Maud Martha, di Gwendolyn Brooks


di Debora Lambruschini

 

Il racconto è una forma sfuggente, dai confini labili e spesso rifiuta etichette troppo rigide. È malleabile, mutevole, aperto ad accogliere le istanze del nuovo e aprirsi ad altre strade. Il racconto è nella molteplicità delle tante forme che può assumere. È problematico, quando una visione critica troppo rigida lo vuole incasellare o quando il mercato editoriale gli appone un’etichetta più facile da veicolare. La vita delle ragazze e delle donne, per esempio: è presentato come “l’unico romanzo di Alice Munro”, eppure basta leggerlo per rendersi conto che sono racconti e che se proprio vogliamo applicargli una definizione forse potrebbe essere quella di short story cycle; sono sette racconti strettamente collegati tra loro che attraversano le diverse fasi ed età della vita di un’unica protagonista, seguendo un preciso ordine cronologico. Qualcosa di simile a quanto la stessa Munro ancora fa con Chi ti credi di essere. O, altro celebre esempio, Olive Kitteridge di Elizabeth Strout, chiamato “romanzo in racconti”, etichetta che ha più a che fare con il marketing che con la critica letteraria, perché promuovere le raccolte di racconti è particolarmente complesso e sono necessari strumenti adeguati; così molto spesso si sceglie un’altra strada, si camuffano, si fa leva su una certa organicità di fondo e un’architettura che possa avvicinarle al romanzo.
Ma tra romanzo e racconto esistono anche tante forme ibride, che si muovono a confine e lo scavalcano. Testi, per esempio, in cui la commistione tra fiction e memoir rende ulteriormente difficile la loro classificazione ma che nell’invenzione letteraria sembrano meglio aderire alla forma racconto: Inventario di alcune cose perdute, di Judith Schalansky, il Quaderno dei fari di Jazsmine Barrera, testi ibridi che si muovono dall’una all’altro e la stessa frammentazione interna è racconto. Ed è la scrittura a tenere insieme ogni cosa, l’intreccio di reale e invenzione letteraria, la commistione di genere tra racconto, saggio, memoir, le occorrenze tra i testi. È, più di ogni cosa, la postura autoriale a tracciare il confine tra romanzo e racconto. È l’intensità del frammento che prende forma sulla pagina, l’aspirazione a «un momento di verità, non alla verità tutta» che è l’essenza del racconto. Il racconto è «un punto di domanda», come diceva Grace Paley, «comincia dopo che qualcosa è già accaduto, finisce quando qualcos’altro deve ancora accadere: lascia fuori un bel pezzo della storia, e certe volte quello che resta fuori è perfino più importante di quello che c’è dentro», le fa eco Cognetti.
Si apre a innumerevoli possibilità narrative, di forma e nel superamento di certi confini rifugge quindi le etichette.
Che cos’è perciò un testo come Maud Martha, di Gwendolyn Brooks? È un romanzo frammentario e che porta in sé l’eco della sensibilità poetica dell’autrice (la prima poetessa afroamericana a vincere il Pulitzer, tra l’altro)? O sono racconti, uno short story cycle che ricostruisce frammenti della vita della protagonista? Trentaquattro capitoli-storie in cui la materia letteraria si mescola allo spunto autobiografico, rielaborato e trasfigurato sulla pagina, a sfilacciare ulteriormente legami di forma troppo stretti. Un testo ibrido, quindi, che si muove a confine e che ha il respiro del racconto: nei frammenti di cui si compone la narrazione, istantanee della vita della protagonista Maud Martha, i dettagli minimi che si caricano di significato, che ci permettono di arrivare al cuore del personaggio. Diceva Carver che il racconto è la finestra sulla casa di qualcun altro: osserviamo da fuori, solo intuendo quello che c’è dentro, ci facciamo un’idea di chi abita in quella casa, ne immaginiamo la vita, ma riflettiamo soprattutto sulle molte cose che non sappiamo del suo interno. Brooks ci fa osservare da quella finestra dentro la vita della sua Maud Martha e con lei uno spaccato del mondo in cui si muove, l’America dagli anni Venti al Dopoguerra. E se il racconto ha molto in comune con forme espressive altre come la fotografia, qui è la poesia a lasciare l’eco più forte, che si avverte non tanto – o non solo almeno – per lo spazio occupato dalla narrazione sulla pagina, quanto per la cura con cui la parola è selezionata, e che si rispecchia in un attento lavoro di traduzione firmato da Gioia Guerzoni che per La Nave di Teseo cura questa prima edizione italiana. Come lettori il racconto ci chiede sempre un grado di attenzione maggiore e ogni parola, ogni segno di punteggiatura o spazio bianco deve essere quello giusto, carico di un significato che la lettura attenta gli riconosce; come per la poesia, come per ogni altro lavoro artigiano, lo scrittore di racconti cesella l’opera, lavora di scalpello, seleziona con cura e una parola può aprire squarci.

