Passaggi, otto racconti nati dalla sinergia di due scuole di scrittura

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Passaggi, otto racconti, non è solo un libro. Soprattutto è il frutto di un percorso lungo, scrupoloso e, anche, faticoso di scrittura e di rilettura, come tutti i libri sono e devono essere per il loro compimento.

Dal II Modulo del laboratorio permanente sul racconto di Cattedrale TRENTA CARTELLE 2017/2018, sono nati questi otto racconti; questi autori e questi racconti hanno poi incontrato il lavoro dei ragazzi che hanno frequentato il Master 'Il Lavoro editoriale' di SCUOLA DEL LIBRO, che hanno editato, corretto, impaginato, redatto, confezionato l'e-book, disegnato la copertina. 
Passaggi, è il frutto di un lavoro sinergico, relazionale e appassionato, cose che in una scuola di scrittura, dal nostro punto di vista, vanno insegnate prima ancora di insegnare a narrare.

Potete leggere e scaricare gratuitamente l'e-book, e continuare a seguirci per conoscere le date delle presentazioni e degli eventi.

Intanto, vi proponiamo gli incipit degli otto racconti, con le considerazioni finali dei nostri allievi.

Buone letture!

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Sorelle

 

Ha bestemmiato la Madonna e Gesù Cristo quando gli ho chiesto cosa volesse per cena. Allora l’ho lasciato stare.
Mia sorella sta venendo a prendermi; mi ha chiamato un quarto d’ora fa e mi ha detto: «Sto arrivando». Non mi ha lasciato scelta, come sempre.
Le dico di farla finita e lei mi risponde sempre di sì. Mi dice che è l’ultima volta e mi promette che righerà dritta.
Ma non lo fa.
Una volta a settimana mi telefona e mi chiede di ac­compagnarla. Io potrei mandarla da sola ma non me la sento. Ho paura per lei, ho il terrore che qualcuno possa farle del male.

 

È stata un'esperienza molto interessante e bella dal punto di vista umano e letterario.
Un grazie a Rossella per avermi fatto appassionare ancora di più al racconto facendomi scoprire una serie di perle rare e dandomi consigli preziosi.
Grazie anche ai miei nuovi amici che con le loro parole, sguardi e gesti mi hanno fatto cogliere tantissimi aspetti della mia scrittura, molti di più di quanti avrei potuto scoprire da solo.
Infine grazie a Federica e ai ragazzi della Scuola del Libro che con la loro passione e competenza hanno esplorato il mio racconto evidenziandone i punti di forza e quelli più deboli e dandogli forma e sostanza. 
È stato stimolante e appagante trascorrere questi mesi con voi e sapere che ci sono molte persone con cui poter parlare di scrittura. 

Alessandro Pinci

 

 

Istrice

 

Negli ultimi giorni era piovuto molto e il livello del fiume era salito fino al terzo segno. Aveva iniziato a intaccare gli argini e si vedevano nella massa scura dell’acqua i rami spezzati, la sporcizia e qualche tronco trascinato dalla corrente. Anche il rumore del fiume era diverso e si poteva sentire l’acqua urtare i sassi, nelle asperità, dove ancora non erano levigati.
Dei pesci, invece, non c’era traccia. Non come d’estate, nei giorni di secca, quando li si poteva vedere immobili, come sospesi a mezz’aria. In quei giorni, era bello pescare, far danzare la preda davanti ai persici, fino a quando non gli restava che morderla, pur sapendo quello che li aspettava.
 

Discutere di un proprio racconto davanti a un gruppo così attento provoca emozioni contrastanti. Da una parte l‘ansia da prestazione e una certa paura di non essere all‘altezza, dall‘altra la gioia di parlare di una cosa di cui senti l‘urgenza e la necessità. Nessuno ha chiesto se il racconto fosse stato autobiografico, nemmeno per scherzo. Ho detto che nessun personaggio era stato maltrattato, scherzando, e per questo, qualcuno mi ha guardato un po‘ male. È una cosa molto seria, ecco. Allora ho capito che basta essere onesti come gli occhi di Rossella e il sorriso di Federica che erano sedute lì a fianco. Per gli ultimi ritocchi, con Federica, via messenger ci siamo scritti la stessa cosa nello stesso momento. Non mi sono toccato il naso, ma mi sono sentito meno solo nel mondo.

