La pratica letteraria nelle lettere di Goliarda Sapienza

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di Marina Bisogno

Goliarda Sapienza è stata molte cose: una sceneggiatrice, un’attrice, soprattutto è stata una scrittrice. Quando la letteratura si impone nella sua esistenza e diventa forma espressiva assoluta e prioritaria, non c’è spazio per molto altro. Non che la passione per il cinema o per il teatro si dissolva: semplicemente occupa un posto diverso. Dal momento in cui Goliarda Sapienza si riconosce nella composizione narrativa, inizia a temere i giorni antiletterari, quelli senza scrittura e senza raccoglimento. Proprio per concentrarsi scappa sovente al mare, lontano da Roma, città di adozione, e raggiunge Gaeta, insieme a Angelo Pellegrino, marito e curatore delle sue opere postume, compreso il testo Lettere e biglietti, La nave di Teseo editore. Pellegrino si è impegnato affinché le numerose lettere che Goliarda indirizzava ad amici e conoscenti fossero pubblicate: è il tassello mancante di un mosaico artistico che rivela molto di questa pensatrice contestata, incompresa e poi ricercata.
Le lettere si susseguono in ordine cronologico dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, poco prima della morte di lei. In pratica, Sapienza ha spedito biglietti per quarant’anni e amava farlo, se non altro perché detestava usare il telefono. Lo dice lei stessa e lo conferma Pellegrino nell’introduzione; inoltre Goliarda credeva che scrivere, fissare sulla carta le parole, contribuisse a creare un ponte comunicativo più efficace con il suo interlocutore, al riparo dagli equivoci dell’emotività. A ben vedere, le lettere sono tutt’altro che una messa in sicurezza del dialogo: sono divagazioni spassionate, ragionamenti, invettive, richieste timide di aiuto, ringraziamenti. Sono la manifestazione del temperamento vulcanico (momenti di quiete si alternano a vere e proprie esplosioni emotive) della scrittrice.

La prima lettera della raccolta è indirizzata al regista Francesco Maselli: sono gli anni Cinquanta, Roma ha ancora addosso i segni della guerra, la scrittrice - all’epoca dedita alla sceneggiatura, al teatro e al cinema - ha una relazione con lui. Lei e Maselli sono amici di Luchino Visconti che ha una fascinazione per Goliarda, per il suo sguardo malinconico, il suo sorriso. Una decina d’anni dopo, in una lettera allo scrittore Enzo Siciliano, Goliarda Sapienza dichiara la sua sudditanza alla scrittura e rimarca l’importanza che il parere di Siciliano ha per lei, come quello della giornalista Adele Cambria. È già il punto in cui scrivere coincide col vivere, in cui scrivere è un mestiere ma anche un modo di esistere. A Siciliano Goliarda racconta del suo Lettera aperta, del personaggio di Modesta (voce narrante del suo L’arte della gioia, pubblicato postumo grazie a Pellegrino) e gli parla anche dell’amicizia tra uomo e donna, concetto inviso al movimento femminista. Le parole di Goliarda per Siciliano sono scintillanti:

 

È stato duro per me - in questi ultimi dieci anni – assistere all’insano neofitismo che come un veleno (sicuramente instillato dal potere: dividere l’uomo dalla donna per sconfiggerli entrambi, tecnica antica usata anche per le razze, i lavoratori, ecc.), mi costringeva a contrastarle dentro e fuori di me. Sempre lotterò per l’amicizia fra l’uomo e la donna, pianeti così diversi e così simili,
bisognosi l’uno della diversità dell’altro
.


Adele Cambria e Enzo Siciliano sono i maggiori sostenitori de L’arte della gioia e del personaggio di Modesta, ma gli editori non vogliono saperne: l’Italia è nel bel mezzo degli anni di piombo quando Goliarda lo propone alle case editrici che guardano con sospetto il libro e la libertà di pensiero della voce narrante. Il nostro Paese, in realtà, non sarà mai pronto per Modesta, che conquisterà, molti anni dopo, prima gli editori d’Oltralpe. A un certo punto della sua vita, Goliarda versa in condizioni economiche preoccupanti, commette un furto e finisce, seppur per poco, in galera. Il carcere si rivela un’esperienza fondamentale per l’autrice che stringe amicizia con numerose detenute, tra cui Mirella, Nancy e altre donne alle quali scrive.

A Mirella dice: “Hai capito tutto di me, anche del mio passato impegno politico, della mia delusione che risale agli anni Cinquanta e del mio stato attuale: necessità di utopia, bisogno di trasgressione”.  

A Nancy parla di sentimenti e relazioni: “So che tu ce la farai e ricordati che la vita comincia non a quarant’anni ma a cinquanta, anche in amore. Io ho avuto tre amori - non relazioni – profondi nella mia vita, e il più bello (quello che dura ancora adesso) è quello che cominciò proprio a cinquant’anni”.  

L’amicizia è un sentimento totalizzante per Goliarda, il lettore lo percepisce man mano che procede nella lettura delle lettere. Come percepisce che la scrittrice è incapace di mediare, di percorrere vie di mezzo, di fingere interesse, di non comunicare il suo orrore per qualsiasi limitazione della libertà personale. Le interessa scandagliare l’umano, il che la espone continuamente a delusioni e amarezze, pur essendo capace, infine, di lasciarsi tutto alle spalle.

Goliarda era catanese, figlia di un avvocato penalista e di una sindacalista, entrambi figure storiche del socialismo italiano, prima ancora della nascita del Partito Comunista. Da piccola frequenta lo studio del padre nel centro storico di Catania, si intrattiene con i clienti, ne ascolta le storie. È lei stessa a definire quei racconti da anticamera una vera e propria incubatrice letteraria. Angelo Pellegrino, intervistato per La Sicilia, ha ribadito che sì, Goliarda amava Roma, ma era impregnata di “catanesità”, perché Catania le viveva nel sangue. Le lettere e i biglietti sono una rivelazione per chi già conosce questa scrittrice, ma anche per chi non l’ha mai letta prima d’ora. La corrispondenza disvela il temperamento di Sapienza, connaturata anche dai luoghi vissuti (Catania, Positano, Gaeta, e non si contano i viaggi), sempre frammentata tra la metropoli e i paesi di mare, tra momenti di socialità e di isolamento, tra confusione e silenzio.

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