Le zitelle di Neera, di Anna Lo Piano

di Anna Lo Piano

Molto prima che si parlasse di una questione femminile io avevo presa singolarmente a cuore la causa della donna dal punto di vista della sua felicità, concentrando specialmente le mie osservazioni sulle vecchie zitelle.

(Le idee di una donna, 1903)

 

Nel 1903 esce una raccolta di saggi dedicata alla questione femminile dal titolo Le idee di una donna.  L’autrice è Neera, al secolo Anna Radius Zuccari, una delle scrittrici più prolifiche e influenti dell’Italia post-unitaria. Al pari di un’altra influencer dell’epoca, la strabordante Matilde Serao, più giovane di lei di una decina d’anni, prende a cuore la situazione delle donne e ne fa le protagoniste delle sue novelle e dei suoi numerosi romanzi.  Eppure entrambe si dichiarano anti-femministe.

 

I capitoli che raccolgo in questo volume mi vennero suggeriti osservando e ascoltando l’onda del femminismo che si avanza e nel quale non ravviso affatto il mio ideale di progredita femminilità. È troppo maschile per essere femminismo sincero. Gli sforzi che si fanno per uguagliare l’uomo mostrano chiaramente che la donna non si riconosce più nell’integrità del proprio valore, ed è questo valore suo che difendo con schietto ardore, dedicando i miei sforzi alle donne che accettano con semplicità e nobilmente la loro grande missione, facendo cioè del femminismo vero.

 

C’è in questi scritti un misto di morale borghese, conservatorismo e riconoscimento di una specificità femminile che è prima di tutto biologica e sentimentale. E però, nel suo fervore contro l’emancipazionismo, Neera è consapevole che è insita nella condizione femminile una profonda ingiustizia.
Il suo romanzo più famoso, Teresa (1886), fu riconosciuto da Ersilia Majno e dalla “scandalosa” Aleramo come profondamente femminista, a riprova di come spesso la scrittura sappia rivelare verità e contraddizioni più di tanti ragionamenti.
La protagonista, Teresa, è una zitella. Una di quelle figure di donna che Neera ci dice di aver conosciuto in abbondanza, alle quali ha dedicato un intero saggio all’interno de Le idee di una donna e che, “per la pietà somma” che le ispirano, sono diventate le eroine di molti suoi romanzi.

Ma perché proprio le zitelle?
Intanto, ci avverte Neera, le zitelle non sono tutte uguali. Ci sono le “rassegnate, le ribelli, le martiri, le maligne, le invidiose, le ipocrite, le ridicole”. Eppure nelle rispettive diversità sono:

 

riconoscibili al gesto, alla voce, allo sguardo, al sorriso; tutte segnate da un misterioso accenno, da un velo impalpabile che sembra isolarle dal fermento della vita e rinchiuderle nello stupore del sogno.

 

Questo senso di isolamento, come un passare accanto alla vita senza mai coglierla davvero, lo ritroviamo in Teresa, come in altre due zitelle esemplari, descritte nelle novelle “Zia Severina” e “Paolina”.
Quest’ultima è una ragazzina di dodici anni che vede il suo mondo crollare quando il padre, vedovo, decide di risposarsi. Se il piccolo mondo della casa d’origine, dove cresce selvaggia e affidata alle cure affettuose di una balia, è una sorta di paradiso terrestre, nella nuova famiglia si sente di “stonare nella tinta generale del quadro”. Fallito un tentativo di matrimonio concordato dalla matrigna, decide di togliere il disturbo e partire, ed è presto dimenticata.

La storia di Zia Severina si svolge tutto nel pomeriggio che segue il pranzo per i suoi 40 anni; data cruciale, giro di boa senza ritorno.  Rimirando i pochi regali, un vestito color caffellatte del fratello, un biglietto di un’amica d’infanzia, confronta la solitudine della sua stanza con il calore intimo degli scherzi tra la cognata e i suoi bambini, e si accorge di essere “passata accanto alle realtà della vita senza avvertirle, sognando sempre”.

 

Era tutta la sua giovinezza che finiva, che moriva, che bisognava sottoscrivere, cambiale rappresentante un valore ch’ella non aveva posseduto.

 

Il sentimento di una vita alla finestra, dall’orizzonte limitato, non era sconosciuto a Neera. Come racconta nella sua autobiografia, “Una giovinezza del secolo XIX”, anche lei, come Paolina, aveva perso la madre molto presto, e aveva vissuto lunghi inverni in compagnia delle zie paterne in una cittadina di provincia.

