Beneficio dell’alcolismo di Michail Afanas'evič Bulgakov

Beneficio dell’alcolismo
di Michail Afanas'evič Bulgakov

Nella stazione nr. ..., all’assemblea indetta per eleggere il mestkom, il membro del sindacato Mikula si è presentato ubriaco fradicio. La massa dei lavoratori gridava: «È inammissibile!», ma il presidente dell’učk ha preso le difese di Mikula, chiarendo che l’ubriachezza è una malattia sociale, e che quindi si può eleggere anche un beone tra i componenti del mestkom...
(«Il rabkor» 2619)

 

Prologo

«Sbattete fuori dall’assemblea quell’ubriacone! È una cosa inammissibile!» gridava la massa operaia.
Il presidente continuava ad alzarsi e a sedersi come se avesse ingoiato una molla.
«Do la parola!» gridava allargando le braccia. «Silenzio, compagni!... Do la paro... compagni, silenzio!... Do la pa... silenzio, compagni! Compagni! Vi prego di ascoltare il rappresentante dell’učk.»
«Fuori Mikula!» gridava la folla. «Bisogna farla finita con quell’ubriacone!»
Dietro il tavolo della presidenza comparve il volto del rappresentante dell’učk. Un volto circonfuso da un sorriso benevolo. La massa continuò per qualche istante ad agitarsi come un oceano, poi si placò. «Compagni!» esclamò il rappresentante dell’učk con una piacevole voce baritonale.

«Io sono il presidente.
Solo un’onda Del mar che siete voi, massa sovietica!
Mar burrascoso, massa frenetica;
Come può dell’učk non essere turbato
Se con lui tutto il mare è agitato?»

Questo esordio blandì straordinariamente la folla.
«Parla in versi!»
«Sei il nostro benefattore!» esclamò una vecchina entusiasta, e scoppiò in singhiozzi. Quando l’ebbero portata fuori, il rappresentante dell’učk continuò:
«Perché tumultuate, o campioni del popolo?».
«È per via di Mikula che tumultuiamo!» rispose la folla.
«Bisogna sbatterlo fuori! È una vergogna!»
«Compagni! È proprio di Mikula che intendo parlare!»
«Giusto! Digliene quattro a quell’alcolizzato!» «Innanzitutto dobbiamo porci un interrogativo: è davvero ubriaco il menzionato Mikula?» «Oh-oh-oh-oh-oh!» cominciò a gridare la massa.
«Va bene, d’accordo, è ubriaco» convenne il rappresentante dell’učk.
«A questo proposito non sussiste dubbio alcuno. Ma a questo punto dobbiamo porci una domanda di rilevanza sociale: quali sono le cagioni dell’ubriachezza dell’esimio membro del sindacato Mikula?»
«È il suo onomastico!» rispose la massa.
«No, cari cittadini, non è questa la causa. La radice del male sta molto più a monte. Il nostro Mikula è ubriaco perché è... malato.»
La massa restò impietrita come una colonna di sale. Mikula, paonazzo, aprì un occhio completamente offuscato e guardò terrorizzato il rappresentante dell’učk.
«Proprio così, carissimi compagni, l’ubriachezza altro non è che una malattia sociale, come la tubercolosi, la sifilide, la peste, il colera e... prima di parlare di Mikula pensiamo un attimo a cos’è l’ubriachezza e a che cosa è collegata. Un tempo, cari compagni, l’allora principe Vladimir, soprannominato “rosso solicello” per la sua inclinazione verso le bevande alcoliche, ebbe ad esclamare: “Egli è il bevere, il nostro diletto!”.» «L’ha rivoltata proprio bene!»
«Meglio di così è difficile. I nostri storici hanno messo nel giusto valore le parole dell’inobliabile principe, e hanno incominciato a poco a poco a bere, esclamando in aggiunta: “Ubriaco ma attento / ha più d’un talento”.»
«E il principe?» chiese la folla, vivamente interessata alla relazione del segretario.
«Morì, poverino. La vodka lo bruciò tutt’a un tratto» spiegò con aria afflitta il segretario-cacasenno.
«Pace all’anima sua! È già in paradiso!» squittì una vecchierella. «Sarà stato anche sovietico, ma è sempre un santo.»
«Tu, nonnina, non propagare l’oppio religioso nelle assemblee» la rimbeccò il segretario. «Qui non ci sono anime né paradisi. Vado avanti, compagni. In seguito, nella società borghese sbevazzarono tutti per novecento anni di fila, senza alcun riguardo per i bambini e per gli orfani. “Per sapere devi bere” disse una volta Turgenev, un famoso poeta del periodo borghese. In seguito si sviluppò tutta una serie di proverbi di umorismo popolare in favore dell’alcolismo, come “bocca ubriaca, bocca sincera”, “non ti mettere in cammino se la bocca non sa di vino”, “non è il vino ma il tempo che ubriaca l’uomo”, “chi fa da sé fa per tre” e quali diavolo altri?...»
“Il tè non è la vodka, non ne puoi bere più che tanto”» rispose la massa, straordinariamente interessata. «Già, merci. “Meglio la botte della bottiglia”, “Bevono persino le galline”, “Si muore a bere, e anche a non bere”, “Versa, compagno, versa, un bicchiere alla salute!”...»
«Dio-solo-sa cosa sta succedendo...» gorgheggiò in accompagnamento Mikula, sbronzo fino agli ocelli. «Compagno ammalato, siete pregato di non cantare durante l’assemblea» disse cortese il presidente. «Andate avanti, compagno oratore.»
«Preghiamo» continuò l’oratore, «preghiamo il creatore, prima ci facciamo un bicchierino, e poi anche un cetriolino, oh, signor mio, gendarme, siate buono con me, portatemi in guardina se ancora un posto c’è, i signori avventori sono pregati di non bestemmiare e di non dare mance, di febbraio di ventinove me ne son scolate nove, tutti i giorni antipasti freschi assortiti, trallallera trallallà...»
«Dove state andando, voi?» ringhiò ad un tratto il presidente. Cinque persone improvvisamente avevano lasciato di soppiatto il loro posto ed erano sgattaiolate via.
«Non hanno retto il discorso» spiegò la massa in estasi, «li ha convinti con l’eloquenza. Son corsi in birreria, prima che chiudano.»
«Dunque!» sbraitava l’oratore. «Guardate a che punto siamo infetti di questa malattia sociale. Ma non turbatevi, compagni. Prendete, per esempio, quel talento innato che fu il nostro Lomonosov nel diciottesimo secolo: amava moltissimo alzare il gomito, e ciononostante risultò un eccellente scienziato e un buon compagno, tanto che gli hanno fatto il monumento davanti all’edificio dell’università, in via Mochovaja. E potrei portarvi tanti altri esempi lampanti, ma non ne ho più voglia... Concludo e passo alla votazione.»

Epilogo

... e pertanto la massa operaia ha eletto fra i candidati al mestkom un noto alcolizzato, che ancora il giorno dopo se ne stava seduto sul binario ubriaco come un tegolo sollazzando con le sue freddure i perdigiorno e raccontando che bere è lecito a patto che non ci siano danni.

 
(Dalla stessa lettera del «rabkor»)