Il rasoio di Beckham, di Roberto Barbolini

Titolo: Il rasoio di Beckham
Autore:Roberto Barbolini
Editore: La Nave di Teseo
pp. 352 Euro 18,00

di David Valentini

Roberto Barbolini, classe 1951, è un personaggio decisamente eclettico. Critico letterario e teatrale, nella sua lunga carriera artistica ha scritto romanzi e raccolte di racconti, ma anche opere di teatro e saggistica, oltre a occuparsi di varie curatele. Insomma, una vita dedicata all’arte, sia quella più seria che quella più faceta.
A questo secondo gruppo appartiene la sua ultima raccolta di racconti, Il rasoio di Beckham, pubblicato verso la fine dello scorso anno per i tipi di La nave di Teseo. Già dal titolo si può comprendere lo spirito dell’opera. Il richiamo “elevato” è infatti al rasoio di Occam, il famoso principio metodologico attribuito al teologo, filosofo e religioso francescano inglese Guglielmo da Occam, vissuto nel XIV secolo, che indica di scegliere la soluzione più semplice tra più soluzioni egualmente valide di un problema. C’è però anche un richiamo che potremmo definire “pop”, ossia quello riferito a David Beckham, ex calciatore e attualmente dirigente sportivo e imprenditore (nonché icona e sex symbol degli anni Duemila e marito della ex Spice Girl Victoria Adams). L’associazione del rasoio di Occam con il nome di David Beckham crea sin da subito un forte contrasto: il richiamo ai due diversi mondi – la filosofia e il calcio – è così immediato da far scattare subito l’ironia che vi è dietro, oltre a esemplificare in quattro parole (due, se non contiamo l’articolo e la preposizione) un fenomeno che capita spesso a chi tenta di far sfoggio di una cultura appresa sui banchi di scuola e mai più rielaborata, ossia la confusione di campi semantici che genera errori grossolani.

 

Ho sempre pensato che i vegani prendessero il nome da Vega, la stella più brillante della costellazione della Lira e la quinta dell’intero firmamento, nonché la seconda per luminosità dopo Arturo nell’emisfero celeste boreale. Ma mentre accompagnavo Cloe al tavolino che ci avevano riservato, a questa genealogia astrale andavo sovrapponendo mentalmente l’immagine sfavillante di Las Vegas.

(dal racconto Sotto il segno di Vega)

 

Il rasoio di Beckham è una raccolta di ventisette racconti suddivisi in quattro parti, le quali tentano di ripartire le storie in macro temi non sempre precisi (ad esempio la seconda parte, tutti a tavola, raccoglie sei racconti inerenti, fra le altre cose, il cibo). Di questi racconti, ventuno sono inediti mentre gli altri sei sono apparsi in precedenti raccolte o antologie. Barbolini spazia dal racconto breve, anche di tre pagine, al racconto lungo (il più lungo, L’Orgoglio di Modena, è di trentacinque pagine). Queste storie sono slegate fra loro: se qualche richiamo c’è, appare più incidentale che voluto perché le ambientazioni sono spesso connesse all’hinterland modenese o, più in generale, alla zona emiliana.
C’è da dire sin da subito che la quantità di racconti e la presenza di diverse storie brevi non aiuta il lettore a percepire un legame all’interno della raccolta. A creare un senso identitario non sono tanto le vicende narrate o i personaggi quanto l’umorismo e l’equivoco che spesso dà il la alla narrazione e costituisce il vero leitmotiv del libro di Barbolini. Molte vicende prendono avvio infatti da piccole incomprensioni, a volte proprio sull’uso delle parole, che generano discussioni e litigi fra i personaggi e portano a un finale tragicomico. Nei racconti più lunghi, nei quali c’è modo di assistere a uno sviluppo di trama articolato, questo meccanismo riesce meglio al punto che, in alcuni casi – come il già citato L’Orgoglio di Modena –, non solo è impossibile anticipare il finale ma quando si arriva alle ultime righe si viene colti dal senso di spaesamento tipico di una narrazione che appare quasi senza senso e che invece un senso lo ritrova: quello delle disavventure assurde di un gruppo di amici di lunga data che hanno vissuto un’esperienza da raccontare.

