Un bagno nello stagno sotto la pioggia, di George Saunders

di Debora Lambruschini

Sì: è una forma spietata, il racconto.
Spietata come una barzelletta, una canzone, un biglietto scritto dal patibolo.
(p. 38)

 

Ci sono molte cose contenute in questo libro. Direte voi: “Voglio ben vedere, è un volume di quasi cinquecento pagine!”. Ma sappiamo che la mole di un testo non sempre è al pari dei contenuti, per un verso o per l’altro. Qui, dopotutto, siamo lettori di racconti e nella forma breve ritroviamo una dimensione immensa. Un bagno nello stagno sotto la pioggia, pubblicato da Feltrinelli nella traduzione di Cristiana Mennella, non solo contiene, ma è molte cose: una dichiarazione d’amore per la forma breve, per i racconti russi dell’Ottocento, un’antologia minima con sette racconti esemplari, un manuale di scrittura e di lettura. A metterlo insieme, questo libro strano, anacronistico, che rifugge ogni logica commerciale ma cui auguriamo di raggiungere lo stesso tanti lettori coraggiosi, è lo scrittore statunitense George Saunders: anche lui non proprio incasellabile, autore di eccellenti racconti che ha vinto però un Booker Prize con Lincoln nel Bardo (Feltrinelli), noto al pubblico italiano soprattutto per L’egoismo è inutile (minimum fax) originariamente nato come graduation speech, e il suo capolavoro Dieci dicembre (minimum fax) . Da vent’anni Saunders ha una cattedra alla Syracuse University con un corso sui racconti russi dell’Ottocento e questo libro nasce lì, nell’esperienza con i suoi studenti, nelle letture degli autori amati, nello studio minuzioso di ogni racconto oggetto del corso.
Qui riunisce sette racconti esemplari, di quattro fra i suoi autori russi prediletti, pubblicati integralmente e smontati pezzo per pezzo, analizzati nel tentativo di penetrare il mistero della scrittura, comprendere i meccanismi profondi della short story e, non da meno, l’influenza che tali letture possono avere nel nostro sguardo sul mondo stesso. Perché la lettura è tutt’altro che un esercizio sterile fine a sé stesso, la lettura ti mette invece di fronte a una certa idea di mondo, affina lo sguardo e la sensibilità, spinge a porsi quesiti che non troveranno risposta tra le pagine forse, perché non è lì che vanno ricercate ma dove è necessario vengano poste. È questo che fa la Letteratura, almeno. E Saunders lo sa bene, scrittore, sì, ma prima di tutto lettore appassionato cui a un certo punto le storie hanno cambiato la vita, gli hanno dato la possibilità di un’altra direzione. La scoperta folgorante di Steinbeck con Furore che pareva prendere vita e l’urgenza di certe domande dentro e fuori la pagina, similmente alla scoperta, di lì a poco, della narrativa russa dell’Ottocento:

Quando gli ho scoperti alcuni anni dopo, i russi mi hanno fatto lo stesso effetto. Sembrava che per loro la narrativa non fosse un oggetto decorativo ma un indispensabile strumento etico-morale. Quando li leggevi ti cambiavano, il mondo sembrava raccontare una storia diversa, più interessante, una storia in cui potevi svolgere un ruolo significativo, in cui avevi delle responsabilità.
(p. 16)

