susedgrad), non ce n’è uno che possa dirsi redento, nonostante la costante e inconsapevole espiazione che fa parte dei loro giorni. In fondo, se fossero così trasparenti, accessibili, sarebbero normali, e credo che questo tipo di persona non esista, che normale sia un aggettivo da riferire solo alle cose. Nei racconti Il gran finale è in corso e Saluta lo Zar si fa riferimento a cosa sia considerato normale, alla gente normale, ma ogni essere umano è più complesso di ciò che è conforme alla norma, alla consuetudine, che la complessità sia manifesta o nascosta. In fin dei conti, ne siamo consapevoli noi e anche i protagonisti di Disastri esistenziali e spese folli. In questa sua ultima opera, Robert Perišić fa iniziare tutto da un incontro, dalle storie d’amore, dai tradimenti e da amanti platonici; attraversa matrimoni al tramonto, vendette, amicizie, sesso occasionale, affronta anche i temi del lavoro in fabbrica, dei diritti rivendicati, dei lavori illegali, della disoccupazione, della sanità, della religione, chiamando in causa singoli individui, famiglie, autoctoni e migranti; lo fa sfumando da un racconto all’altro la narrazione, facendo sembrare l’intera opera un’unica macro storia. Quella delle nostre esistenze.