 

Sentite come andò la faccenda. Una gran brutta faccenda, se diamo retta a Marcellus IV, da non confondere con Marcellus I. Non chiedetemi notizie degli altri due Marcellus, il numero II e il numero III, perché semplicemente non sono mai esistiti. Altrimenti, anziché un duo, Marcellus IV e Marcellus I avrebbero messo su un quartetto, e sarebbe stata tutta un’altra musica (dal racconto In culo a Bruce Willis)

 

 

La narrazione di Barbolini infatti risente molto del parlato quotidiano. Molti incipit si rivolgono direttamente al lettore come fosse parte di una combriccola di persone che condividono un background socio-culturale, o meglio ancora che vivono a poca distanza l’uno dall’altro e si incontrano al bar per raccontarsi gli ultimi eventi. Il risultato è un senso immediato di intimità rispetto ai personaggi che vengono presentati come fossero amici, conoscenti o amici di conoscenti. Il destinatario della narrazione, però, ossia i “noi” a cui si rivolgono i narratori, non siamo tanto noi lettori quanto altri personaggi che non compaiono nel racconto ma che sono seduti al tavolo insieme al narratore. Noialtri, invece, siamo al tavolo accanto a origliare quel che viene raccontato, col risultato di ascoltare una storia di cui non possiamo conoscere tutti i retroscena perché, come accade nella narrazione orale, vengono omessi. La mancanza di dettagli a volte fondamentali amplifica sia il senso di spaesamento sia l’effetto comico: da un lato infatti può capitare di fermarsi a un certo punto e chiedersi “Ma di che stiamo parlando qui?”, o anche “Dove vuole andare a parare il narratore?”; dall’altro, il continuo equivocare e il presentare situazioni al limite del paradossale, certamente amplificate ed esagerate come accade quando si racconta una vicenda a un amico, conduce a un crescendo e a un parossismo tali da strappare più di una risata. Se fossimo veramente al bar ad ascoltare queste vicende sorseggiando un caffè, ciò che vorremmo fare sarebbe scrivere ai nostri amici esordendo con “Non sai che storia assurda ho appena ascoltato”.

 

Ma anche il paradiso terrestre può venire a noia e questo spiega perché Sandra è diventata Chandra, la sciroccata che va in giro col suo sari arancione, il piattino e il tamburello chiedendo l’elemosina per conto degli Hare Pio: una setta di squinternati che nel nome di Krishna e di Padre Pio da Pietrelcina praticano la preghiera e l’accattonaggio a favore dei ricchi (dal racconto Mio marito è un mi bemolle)

 

Le storie di Barbolini sono costellate, oltre che da equivoci e astrusità varie, anche da riferimenti di vario tipo alla cultura popolare, all’arte, alla filosofia, alla religione. Può capitare che in alcune pagine vi siano una decina di citazioni o richiami appartenenti ai più disparati campi culturali, e che vengano collegati fra loro in maniera così precisa da sentirsi smarriti dinnanzi alla lettura. Così come il rasoio di Beckham può apparire, a tutta prima, qualcosa di realmente esistente – salvo poi soffermarsi un istante per ragionare meglio su ciò che si è letto –, allo stesso modo si può nutrire un senso di perplessità nell’associazione fra gli Hare Krishna e Padre Pio, o fra un tesoro misterioso e il maiale più premiato di una gara decisamente peculiare. C’è di tutto fra le pagine di Barbolini: Star Wars e Re Artù, Ilona Staller e la Russia di Putin, il paradosso di Schrödinger e Salgari. A tratti sembra di osservare un quadro di Hieronymus Bosch, con tutte quelle forme umane e semiumane che tappezzano ogni centimetro della tela e che, più ci si sofferma a guardarle, più sembrano irragionevoli. Il che, è appena il caso di farlo presente, richiede nel lettore un certo sforzo e un certo bagaglio culturale se intende comprendere tutti i riferimenti, gli scherzi e i vari divertissement con cui Barbolini ha arricchito la propria opera.