Si intuisce già da qui, dalla nota introduttiva, che Un bagno nello stagno sotto la pioggia è, prima di tutto, una dichiarazione d’amore per le storie, un libro nelle intenzioni dell’autore pensato sì per chi scrive ma anche e soprattutto per chi legge; per gli amanti del racconto ma ancora di più forse per coloro che si avvicinano un po’ timorosi a questa forma, prendendone le misure, forse ancora scettici. La forma breve, oggetto di fraintendimenti e scarsa frequentazione nei percorsi scolastici italiani, è un materiale incandescente, che necessita degli strumenti adeguati per essere maneggiato, di mezzi che sono propri e non possono essere presi in prestito invece al romanzo o ad altre forme, come pare ancora troppo spesso consuetudine. Ecco quindi che Saunders guida il lettore dentro il racconto, osservando da vicino tutto ciò che funziona, tutto ciò che ne fa appunto racconto, ma anche i limiti, le debolezze.
Partendo da sette storie specifiche, analizzate con cura, si crea tuttavia una poetica della forma breve più generale, generata da una lettura capace di mettere insieme aspetti emozionali ad altri più tecnici, di mestiere.
È molte cose, si diceva, questo libro, come altri dal simile intento: penso per esempio a Nel territorio del diavolo di Flannery O’Connor, On writing di Stephen King, Il mestiere di scrivere di Raymond Carver, che contengono lezioni di lettura e scrittura, pagine zeppe di riflessioni sull’arte, il metodo, la propria personale visione del mondo e della scrittura stessa; ma anche a Scompartimento per lettori e taciturni di Grazia Cherchi, che più di tante lezioni e saggi specifici mi ha saputo illuminare sul mestiere di critico letterario, il rispetto per i lettori, la professionalità.

Un bagno nello stagno sotto la pioggia si rivolge ai lettori – perché questo, prima di tutto, uno scrittore deve sempre restare – e agli scrittori, come gli studenti di quel corso da cui il libro prende origine. In cattedra c’è Saunders o, per meglio dire, è quello che si aggira tra i banchi, il piglio appassionato e gentile, tutt’altro che accademico e didascalico. Le analisi però sono lucide e profonde, le considerazioni mutuate da anni di scrittura e docenza. Attraverso le letture di testi di Čechov, Tolstoj, Turgenev, Gogol’, quella che ne scaturisce è anche, appunto, un’accennata ma interessante una panoramica della forma breve, che muove da un punto di vista personale e già adottato, per esempio, da Virginia Woolf: il principio per cui la lettura sia prima di tutto una questione emozionale e che è grazie a tale effetto che si crea il legame con il lettore. Saunders condivide l’idea della potenza emotiva dell’arte, che nella letteratura russa dell’Ottocento pare farsi materica, e vi intreccia ulteriori spunti e considerazioni che mettono in costante dialogo testo e lettore, in una connessione strettissima dentro e fuori la pagina. Se l’obbiettivo della letteratura russa ottocentesca era porre i grandi interrogativi, la capacità delle storie di spingere il lettore a farsi delle domande non si è certo esaurita e la complessità e stratificazione dei personaggi e dei sentimenti, questo meccanismo metaletterario, è alla base della scrittura stessa di Saunders:

Io voglio scrivere racconti così, che smettono di essere scrittura e cominciano a essere vita.
(p. 266)

Ma che cos’è un racconto? Quando un testo può dirsi tale? O, ancora, come si conciliano nella short story cesellatura, brevità, e digressioni? Perché è importante osservare le dinamiche interne di un racconto e non limitarsi alla sola trama? Perché saper creare il rapporto causa-effetto è il marchio principale di un bravo scrittore?
Sono le domande che si pone Saunders mentre smonta pezzo per pezzo questi racconti amatissimi, alle quali tenta di dare opportune risposte, pur consapevole che ci sarà sempre una piccola parte di mistero impenetrabile nella scrittura. Nel farlo, lui e noi insieme – perché questo libro è per così dire “interattivo”, un continuo esercizio anche per il lettore – ci confrontiamo anche con talune perplessità e “limiti” – uso un virgolettato, perché siamo pur sempre di fronte a sette fuoriclasse della scrittura – , con la distanza temporale che ci separa dall’opera e, non da meno, una distanza data invece dalla differenza linguistica. Ecco, questo ultimo punto è per Saunders motivo più volte di riflessione, una questione che tutti noi lettori siamo chiamati spesso a considerare; il profondo rispetto per il mestiere del traduttore si lega inevitabilmente alla fruizione di un testo che per quanto aderente all’originale è anche in parte qualcosa di altro, come altro è il pubblico che lo riceve. Pure laddove leggiamo in originale, fino a che punto conosciamo la cultura entro cui si è originato, fino a che punto, quindi, comprendiamo ogni sfumatura, ogni dettaglio e implicazione? Sarà sempre una versione in cui qualcosa si perde, in cui si cerca e si accetta un compromesso. Smontare, osservare così da vicino un racconto e ragionare non semplicemente su questioni di trama ma anche e soprattutto sulla struttura del testo è, per forza di cose in situazioni come queste, un atto di fiducia nei confronti del traduttore che ci ha dato accesso a una storia che altrimenti per molti di noi sarebbe rimasta non fruibile; ragioniamo su una parola, su un “alquanto rispettabile” con cui Gogol e il traduttore del suo racconto Il naso catturano la nostra attenzione di lettori-critici. Sono considerazioni che ogni lettore si è prima o poi trovato ad affrontare.

