Viaggio avventuroso, di Karl-Markus Gauss


di Giordana Restifo

«Periodicamente ci sono studiosi o autori pretenziosi che denigrano le forme identificatorie del leggere, quel leggere in cui ci immedesimiamo nei personaggi di un romanzo, facciamo nostre le atmosfere evocate liricamente e insomma ci atteggiamo come se tutti i libri di ogni epoca siano stati scritti proprio per noi, perché li leggiamo e ci riscopriamo in essi. Si può ritenere troppo piatta questa pratica identificatoria che trascende le differenze d’epoca, di nazione, di classe sociale, ma se non esistesse questo modo di leggere sensitivo o appropriativo, non esisterebbe neanche la letteratura».

Quante volte, leggendo, è capitato di pensare che quella determinata situazione raccontata nelle pagine di un libro l’avessimo vissuta in modo simile? O che un personaggio, una frase, un paragrafo, stessero parlando di noi o a noi? Ed è questa la sensazione nella quale ci si potrebbe imbattere durante la lettura di Viaggio avventuroso intorno alla mia camera dell’austriaco Karl-Markus Gauss, appena pubblicato da Keller editore e tradotto dal tedesco da Enrico Arosio. L’autore compie un viaggio davvero avventuroso, come recita il titolo, senza muoversi dalla sua abitazione a Salisburgo, costruita nel 1896. In queste pagine, dense di storie, trovano spazio oggetti di famiglia e alcune digressioni di vita vissuta all’esterno della casa.
Per affrontare meglio il viaggio ho deciso di partire dalla fine, infatti, la citazione posta all’inizio si trova nelle ultime pagine dell’opera di Gauss. Il motivo di questa scelta è che le parole dell’autore mi sono sembrate un buon consiglio, generale e particolare, per approcciarsi alla lettura di Viaggio avventuroso intorno alla mia camera. Sin da subito, si ha come l’impressione di leggere qualcosa di familiare; gli oggetti, la casa, l’atmosfera, sembrano descritti in modo tale da evocare in noi ricordi, alcuni vicini, altri smarriti nel tempo. L’epifania vera e propria l’ho avuta quando Gauss, in uno dei primi paragrafi (o brevi capitoli – tutto il libro è così suddiviso e in ognuno vi è un soggetto diverso), si serve di un baule degli anni Ottanta del XIX secolo, appartenuto a suo suocero, per raccontarci la storia di quest’ultimo e della grande emigrazione che avvenne dopo la prima guerra mondiale dal Sud Tirolo. Il cassone, al cui interno adesso sono posti i raccoglitori della corrispondenza dell’autore, è stato utilizzato di rado per il suo scopo originale, cioè quello di baule da viaggio d’oltremare. È in legno massiccio, dipinto di un blu scuro, con gli spigoli rivestiti di larghe strisce metalliche chiodate e per chiuderlo vi sono tre grandi serrature di metallo, una delle quali, quella centrale, è fornita di una piccola chiave. Ebbene, in un piccolo paese di provincia, in Sicilia, esisteva un baule non dissimile, color legno, di fattura fine Ottocento, con larghe strisce metalliche chiodate e tre grandi serrature (la chiave è andata perduta), probabilmente importato da qualche viaggio. Apparteneva al mio bisnonno Francesco e anche in questo caso fu usato poco per il suo fine, contenere il corredo. Il bisnonno, infatti, se ne serviva per riporvi gli oggetti da lavoro, nella sua fabbrica di essenze, fallita durante la seconda guerra mondiale. All’interno del baule vi è una cassettina segreta che, di generazione in generazione, ha cambiato contenuto: lettere, gioielli, bambole, contanti. Mentre leggevo la storia di Gauss e di suo suocero, sono andata nella stanza degli ospiti di casa mia, ho sorriso, riaperto il baule del bisnonno e mi sono lasciata trasportare nel movimentato viaggio dell’autore austriaco.

 

