L’amore al fiume (e altri amori corti), di Ezio Sinigaglia

Autore: Ezio Sinigaglia
Editore: Wojtek
pp. 180 Euro 16,00

di Francesca Piovesan

L’amore al fiume (e altri amori corti) ci porta in un campo militare, ma non solo. Ci porta tra uomini giovani, ma non solo. Ci porta in una natura incontaminata, dove l’opera dell’uomo è solo quella messa in scena in queste pagine, dove quella stessa natura assume sembianze ferine, seduttive, erotiche.
Una natura rischiarata dal sole, rinfrescata dall’ombra, puntellata da tende da campo, da divise che appaiono in lontananza luccicanti, perfette e sgualcite.

I racconti di Ezio Sinigaglia ci portano nell’amore, tra corpi che si sfidano e si affidano come i bersaglieri Cecconi e Zanella, intrico di carne e di lingua, quella lingua che divide e unisce, che delimita confini, posizione sociale, affidabilità pura e seduzione ambigua. Quella lingua che l’autore riesce, nella sua imprescindibile differenza, a mutarla in collante, in innamoramento insperato, temuto, stratagemma per svelare l’oscuro, l’inganno.

“Sarebbe troppo pretendere dal bersagliere Cecconi, che ha già compiuto nell’ultima ora progressi tanto impressionanti e ammirevoli, una tranquilla accettazione del fatto di essersi innamorato in quattro e quattr’otto dell’efficace e incantevole bersagliere Zanella (…). Tutto ciò che concerne Mao, la sua anatomia, le sue parole e i suoi gesti è balzato all’improvviso in avanti, in primissimo piano, e si rende facilmente visibile e quasi palpabile, mentre tutto il resto galleggia su uno sfondo grigio e sfocato (…).
“Mò arrivo, a Zzanè!”, grida il feroce Giancrì nella frusciante pace del bosco
e, sulle ali del desiderio, riparte alla caccia.”

Sinigaglia, artigiano di ritmo e parole, scandisce nei dialoghi tempi e luoghi, estasi orgasmiche e fantasie sudate, pièces teatrali come, appunto, in “La pièce”, dove il bersagliere Barigozzi detto Maciste, leggendo ‘La dottoressa dei pompieri’, dirige e interpreta un racconto pornografico dove finisce per immedesimarsi nella stessa dottoressa, nel paziente, in tutti i personaggi, mettendo in scena una vera e propria rappresentazione teatrale licenziosa ma ironica, divertente, a tratti travestita dalla pudicizia e impudicizia dell’infanzia, sfrontata nel suo personale vocabolario.

“Per quanto il concetto di identificazione sia di una complessità e di una sottigliezza che lo pongono nettamente al di fuori delle capacità di astrazione del bersagliere Barigozzi, tuttavia la funzione evocativa del camice è tale da accendere dentro di lui la spaventosa consapevolezza di vivere un’identificazione che non è in grado di nominare e comprendere (...).

I racconti di del libro sono questo, quindi: dizionari del desiderio, che declinano carni, passioni, emozioni e sentimenti; alfabeti  che raccolgono a pieni mani dai dialetti, dalle inflessioni, dal Nord e dal Sud d’Italia; stile che l’autore riesce a rendere magistralmente come suo tratto distintivo, cristallizzandolo in un canone che è riconosciuto, apprezzato, antologizzato.

Il mio consiglio, nell’affrontare questa lettura, è di abbandonarsi al ritmo, alle parole che creano questo ritmo, alla ripetizione che può suonare fra le nostre labbra, allo stupore dei punti esclamativi, alle vocali trascinate, e alle consonanti troncate, assaporando la scoperta di un autore che sta donando ai lettori il suo talento.