Saunders con umiltà e consapevolezza insieme agli studenti del proprio corso – e adesso con noi lettori del volume – si confronta anche con talune perplessità e, dicevamo, “limiti” riscontrati in certi racconti. Per esempio con le numerose digressioni de I cantori di Turgenev che sembrano farci perdere la rotta e ignorare il principio intrinseco della forma breve per il quale sulla pagina deve esserci solo quanto assolutamente necessario, mai nulla di troppo; o, ancora, un certo pregiudizio di classe che rischia di compromettere la perfetta riuscita de Il padrone e il lavorante di Tolstoj, con la caratterizzazione un po’ stereotipata da “contadino ideale” di Nikita, cui mancherebbe la profondità di personaggio concessa invece al suo padrone. Riflessioni, spunti, anche in questo caso interessanti, condivisibili o meno ma assai utili per sottolineare quale sia l’approccio con cui dovremmo noi tutti, lettori per passione o per mestiere, affrontare un testo, specie se si tratta di un racconto; di quale cassetta degli attrezzi fornirci per metterci al lavoro, con che tipo di lettura consapevole, in profondità, dovremmo onorare una short story. Anche per scardinare uno degli stereotipi più resistenti e insidiosi su questa forma, quella leggerezza e velocità di fruizione data dalla brevità del testo: no, Saunders ci aiuta a ribadire ancora una volta che leggere racconti richiede uno sforzo notevole, non è possibile concedersi la distrazione che permette il romanzo, nel rispetto di un testo che al suo autore ha richiesto un ancor più profondo sforzo. Ogni parola che vediamo lì sulla pagina e ogni parola che è nascosta sotto, in un racconto riuscito è lì per una ragione e dobbiamo essere attenti a coglierla, non passarvi sopra distrattamente, concentrati solo sulla trama, sul capire che cosa succederà o meno. 

Quando li analizziamo [i racconti] tendiamo a ridurli alla trama (quello che succede). Sentiamo, non a torto, che il loro significato risiede lì. Ma i racconti traggono significato anche dalle loro dinamiche interne – dalla maniera in cui procedono, in cui una parte interagisce con l’altra, nell’accostamento istantaneo, percepibile, degli elementi.
(p. 177)

È una lezione di lettura, quindi, e di scrittura, due cose indissolubilmente legate. È, anche, una riflessione sull’approccio critico a un testo per chi di mestiere si trova a lavorare sulle parole degli altri e che non si può limitare ai contenuti più immediati ed evidenti, per leggerezza o tempistiche. Leggere un testo, che sia per piacere o dovere, significa permettergli di prendere vita, penetrare nel mondo, cambiare il nostro sguardo e perfino un po’ noi stessi. E ricordarci la potenza emotiva dell’arte, forse la sua essenza stessa.

Sono emozionato da quest’opera imperfetta che sembra voler dimostrare che l’arte può essere imperfetta, purché riesca a emozionarci.
(p. 127)