'Invito a pranzo' con conflitto. Alba de Céspedes e i suoi racconti


di Anna Lo Piano

Alba de Céspedes pubblica Invito a pranzo con Mondadori nel 1955, dopo un lungo processo di elaborazione. I diciotto racconti che compongono la raccolta sono stati scritti infatti nell’arco di due decenni, dal 1936 al 1954. Se il successo, per la scrittrice, arriva grazie ai romanzi “Dalla parte di lei” e “Quaderno proibito”, la forma breve rimane una costante della sua produzione ed è parte integrante di quel continuo lavoro di sperimentazione e cesello che ne caratterizza la scrittura. È lei stessa a dichiarare l’importanza della raccolta in una intervista apparsa su la “Fiera Letteraria” nel 1955:

“Uno scrittore non produce la sua opera: è lui stesso la sua opera e lavora senza aver mai la riposante impressione di aver compiuto il suo lavoro, non ha mai il senso del finito (…) In quanto a Invito a pranzo, mi sarebbe particolarmente difficile separarlo dagli altri miei libri, non solo perché ho cercato di raccogliervi racconti rappresentativi di diversi periodi del mio lavoro, ma anche perché alcuni di essi sono stati scritti contemporaneamente ai romanzi, o poco prima o poco dopo”.
(Cinque domande ad Alba de Céspedes, “Fiera Letteraria”, 7 agosto 1955)

In questa luce si rivela ancora più importante il lavoro di recupero a opera della casa editrice Cliquot.  Invito a pranzo arriva infatti in libreria dopo L’anima degli altri e a solo qualche mese di distanza da Prima e dopo, un racconto lungo che era stato concepito per far parte della raccolta ma che de Céspedes, d’accordo con Mondadori, decise di pubblicare a parte come romanzo breve sempre nel 1955.
Proprio nel confronto con le prove della giovinezza, è possibile apprezzare quello che può fare il mestiere quando viene applicato al talento. Ognuno dei racconti che compongono Invito a pranzo è pura gioia per il lettore, che può abbandonarsi a una lingua densa, capace di avvolgere ogni scena e darle dimensione, a una struttura tagliata a misura per distribuire i giusti spazi e confini ai personaggi, a una trama precisa come un meccanismo a orologeria, che si richiude nel finale come una trappola.

Se i temi sono quelli ricorrenti nella produzione di de Céspedes, sembra che il passaggio del tempo l’abbia fornita di strumenti per orientarsi nelle anse più profonde delle contraddizioni umane.
Ritroviamo i personaggi, soprattutto quelli femminili, scontrarsi con quella impossibilità di comunicare con l’altro che condanna alla solitudine, o lottare per un riconoscimento di sé che si incastra nelle maglie del giudizio morale, venga questo dalla società o da chi ci dovrebbe essere più caro. Il sentimento di frustrazione che porta Alessandra, in Dalla parte di lei, a trovare nell’omicidio del marito l’unica possibile via di fuga dalla propria condizione esistenziale, spinge i protagonisti di questi racconti ad atti di violenza disperati, come ne Il Libretto o ne Il muro del liceo, che con un incipit da thriller anticipa il finale e tiene la tensione alta fino all’ultima riga.

“Aveva deciso di sparare alla fine del colloquio, quando egli sarebbe stato certo di averla convinta che nulla era cambiato.”

Ma un sentimento di violenza, palese o trattenuta, permea tutte le storie; come se sotto ogni immagine di vita quotidiana si agitasse una sostanza magmatica pronta a esplodere.
“Non mi stupirei se un giorno, per liberarsene, l’ammazzasse” dice una delle passeggere di Compagni di viaggio parlando dell’uomo che ha cercato di infilarsi nel loro scompartimento. Gli occhi a lama tagliente, il fare imperioso che usa con la moglie, le fanno riconoscere un tipo di dominio che ha già incontrato. “È eccessivo, forse” obietta la narratrice all’ipotesi del delitto, e l’altra allora risponde: “Ci sono anche delitti morali” (…) “Delitti che nessuno conosce, che non vengono puniti, non conducono al carcere”.
Questi delitti morali hanno a che fare con la menzogna, il tradimento, il controllo sull’altro per sfuggire alla propria solitudine. Certi duelli possono giocarsi anche sul filo della pazienza, ci ricorda Mary Rose in La sciarpa grigia, un racconto in cui de Céspedes riesce a tenere un lavoro a maglia impugnato come una pistola. E se nella guerra dei sessi le donne possono apparire svantaggiate, queste storie ci mostrano come siano entrambi i componenti della coppia a finire prigionieri delle trappole sociali. Il ragazzino di Giornata d’agosto vorrebbe vivere un amore libero con una donna più grande e finisce per comportarsi secondo lo schema più becero possibile, mentre i due innamorati di “La ragazzina” si rincorrono a colpi di bugie mimando quello che sanno sull’amore per sentito dire, fino a trovarsi avviluppati in un matrimonio per troppa furbizia o, forse, invece, per troppa stupidità.
In questi racconti, che compongono uno spaccato umano, il conflitto esce dai confini della questione di genere e diventa sistema, infiltrandosi in ogni aspetto delle relazioni, da quelle tra subordinati e padroni a quelle di amicizia o di parentela.  In Invito a pranzo, che dà il titolo alla raccolta, il conflitto assume una dimensione ancora più vasta, incarnandosi nello sguardo di un inglese ospite di un amico in comune negli anni dopo la guerra. In una struttura che mi ha ricordato Bliss di Katherine Mansfield, la padrona di casa si affaccenda nei preparativi, tra la nostalgia e i sogni ad occhi aperti del mondo prima della guerra, che si illude di riportare in vita attraverso abiti e stoviglie. Man mano che il pranzo procede, però, la patina del quadro si sfalda sotto il giudizio condiscendente e lontano dello straniero, e la speranza cede il passo alla consapevolezza di qualcosa che non tornerà mai più.

In questi racconti, scritti o riscritti negli anni della maturità, il conflitto esce dalla sfera solo privata per diventare ritratto corale di una condizione esistenziale e storica. Sono gli anni in cui Alba de Céspedes dirigeva la rivista Mercurio, e sperimentava il respiro intellettuale e la capacità di confronto e selezione che offriva una tale impresa. Sono gli anni in cui sceglieva di tenere una rubrica su Epoca, Dalla parte di lei, per rispondere alle istanze sentimentali delle donne ma soprattutto di molti uomini. Nelle sue riposte mai scontate, sempre portate a cercare il valore universale degli interrogativi, si apriva all’ascolto alle voci profonde e inedite del paese che chiedevano cambiamento e che insieme lo rifiutavano.
E sono gli anni, infine, in cui la distanza dal tempo vorace della guerra le permetteva di guardare indietro con una prospettiva nuova, dandole la lucida capacità, in un racconto magnifico, di sottomettersi narrativamente, attraverso lo scontro con la visione profondamente straniante di un ospite casuale, al giudizio sul ventennio, sugli Italiani, sulle colpe che si portavano dietro inesorabilmente anche quando, come lei, avevano sempre lottato in direzione contraria.