 

L’orto, che appariva attraverso il piccolo quadrato della finestra…voleva dire per quelle volontarie recluse tutto l’orizzonte”.
(Due mondi, in “La sottana del diavolo”)

 

Questa dimensione sognante, passiva, subentra a poco a poco, con gli anni, a furia di rinunce. Da bambine, le vecchie ragazze di Neera, hanno spiriti liberi e selvaggi.  
Paolina regna da padrona nel giardino della casa, dove le è concessa ogni scorreria. Severina, dal canto suo:

 

da bambina era stata molto vivace…quasi felice in un suo certo mondo ideale popolato di sogni. Figlia di un pittore, aveva conosciuto per tempo le seduzioni del colore e della linea.

 

Teresa ha un’indole vivace, sensuale, che in continuazione viene mortificata. Quando per la prima volta si trova fuori di casa, senza dover sottostare al dominio del padre e alle mille incombenze a cui la costringono i doveri familiari, si sente libera.

 

Teresina sorrise, sorrise al sole, ai fiori, alla propria giovinezza che si irradiava su ogni oggetto circostante. Si sentiva forte, aveva appetito, aveva nelle gambe un formicolio di vita esuberante, i polsi le martellavano deliziosamente, con un ritornello gaio, pieno di promesse.

 

Insomma zitelle non si nasce, ma si diventa.

In pieno verismo, si può dire che Neera abbia un proprio ciclo di “vinte”, perché la “miseria relativa, personale” di ognuna delle sue eroine dipende dalla grande ingiustizia di cui sono vittime le donne. Non solo a livello di diritti di libertà, lavoro, salario, ma soprattutto d’aspirazione a un amore profondo, intimo, ideale.
C’è nelle sue donne, a partire dalle zitelle, un desiderio di essere riconosciute, amate, viste per come sono nel profondo, ma che è destinato a restare insoddisfatto.
E questa impossibilità è in uno squilibrio delle posizioni di uomini e donne, nell’ingiustizia con cui si compone la società dei sessi. Confrontandosi con il fratello, Teresa si rende conto di soffrire

 

accanto a quel giovane robusto e felice, a quel giovane pago, a cui i privilegi del suo sesso aprivano tutte le porte. Non ragionava così la fanciulla, ma aveva l’intuizione di una profonda ingiustizia, mentre l’istinto della donna la spingeva ciecamente verso il suo signore e padrone.

 

In un mondo così asimmetrico, il matrimonio non può che andare a scapito di una sola parte. Quelli raccontati in “Teresa”, visti dalla parte delle mogli, partono con grandi sogni, ma si rivelano presto trappole da subire, da accettare per le imposizioni della società, per interesse.
Sembrano cose lontane, eppure ancora nel 1949, in “Dalla parte di lei”, Alba de Céspedes parla del rancore che prende le donne per l’inganno in cui sono tratte con il matrimonio.

 

Non di rado le ragazze avevano pazientato molti anni prima di sposarsi perché era difficile trovare un solito impiego, risparmiare il denaro sufficiente per acquistare la mobilia: avevano atteso preparando il corredo, fiduciose, nella speranza di un’amorosa felicità, e invece avevano trovato quella vita estenuante, la cucina, la casa, il gonfiarsi e lo sgonfiarsi del corpo per mettere al mondo i figli. Man mano, sotto una parvenza di rassegnazione, era nato nelle donne un livido rancore per l’inganno nel quale erano state tratte.

 

Nella passione di Neera per le zitelle c’è sicuramente il riconoscimento ammirato di uno spirito in opposizione. Paolina, come Teresa, rifiutano l’idea di condividere la vita con un marito qualunque, imposto dalla famiglia. Sono donne che non si accontentano, e se lasciano passare le occasioni, è perché aspirano sempre un sentimento più vero, più intimo.
Ma non c’è eroismo in questa ribellione. La zitella è il frutto della morale borghese, dove la deviazione dalla norma invece di espandere il carattere lo contrae su stesso per mancanza di strade percorribili.
La realizzazione nel lavoro, l’autonomia, non può essere in questo contesto una soluzione auspicabile, se è vista come un ripiego. E così da Paolina che toglie l’imbarazzo della sua presenza andando a lavorare in un’altra città, arriviamo ad Anastasia Finizio in Interno familiare di Anna Maria Ortese, un’altra zitella che vive nel rimpianto d’amore, e che pur lavorando non si è emancipata.
L’essenza dello zitellaggio è in questo anticonformismo che si esaurisce nel sogno, nel vagheggiamento di qualcosa di ineffabile che le tiene sul filo sottile del ridicolo.
Severina fin da piccola era:

 

Sempre invasa dagli ideali artistici, vestiva in modo bizzarro con strisce in testa, alla greca; con scialli rossi drappeggiati…e la sua bruttezza in questa cornice bizzarra appariva doppia.