Giusppe Potestio

 

 

Delfinario

«Papà».
«Mmh?»
«Papà».
Mi scuote il lembo della giacca – già, mi sono messo la giacca, oggi – mi volto e la guardo, mia figlia.
«Che c’è?»
«Papà, mi chiamano, laggiù, vedi? Che faccio?»
Mi indica un punto lì in basso, c’è un ragazzetto con il microfono, è rivolto proprio verso la nostra sezione di gra­dinata, e guarda su, guarda proprio dove siamo seduti io e mia figlia, e con la mano libera dal microfono fa un segno di richiamo nei confronti di mia figlia.
«Che faccio, vado?»
«Dove?»
«Ma laggiù, papà», dice lei, scocciata dalla mia reazio­ne lenta e stordita.
Eppure continuo a non capire, perché non c’ero, qui, sulle gradinate di questo delfinario, l’acqua azzurra delle piscine vuote davanti, i delfini ancora confinati nelle pisci­ne di allenamento. C’è solo il ragazzetto che fa un po’ di show. Non c’ero, finora.
«Dai, sbrigati, papà, stanno guardando tutti noi».
«Ah, perché?»
Non avrei dovuto.


Il lavoro delle lezioni congiunte del lunedì pomeriggio è stato molto interessante e però anche divertente: due punti vorrei sottolineare per spiegare perché lo ritengo tale.
Prima di tutto perché, anche se la parte di elaborazione dell’editing sui racconti si svolgeva nella classe del Master e noi del corso non eravamo presenti, l’illustrazione delle considerazioni da parte loro avveniva congiuntamente e de visu; ciò era per me particolarmente coinvolgente perché in tutti i casi precedenti i miei testi erano stati sottoposti a un editing a distanza tramite canali telematici. E non c’è niente da fare, per me il contatto visivo e la conversazione a voce non si battono.
In secondo luogo, è stato molto proficuo lo scambio intercorso tra gli autori. Tutti abbiamo letto i racconti degli altri e ci siamo formati delle opinioni che poi hanno trovato riscontro o meno in quanto osservato dai ragazzi della Scuola del Libro. Questa condivisione è stata una esperienza non solo letteraria ma anche personale: “è come se avessi sette nuovi cugini” ho scritto l’altro giorno ai coautori.

Alessio Cappelli

 

 

A casa di Ada

Quando arrivai a casa di Ada, vidi il vecchio che urlava alla finestra. Stava appeso al davanzale, con il busto che oscillava in avanti e le braccia che sbattevano come rami secchi. Pensai che stesse cadendo, invece voleva afferrare una scala che qualcuno aveva appoggiato sul muro. Dopo averla presa  la scaraventò sull’erba e rientrò dentro, rivolgendoci contro una nuca lucida e ostile.
Tornata la calma, io e Ada andammo a sederci su una delle panche in mezzo al prato, e lei mi offrì un bicchiere di acqua e menta. Solo allora mi resi conto di quanto fosse bello quel posto, e mi misi a osservare uno a uno gli olivi,  i noccioli e le siepi di lavanda incastonate nei muretti a secco.
«Vedrai, ti troverai bene qui», mi disse battendomi la mano sul ginocchio.
«Sì», dissi io, e mandai giù un sorso d’acqua. La terra esalava un respiro d’erba e concime.

 

Di tutto il lavoro fatto con i ragazzi della Scuola del libro, più di tutto vorrò ricordarmi la delicatezza con cui Elena ed Enza si sono occupate del mio racconto. Sono due scrittrici, e questo si capisce dalla cura che hanno per ogni parola, dalla sensibilità con cui avvicinano i personaggi. Il lavoro di editing, con loro, mi è parso come l'effetto che fa un sasso lanciato nell'acqua. Con piccoli colpi eleganti e bene assestati hanno smosso correnti. Ho ripensato il racconto, e sono riuscita ad arrivare lì dove volevo davvero.

Anna Lo Piano

 

 

Le fasi lunari

Luna nuova

«E alla fine mi gioverà questo viaggio», insisto con me stesso, dopo essere partito d’impulso, giù di corda e con poco bagaglio. Certo, ci fosse almeno un raggio di luna in questo nero cupo.
Le strisce bianche sull’asfalto e i catarifrangenti ai mar­gini dell’autostrada accelerano con un che di ipnotico. Il telefono non squilla. Sono più di tre ore: ormai non richia­merà. Non dopo ciò che è successo.
Guido e mi dico che non devi fissarla troppo la strada, specie se deserta e di notte. Anche se vai troppo veloce. Un po’ al di là degli abbaglianti, gli occhi. Prenditelo sempre un margine, anche se le colline sono vaghi profili confusi tra le nubi, e non sai cosa nascondono. Una visione d’in­sieme devi averla, anche quando non c’è.

 

Innanzitutto è stato davvero bella, negli incontri, la tempesta di osservazioni piovute sui nostri racconti, e personalmente emozionante sentirmi avvolto da tanta attenzione e curiosità per il mio. Poi, razionalmente, credo di essere stato indirizzato con acume a riflettere sui punti del racconto che realmente necessitavano di rielaborazione, e che ho cercato di migliorare. A qualunque livello credo sia arduo mettere mano a un testo altrui, un compito che richiede ad un tempo incisività e delicatezza. Ringrazio in particolare Silvia e Clarissa, che sono riuscite a renderlo anche leggero e piacevole.