Ispirazioni letterarie e divagazioni

Come già era stato per Nella foresta delle metropoli (Keller, 2021), precedente opera di Gauss, anche questo lavoro non è inquadrabile in un genere specifico. Ha lo schema e la brevità dei racconti, il fascino dei romanzi con molte sfumature autobiografiche e l’oculatezza dei saggi. Anche Viaggio avventuroso intorno alla mia camera è costellato di incontri con poeti, scrittori e scrittrici, pensatori, sovversivi che hanno fatto la storia di un paese. Sono presenti persino personaggi “bislacchi”, come Ettore Tolomei, politico, studioso, «colui che era ossessionato dall’estirpare tutti i nomi non italiani fino all’arco alpino» e per il quale il sostantivo “fascista” era un titolo onorifico; di costui ne parla Klaus Stiller in Die Faschisten. Italienische Novellen, libro posseduto da Gauss nella sua biblioteca in soggiorno e che, non appena riaperto, lo porta subito indietro nel tempo al momento in cui lo aveva letto per la prima volta.
Tutt’altra personalità è, invece, Xavier de Maistre, scrittore, pittore e militare sabaudo, probabilmente massimo ispiratore di questo viaggio. Scrisse alcuni libri durante e sulle sue peregrinazioni in giro per l’Europa, ma la sua fama letteraria è dovuta a un “libricciuolo”, come lo definisce lui stesso, dal titolo Viaggio intorno alla mia camera (Dalla Tipografia e Libreria Manini ne’ Tre Re, Milano, 1824). In seguito a un duello, de Maistre finì agli arresti domiciliari per quarantadue giorni. All’epoca ventisettenne, considerò la punizione come un dono e in questa sorta di ironico “diario di prigionia” descrive i pochi oggetti quotidiani (il letto, la scrivania, alcuni quadri e libri) e il mondo intero che lo circonda fuori dalla stanza, attraverso un flusso di ricordi, fantasie, idee. Altri autori e autrici hanno percorso sentieri simili, come Bernd Stiegler o Sophia von La Roche con il suo Mein Schreibtisch (La mia scrivania); centoquarant’anni dopo sarebbe stato pubblicato Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf.
E quale gioia trovare nella casa di Salisburgo alcuni scaffali dedicati alla letteratura slava, opere tradotte dal polacco e dal ceco, dall’ucraino e dal russo, dal sorabe e dal macedone. In questi sono sistemati anche autori ungheresi, greci e albanesi come il famoso narratore Ismail Kadare, sebbene l’autore immagini la riluttanza dell’albanese a stare in mezzo agli slavi. Ci sono i volumi del poeta kosovaro Ali Podrimja, che riportano alla mente di Gauss i primi incontri con lui e con la popolazione del Kosovo (perlopiù esuli residenti in altri paesi). Infine, c’è la presenza, influsso evidente, di Danilo Kiš, i cui romanzi e racconti contengono lunghi e suggestionanti elenchi.
Non ci si imbatte solo in scrittori, ma anche in filosofi come John Berger e Ernst Bloch, in esploratori come Oscar Baumann e Friedrich Julius Bieber, in partigiani jugoslavi come Stjepan Filipović, in poeti come Albert Ehrenstein, solo per citarne alcuni. Quest’ultimo ricorda a Gauss un appagante periodo della sua vita in cui amava sprofondare in libri tristi, in lui aveva trovato tutto ciò che riteneva all’epoca “vera letteratura”: «il lamento, l’accusa, lo sdegno – e il suono acuto della disperazione». Ehrenstein e la sua lirica furono i protagonisti del suo primo libro, sebbene, anni dopo, si rese conto di aver frainteso l’autore e i suoi scritti. Al poeta austriaco è legato anche un altro ricordo importante, quello dell’ultima volta che vide l’amico Fritz Kohles prima che questi morisse. Kohles gli portò in regalo un testo autografo incorniciato proprio del poeta austriaco, scovato in una libreria antiquaria, oggi appeso vicino alla porta di ingresso come benvenuto a chi entri in casa di Gauss. Nell’abitazione di Salisburgo, infatti, c’è spazio per tutti, per i vivi, per i morti, per personaggi che sono stati d’ispirazione a livello mondiale e per altri criticati e dai quali prendere le giuste distanze; c’è spazio soprattutto per gli amici e i famigliari dell’autore, che ci fanno pensare alle persone delle nostre vite.

Il richiamo degli oggetti

Se le nostre case rispecchiano i nostri gusti (e i nostri compromessi), gli oggetti dicono agli altri, e a noi stessi, chi siamo, ma anche chi sono le persone a noi care, chi erano i nostri avi. Da dove partire per raccontare di tutto ciò che si ha intorno nella quotidianità? Arrivati a metà di Viaggio avventuroso intorno alla mia camera, è Gauss stesso a suggerirci la risposta:

«L’attrazione che proviamo per determinati oggetti ha un che di enigmatico; non solo perché rimane inspiegabile che cosa essi abbiano davvero a che fare con quella, ma, di più, perché noi stessi non sappiamo come siamo arrivati a tal punto. Ci sono cose scomode, maltenute, malandate, a cui non posso rinunciare, mentre altre cose meritevoli di apprezzamento e conservazione le ho brutalmente espulse dal mondo dei miei oggetti e subito dimenticate».