 

In Teresa troviamo Calliope, un’altra bizzarra che fa da alter ego alla protagonista:

 

aveva gusti bizzarri, uscendo sola per le campagne, coi capelli sciolti sulle spalle, un piccolo fucile ad armacollo: ardita, violenta, selvaggia.

 

Anche Calliope è una donna sola, ma non propriamente zitella.  Passa molti anni della sua vita a guardare il paese dietro le grate della finestra, ma fino alla fine dei suoi giorni mostra una sana indifferenza verso le opinioni altrui. In lei la bizzarria ha passato un confine, l’ha condotta oltre.
Chi ne coglie l’essenza è il medico del paese.
È lui che sa vedere la bellezza di Calliope, che sa restituire a Teresa un contatto intimo e gentile.
È una figura di uomo in grado di capire che certe patologie femminili, certi “isterismi”, sono il risultato di costrizioni e mancanze.
E Neera, con tutto il suo conservatorismo, sembra dare molta importanza ai corpi, ai sensi, al piacere.
Nella prefazione alla seconda edizione del romanzo Il Castigo, del 1891, con un’altra zitella come protagonista, Neera riconosce che:

 

questa è la grande ingiustizia: la società, che priva le donne dei loro diritti naturali ove non abbiano trovato un marito, si fa poi beffe di loro se rimangono zitelle, e le chiama maligne, invidiose, sensuali.

 

Il corpo è quindi un diritto naturale. In Teresa le sensazioni fisiche legate ai primi turbamenti sensuali sono descritte in modo mirabile. Nel romanzo è tutto un accendersi di sensazioni e uno spegnersi per le imposizioni della morale comune.
Ma c’è anche in questa autrice di fine ottocento un sentimento di indignazione per il giudizio sul corpo. Body-shaming lo chiameremo oggi, e lei probabilmente si stupirebbe nel sapere di averlo descritto così chiaramente.  

 

“Lei è pur goffa!” ,
“Queste mani non sono presentabili”
“Cosa diranno di te nella casa dove andiamo?”

 

In queste frasi, rivolte a Paolina, c’è tutto l’imbarazzo del padre nell’accompagnarsi a una figlia così brutta, insignificante, assolutamente lontana dall’ideale di bellezza luminoso e perfetto della nuova moglie.
La consapevolezza del proprio corpo, davanti agli altri e se stesse, si realizza davanti allo specchio. Per Paolina lo specchio è la sua antagonista, di fronte alla quale è destinata a perdere. Zia Severina di fronte allo specchio fisico prende coscienza definitivamente della sua vecchiaia. Teresa, invece, scopre un sentimento nuovo che è quello della stima.

 

 

Incomincio a stimarmi anch’io! – disse così, sorridendo a se stessa nello specchio, per l’idea buffa ch’ella potesse stimarsi, e restò immobile, colpita dallo scintillio che vide davanti a sé su quelle labbra rosse, tumide, e su quei denti di una candidezza abbagliante. Tornò a sorridere. Che cosa bizzarra! Tutto il suo viso cambiava.

 

È qui una delle chiavi per cui si può capire cosa avesse fatto dichiarare a Majno e Aleramo di trovarsi di fronte a un romanzo femminista. L’altra, non meno fondamentale, è la chiusura. Paolina e Zia Severina si chiudono con una fuga emotiva. La prima si allontana, la seconda si getta in un sonno che è “oblìo delle tenebre”.  Teresa, invece, finalmente ha il coraggio di andare a raggiungere il suo amore di tutta una vita, di seguire il proprio desiderio in barba alla morale comune e al giudizio altrui, compreso quello della sua cara amica, la pretora, che non la capisce veramente e in fondo la considera un’illusa.

 

La pretora tentò la via del sarcasmo, dicendo con un sorriso freddo:

-        Vai a fare l’infermiera!

-        Quel che Dio vuole – rispose Teresa. (…)

-        Cosa penseranno le tue sorelle, tuo fratello?

Si strinse nelle spalle.

-        La gente?

-        Oh, la gente poi!

E sorrise  col suo sorriso melanconico al quale si aggiunse una punta di ironia.

-        Tuttavia…se mi facessero delle osservazioni a me, tua amica?

-        Ebbene, dirai agli zelanti che ho pagato con tutta la mia vita questo momento di libertà. È abbastanza caro, nevvero?