Paolo Panaro

 

 

Pacchetto completo

 

La ragazza si chiama Miriam. Mi apre la porta con addosso solo dei pantaloncini chiari di cotone cortissimi e un top a pois bianchi e neri. Resto a fissarla, immobile sull'ingresso, aspettando che dica qualcosa. Anche lei mi fissa, dal basso verso l'alto, inclinando la testa una volta a destra e una volta a sinistra. Al telefono l'avevo immaginata diversa, più giovane, meno provocante, non so perché.
"Tu devi essere Clara." Dice allungando la mano. "Vieni, entra che ti faccio vedere la casa. Scusa se sto così, ma ho lavorato fino a poco fa."
Guardandola meglio vedo le gocce di sudore che le scivolano lungo il collo dalle punte bagnate dei capelli raccolti sopra la testa. Aspetta che entri poi chiude la porta.

 

Pare che Hemingway abbia detto: "write drunk, edit sober." Io non sono sicuro di esser riuscito a scrivere al massimo dell'ebbrezza, ma so che Federica e i ragazzi del master in editoria hanno lavorato in maniera lucida, precisa e professionale.
Gli incontri per me sono stati una preziosa esperienza di come, attraverso gli occhi, i punti di vista e la sensibilità di altre persone, sia possibile migliorare continuamente il proprio modo di scrivere e il proprio modo di guardare la realtà. Mi aspettavo un "tutti contro uno" , è stato invece un dialogo costruttivo fatto di domande e consigli, di occhi belli e curiosi.

Carmine Pignata

 

 

Niente è più come prima

All’improvviso, si alza in piedi sul letto e sistema le gambe in modo che in mezzo vi siano i miei fianchi. Una gamba a destra e l’altra a sinistra, e in mezzo i miei fianchi. Rimango ammutolito. «Sei... Pazzesca...», dico poi, senza fiato. È completamente nuda, naturalmente, a parte i sandali. Prendo a lisciargliene uno. «Non sfilarteli...», quasi prego. Mi eccita da morire, l’affondo sottile del tacco nelle lenzuola, e mi manda del tutto al manicomio l’instabilità di lei, e l’ondeggiare del suo corpo, che oscilla, e oscilla, e mostra inesorabilmente ogni piccolo particolare, fino all’ultimo. «Sei magnifica...», ribadisco, intanto che rimango fermo ad ammirarla, dal basso in alto, mentre invece lei s’atteggia in qualche posa stupida, e porta le mani sul seno, fino a riempire ognuna di loro della carne morbida e bianca, infine non riesco proprio a trattenermi, e mando su le dita, prima ai polpacci, poi alle ginocchia, dopo alle cosce, e da lì al ventre. Era da tanto, che non succedeva così. Eppure, l’ho intuito subito. Appena l’ho incontrata, per puro caso, al bancone del bar del solito locale, ho capito all’istante come sarebbe andata a finire. «Voltati...», reclamo piano, e mentre lei m’asseconda, sento l’eccitazione montare, e spingere risoluta. 

 

Ho sempre scritto soltanto per me, perché, lo dico spesso, scrivere mi rende felice. Mi sembra un motivo più che sufficiente.
Per questo, raramente ho cercato un riscontro o un parere su ciò che raccontavo per iscritto.
Ma se in generale il confronto è utile e migliorativo, direi che per chi scrive è addirittura indispensabile e, per certi versi, dove l'autore  inevitabilmente viene messo in discussione, è lì che alla fine acquista maggiore sicurezza e consapevolezza.
Lavorare con i ragazzi della Scuola del Libro è stato per me davvero stimolante. Mi hanno aiutato a focalizzare i punti controversi del testo e devo ammettere che i loro dubbi al riguardo erano anche i miei. 
Questi ragazzi hanno grande passione e attenzione, sono efficaci e precisi ma soprattutto sono molto preparati. Grazie per questo incontro davvero bello.

Alessandra Delfini

 

 

Euménides

"Gennaio 1977, Spagna. Il lungo regime imposto con la violenza dal Generalísimo Francisco Franco Bahamonde, morto poco più di un anno prima, si avviava ad una rapida fine. Il processo di Transizione democratica era nelle abili mani di Adolfo Suárez, che con l'appoggio del Re Juan Carlos doveva gestire i rapporti tra le opposizioni democratiche ed i potenti apparati della dittatura ancora in piedi. La violenza politica era una costante, e tra gli attentati dei separatisti baschi e i crimini delle bande fasciste non c'era giorno che la capitale potesse dirsi libera dal lutto".

 

I ragazzi sono stati professionali, appassionati, curiosi. Hanno fame di materiale perché sanno di far bene il proprio lavoro: il loro entusiasmo è rincuorante. Le loro osservazioni sono state puntuali e precise, acute, a tratti crude, ma sempre motivate dall'amore per i testi e per il proprio lavoro. Li ammiro molto. Hanno aiutato tutti noi ad osservare i nostri testi con occhi diversi, e migliorarli.

Enrico Giordano