 

Quello che voleva sognare, e sognava, era affar suo. Le piaceva soffermarsi sul colore e le superfici morbide e i materiali pastosi, su una bellezza complessa, su superfici lucide come perle. Che problema c’era? E poi, chi poteva giurare che non sarebbe mai riuscita a realizzare il suo sogno? Magari non proprio tutto, certo! Ma qualcosa? Una parte?

Aveva diciotto anni, e il mondo aspettava di accarezzarla.
 (p. 53)

 

Può il mondo “accarezzare” una ragazza che si affaccia alla vita adulta? Quanta ambiguità e sfumature ci sono in questa parola? Quante future delusioni, quanta attesa? Quanta commistione di sensi?
Brooks maneggia le parole con attenzione, se ne prende cura, e passa da un registro all’altro con l’abilità di chi è abituato a ragionare sul testo lirico. Anche nello spazio di un solo capitolo-racconto, il registro è mutevole, l’ironia si intreccia al dramma, la rabbia alla gioia, e il racconto in terza persona riesce comunque ad avvicinarci il più possibile a Maud. Non è lei, ma di lei che raccontiamo. Dell’ordinario, del quotidiano, di vite e felicità semplici; di delusioni, battute d’arresto. Dei desideri di una ragazza che sta diventando adulta, le memorie d’infanzia e gli episodi minimi che si caricano di significato; la scoperta della città, le sue occasioni. E, ancora, i sentimenti e la mutevolezza dell’amore, le piccole crisi all’interno di un matrimonio, i progetti, la realtà.

 

Ma non vedeva l’ora che finisse, non vedeva l’ora di tornare a casa con suo marito, di chiudersi la porta alle spalle. Allora forse sarebbe stato più affettuoso, forse le avrebbe dato qualcosa di più della cortesia distratta degli ultimi tempi.

(p.78)

 

C’è un’ombra però che attraversa tutta la narrazione, ora esplicita, ora meno: il razzismo. E come potrebbe non esserci, almeno in minima misura, nelle parole di una poetessa afroamericana che immerge la sua protagonista nera nell’America del primo Novecento? Maud bambina fa la prima esperienza di quanto sottile e radicato sia il razzismo: alla festa di Natale ai grandi magazzini Babbo Natale non ha con lei la stessa dolcezza che dimostra agli altri bambini, la stessa generosità. Non le stringe la mano, nemmeno. La narrazione è disseminata di pietre come questa, ora esplicitamente ora meno. E la paura, sottile, sempre presente, di innervosire qualcuno solo con la propria presenza, da dover giustificare, sempre. Sentirsi legittimati, che valore ha per noi che ci siamo abituati? Restare nell’ombra, non farsi notare più del dovuto,per non sentirsi invece degli intrusi.

 

Quando il film terminò e le luci li mostrarono per quello che erano, dei neri, si alzarono tra le pellicce e le stoffe buone e i profumi delicati e si guardarono intorno nervosamente. Speravano di non incontrare sguardi crudeli. Speravano che nessuno vedesse la loro presenza come un’intrusione. […] Se solo non li avessero guardati come degli intrusi…

(p. 73)

 

Brooks riflette sulla tematica razziale da punti di vista diversi, portando tra le mura domestiche, tra gli stessi affetti, il disagio. Maud è “troppo nera” perfino per il marito, che in una sala da ballo sceglie una compagnia dalla connotazione razziale meno immediata.
Sono lame che graffiano la pagina, parole scelte con cura a comporre spaccati di quella esistenza. Trentaquattro capitoli. Trentaquattro racconti.