Storie che si biforcano, di Dario De Marco

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«Questo libro è composto da 21 coppie di racconti paralleli. Sono storie che iniziano nello stesso modo, con le stesse identiche parole, ma a un certo punto si biforcano. Nei primi racconti cambia solo il finale; negli ultimi, quasi tutto». Troverete queste parole scritte nella bandella di quello che la bandella opposta definisce «il primo libro» di Dario De Marco. In realtà Dario De Marco scrive per tantissimi giornali (qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), sono usciti suoi racconti in altrettante riviste (qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui) e ha già scritto due libri: «il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia (LiberAria)». Perché mai questo suo Storie che si biforcano è definito come suo «primo libro»? Probabilmente perché è stato scritto prima degli altri due (intuisco, conoscendo questo dettaglio) ma forse anche per un’affezione particolare. In primo luogo verso la forma breve (anche questa più volte espressa da De Marco) e forse anche per questa deformazione liminare che s’ispira al labirinto e rende omaggio alla letteratura borgesiana, a quella squisita intelligenza che Jorge Luis sapeva imprimere così bene nella forma breve, con assoluta precisione e asciuttezza d’artigiano.

Il libro in questione, Storie che si biforcano estremizza la posizione del borgesiano Pierre Menard. Ogni racconto è scritto due volte ed è possibile quindi leggere la prima versione sulle pagine di sinistra e, rovesciando il libro, la seconda versione sempre sulle pagine di sinistra. Mentre sulle pagine di destra avremo sempre il testo nel verso opposto. Per questo motivo è possibile leggerlo in almeno due modi: proseguendo in un verso, racconto dopo racconto, per poi ricominciare daccapo nel verso opposto per rileggere le “seconde” versioni; oppure si possono leggere in successione le due versioni del primo racconto, proseguire facendo la stessa cosa con il secondo e così via fino all’ultimo. E poi ovviamente ci sono le consuete infinite possibilità di lettura del racconto, di cui la mia preferita è naturalmente: andare totalmente a caso.

Siamo felicissimi di ospitare uno dei racconti “doppi” della raccolta, ripetiamo: Storie che si biforcano, in anteprima assoluta, poiché il libro sarà nelle librerie italiane solo a partire dal 31 marzo, per Wojtek edizioni, che ringraziamo, insieme all’autore, per la gentile concessione del testo.

Andrea Cafarella

 

Destino

 

Nel sogno, vede questo posto. Pareti chiare, una tendina tirata, la finestra che occupa un lato intero della stanza. Davanti, una spiaggia di ciottoli, e il mare. Nient’altro. Subito, sa con immotivata e inesorabile certezza che è l’unico posto dove potrà essere felice. Passa il resto della vita a cercarlo. 

Compulsa diari di viaggio e atlanti di pergamena, interroga astrologhi pachistani e immobiliaristi svizzeri, prende aerei e canoe, guarda fotografie, alberghi, tramonti, piani regolatori. Niente.

Un giorno, sente una fitta atroce dietro l’occhio sinistro. Una rapida visita e subito, apprende con immotivata e inesorabile certezza che è finita. Un anno, massimo due. Capisce che il posto non era da qualche parte nel mondo, ma nella sua testa. Anzi, nel suo bulbo oculare. Non era un sogno, ma un retinoblastoma. Smette di cercare. E inizia a costruire. Ricorda benissimo la casa, la stanza, la luce, i sassi colorati. Riesce a far riprodurre tutto. Dopo nemmeno un anno èlì, davanti al mare. Sta dietro la grande finestra. Guarda e sorride. Vede una figura che si avvicina, dalla spiaggia. Capisce che non era un tumore, ma il suo destino. Si volta e aspetta.

 

Destinazione

 

Nel sogno, vede questo posto. Pareti chiare, una tendina tirata, la finestra che occupa un lato intero della stanza. Davanti, una spiaggia di ciottoli, e il mare. Nient’altro. Subito, sa con immotivata e inesorabile certezza che è l’unico posto dove potrà essere felice. Passa il resto della vita a cercarlo. 

Compulsa diari di viaggio e atlanti di pergamena, interroga astrologhi pachistani e immobiliaristi svizzeri, prende aerei e canoe, guarda fotografie, alberghi, tramonti, piani regolatori. Niente.

Un giorno, sente una fitta atroce dietro l’occhio sinistro. Una rapida visita e subito, apprende con immotivata e inesorabile certezza che è finita. Un anno, massimo due. Capisce che il posto non era da qualche parte nel mondo, ma nella sua testa. Anzi, nel suo bulbo oculare. Non era un sogno, ma un retinoblastoma. Smette di cercare. E inizia a vagare. Dimentica la casa, la stanza, la luce, i sassi colorati. Gira senza meta. Dopo circa un anno, è lì, sulla spiaggia della sua infanzia. Riesce a ricordare tutto. Ma qualcosa è cambiato: c’è una casa che prima non c’era. Dietro la grande finestra, una figura, che guarda e sorride. Si avvicina alla casa, lentamente. Poi si ferma: quella persona attende il suo destino, non un animale morente che ha obliato i suoi sogni. Capisce che non era un tumore, ma l’ultima destinazione. Si volta e aspetta.