Credo sia questo l’assunto dal quale è partito l’autore per scegliere gli oggetti da menzionare. I numerosi quadri e i “devotionalia”, che creano una «composizione pietroburghese», Gauss si riferisce alla densità delle sale dell’Ermitage di San Pietroburgo, evitano alla famiglia di arrovellarsi su dove appendere i nuovi arrivati, poiché andranno a coprire i pochi spazi rimasti vuoti. Tra questi, ben trentaquattro sono a firma di Herbert Breiter, grande amico, pittore e unico promotore che Gauss abbia mai avuto. Ci sono le tovaglie e i tovaglioli dei bisnonni, cimeli utilizzati per le occasioni, quando si vuole scherzare con gli ospiti sulle vicende famigliari «nel riflesso della grande Storia» e che richiamano, ancora una volta, le antiche origini e Merano, quella città del Sud Tirolo dalla quale andarono via i parenti.
Anche Gauss, come Sophia von La Roche, ha un’affezione particolare per la sua scrivania, costruita tra il 1870 e il 1890. Prima di entrare nella vita di questo oggetto e di tutti quelli che vi trovano alloggio sopra o nei cassetti, l’autore, con un divertente prologo, spiega come lo scrittoio sia entrato nella stanza in cui si trova e come da quella non ne uscirà più. Chili di carta, documenti, recipienti con penne e contenitori in latta con matite, scatole piene di quaderni con appunti, sia di vecchi lavori sia per libri mai scritti (avvincente anche il passaggio che questi quaderni fanno nel tempo di cassetto in cassetto, dall’alto verso il basso e fino all’oblio), un minimappamondo alla cui base è inserito un temperamatite non funzionante, una barchetta sottile (modellino di una “Ulmer Schachtel”), una cartolina regalatagli da un prete in Svezia e dei biglietti da visita di professionisti incontrati nello stesso viaggio, tutti questi oggetti hanno una loro storia personale che si portano dietro e un loro spazio preciso sulla scrivania di Gauss. Sullo scrittoio, inoltre, c’è un portacenere in vetro giallo proveniente da Murano, un regalo dello zio Hugo ereditato dalla madre; è legato al racconto di un viaggio a Venezia ma anche al ricordo del padre di Gauss che in quel portacenere ha «spento migliaia di sigarette fino ai suoi ultimi giorni di vita».
Vagando in giro per casa l’autore celebra quella che a tutti gli effetti definiremmo una collezione, anche se lui preferisce classificarla come un attaccamento a determinati oggetti: scatoline degli alberghi con dentro cuffie da doccia, mai utilizzate ma ben catalogate con data e luogo di provenienza. «Un indumento della solitudine» per il quale Gauss prova un’attrazione particolare perché lo collega alle tappe del suo sviluppo personale. E, aprendo una parentesi sul souvenir, l’oggetto per eccellenza, quello che chiunque di noi ha in casa, ci porta alla scoperta di un’altra raccolta numerosa che possiede: tazze provenienti da tutto il mondo, comprate da sé o portate in dono da persone care che fino a qualche ora prima erano state turiste, viaggiatrici. A proposito dei souvenir (o, in questo caso, meglio dire gadget), Gauss ci parla della maglietta con stampata la fotografia del partigiano jugoslavo Stjepan Filipović con il cappio al collo nel giorno della sua esecuzione, ricevuta a Zagabria nel maggio 2013 in qualità di ospite al Subversive Festival. Raccontandoci del disagio provocatogli dall’idea di indossare una t-shirt con l’immagine di un uomo che sta per essere impiccato, ci riporta alla lotta per la liberazione dei Balcani e alla storia della Jugoslavia.
La sua attenzione si sofferma poi su un vecchio orologio a muro regalatogli per i cinquant’anni da una coppia di amici e che non è stato più caricato assiduamente da quando hanno capito che «il tempo scorreva troppo rumorosamente». Nelle pagine di Gauss ci sono anche un elogio alla sua camicia più vecchia, comprata da sua moglie in un negozio di mobili e oggetti scandinavi, dalla quale, nonostante i suoi trentacinque anni di onorata carriera e il fatto che sia ormai completamente sciupata, non riesce a separarsi, e una lezione di storia (dei materiali, del design) e di scienze etnoantropologiche che si sviluppa dall’attenta osservazione di un tagliacarte della ditta Hatschek, dal nome del fondatore della dinastia, nonché colui che inventò il cemento-amianto e il marchio Eternit.
Durante questo picaresco viaggio, l’autore, attraverso le considerazioni sulle modalità di scambio interpersonale che si modificano nel tempo (si concentra sulle lettere che si mandavano prima dell’avvento delle email e dei social network) e due excursus, uno sulla fenomenologia dell’attesa, l’altro sull’ebbrezza, coinvolge tutti i lettori. Alcune sono osservazioni che, almeno una volta nella vita, ognuno di noi ha trattato durante una cena con gli amici, sul divano con il coniuge o tra sé e sé. È come se alcuni aspetti del pensiero di Gauss li conoscessimo già da prima, mentre su altri ci invita a riflettere e ad approfondire. Anche se ad oggi le limitazioni per arginare il Covid-19 sono cessate quasi del tutto e si è tornati a viaggiare, non è necessario percorrere chilometri per scoprire le ricchezze e le meraviglie del mondo, perché spesso vivono con noi nelle nostre case.

«È casa quello spazio in cui tutti gli oggetti esistono come soggetti», ci dice Emanuele Coccia (Filosofia della casa, Einaudi, 2021).