La fascinazione dello stagno, di Virginia Woolf

La fascinazione dello stagno
di Virginia Woolf

Forse l’acqua era molto alta – di sicuro non se ne vedeva il fondo. Intorno ai bordi stava una frangia di giunchi così spessa che le loro immagini riflesse creavano un’oscurità come l’oscurità di acque molto fonde. Però nel mezzo c’era qualcosa di bianco. La grande fattoria a un miglio di lì era in vendita e qualche tipo zelante, o forse era stato uno scherzo di qualche ragazzino, aveva conficcato uno dei manifesti annuncianti la vendita, con cavalli da tiro, attrezzi agricoli, e giovenche, su di un pezzo di tronco a fianco dello stagno. Il centro dell’acqua rifletteva il cartello bianco e quando soffiava il vento il centro dello stagno sembrava sventolare e incresparsi come un telo steso ad asciugare. Si potevano seguire le linee dei grossi caratteri rossi con cui era stampato nell’acqua «RomfordMill». Nel verde che si allargava in cerchi da una riva all’altra si vedeva un tocco di rosso.
Ma se uno sedeva tra i giunchi a osservare lo stagno – gli stagni posseggono non so che fascino curioso – le lettere rosse e nere e la carta bianca sembravano appoggiate appena a filo d’acqua, mentre al di sotto si svolgeva una profonda vita sommersa, simile al rimuginare, all’elucubrare della mente. Molte, molte persone dovevano essere venute qui, sole, nei giorni, nei secoli, a lasciar cadere i loro pensieri nell’acqua, a porre all’acqua certe domande, come facciamo noi in questa sera d’estate. Forse era quella la ragione del suo fascino – che custodiva nelle sue acque ogni sorta di fantasie, lagnanze, confidenze non stampate o dette a voce alta, bensì allo stato liquido, galleggianti l’una sull’altra, quasi disincarnate. Un pesce ci avrebbe nuotato in mezzo, per essere poi tagliato in due dalla lama di una canna; oppure la luna le avrebbe annullate con la sua grande piastra bianca. Il fascino dello stagno era di contenere pensieri lasciati da persone che se n’erano andate e senza i corpi i loro pensieri vagavano liberamente, cordiali e comunicativi, nello stagno collettivo.
Di tutti questi liquidi pensieri alcuni sembravano aderire formando persone riconoscibili – per lo spazio di un istante. E si vedeva formato nello stagno un viso rosso baffuto che si chinava sopra di esso, che lo beveva. Venni qui nel 1851 dopo l’afa dell’Esposizione Universale. Vidi la regina inaugurarla. E la voce aveva dentro una risatina liquida, di agio, come se l’uomo si fosse tolti gli stivaletti con la banda elastica e avesse deposto il cilindro sul bordo dello stagno. Dio, che caldo faceva! E adesso tutto finito, tutto in briciole, naturalmente, parevano dire i pensieri, ondeggiando tra le canne. Invece io ero una ragazza, cominciò un altro pensiero, scivolando al di sopra del primo silenziosamente e compostamente come pesci che non si intralciano. Una ragazza innamorata; venivamo qui dalla fattoria (il cartello della sua vendita si rifletteva sul filo dell’acqua) in quell’estate del 1662. I soldati dalla strada non ci videro mai. Faceva molto caldo. Ci sdraiavamo qui. Giaceva nascosta tra le canne con il suo amante, ridendo nello stagno e lasciandosi scivolare dentro pensieri di amore eterno, di baci ardenti e di disperazione. E io fui molto felice qui, disse un altro pensiero, occhieggiando vivace sopra la disperazione della ragazza (si era annegata). Venivo qui a pescare. Non riuscimmo mai ad acchiappare la carpa gigante, ma una volta la vedemmo – il giorno che Nelson combatté a Trafalgar. La vedemmo sotto il salice – parola mia! che mostro era! Dicono che non venne mai catturata. Ahinoi, ahinoi sospirò una voce, scivolando sopra la voce del ragazzo. Una voce così triste doveva venire dal fondo stesso dello stagno. Risaliva da sotto le altre come fa un cucchiaio che solleva tutto quel che c’è in una tazza d’acqua. Era la voce che tutti volevamo ascoltare. Tutte le altre voci scivolarono dolcemente da una parte dello stagno per ascoltare la voce che sembrava così triste – che di sicuro doveva conoscere la ragione di tutto questo. E tutte volevano sapere.
Allora ci si fa più vicini allo stagno e si fanno da parte le canne per vedere più giù, attraverso le immagini riflesse, attraverso i volti, attraverso le voci, fino al fondo. Ma là, sotto l’uomo che era stato all’Esposizione; e la ragazza che si era annegata e il ragazzino che aveva veduto il pesce; e la voce che gridava «Ahinoi! Ahinoi!» c’era pur sempre qualcosa d’altro. C’era sempre un altro volto, un’altra voce. Veniva un pensiero e ricopriva l’altro. Perché sebbene vi siano momenti in cui parrebbe che un cucchiaio stia per sollevarci tutti alla luce del giorno, i nostri pensieri e desideri e domande e confessioni e disillusioni, chissà come il cucchiaio scivola sempre giù e noi rifluiamo nuovamente oltre il bordo dentro lo stagno. E ancora una volta tutta la parte centrale viene ricoperta dal cartello che annuncia la vendita della fattoria di RomfordMill. Per questo forse ci piace tanto sedere a guardare dentro gli stagni.