Titolo: Il museo degli sforzi inutili
Autore: Cristina Peri Rossi
Editore: Sur
pp. 180 Euro 17,50
di Debora Lambruschini
La mia concezione del fantastico non è poi così differente da quella del reale, perché nella mia realtà il fantastico e il reale si confondono quotidianamente.
Julio Cortázar, L’altro lato delle cose, intervista, Mimesis
Il fantastico di Cortázar riecheggia anche nei racconti di Cristina Peri Rossi, tra le più importanti e prolifere voci della letteratura ispanica contemporanea, insignita del Premio Miguel De Cervantes nel 2021; entrare nell’universo letterario di Peri Rossi, soprattutto per quanto riguarda i racconti, significa dunque mettere da parte almeno per un po’ il filtro del reale, quantomeno quello che siamo soliti abitare. Un fantastico peculiare, vicinissimo a quello di Cortázar stesso, che si intreccia al reale per svelarne nuove possibilità, ossessioni, ambiguità, forme. Ma ho scelto di partire da qui, dalle parole dello scrittore argentino, anche per il legame umano che legò Cortázar e Peri Rossi, per l’amicizia che nacque a Parigi, dove l’autore aveva scelto di trasferirsi e dove per un periodo si ritrovò anche lei; amicizia che si trasformò in dialogo poetico, che la scomparsa di Cortázar in qualche modo non interruppe, non del tutto almeno. Trent’anni di distanza li separavano, ma incontrandosi parvero in qualche modo riconoscersi l’uno nelle parole dell’altra, anche se per la giovane poeta Peri Rossi vedersi d’improvviso trasformata in Musa fu anche un po’ straniante:
Confesso che la lettura, all’inizio, mi sorprese. Io, il poeta, trattata come la musa: il cambio di ruolo sconvolgeva leggermente la mia identità.
Ma l’identità, in fondo, non è che la didascalia che diamo ai nostri usi e costumi.
Che cosa ci faceva Peri Rossi a Parigi? Chi è questa scrittrice oggi ottuagenaria di cui in Italia non si era mai parlato davvero abbastanza?
La sua storia inizia nel 1941 a Montevideo, Uruguay, che lascia però a trent’anni poiché perseguitata dalla censura a seguito della dittatura civico-militare che si è insediata nel Paese: quella di Peri Rossi sarà sempre la lotta di una donna, di una scrittrice, poeta e giornalista, contro chi vorrebbe metterla a tacere; una voce che non si piega e racconta con libertà: il desiderio sessuale, le dittature, l’esilio, l’alienazione delle società contemporanee, le ambiguità e le contraddizioni del mondo, le relazioni, l’eredità dei traumi.
Si trasferisce in Spagna, per un breve periodo a Parigi (è qui che incontrerà Cortázar) per sfuggire alla dittatura di Franco, fa ritorno stabilmente a Barcellona dove vive tutt’ora e da dove continua a osservare il mondo e scrivere. Tradotta in oltre quindici lingue, insignita di premi importanti, apprezzata da critica e pubblico, si muove tra registri e forme diverse, romanzi, racconti, poesie, con lo sguardo attento, la voce limpida, ironica e spietata. In Italia non aveva ancora goduto di particolare fortuna editoriale e della corposa produzione letteraria originale solo due raccolte di racconti erano state tradotte, molti anni fa: Il museo degli sforzi inutili (Einaudi, 1997) e Le difficoltà dell’amore (La Tartaruga, nel 2006, traduzione di Claudio Fiorentino), da tempo finiti fuori catalogo e per lo più dimenticati. Ora però la casa editrice Sur riporta sugli scaffali la prima raccolta, di cui mantiene titolo e traduzione di Vittoria Spada, e l’attenzione di pubblico e critica nostrana pare essersi svegliata. Dove siamo stati tutto questo tempo? Come abbiamo fatto a ignorare questa scrittrice fuori dai margini?
Troppo distratti dalle mode letterarie del momento, a perenne banchetto al tavolo della narrativa breve angloamericana ogni tanto ci dimentichiamo che senza il cuento non esisterebbe short story e che lì, tra America latina e penisola iberica resistono voci che hanno plasmato il nostro immaginario, si muovono tra forme e generi, creano nuove realtà possibili. Accanto a Cortázar, Bolano, Paz, Borges e, cronologicamente più vicine, Amparo Dávila, Mariana Enriquez, Samanta Schweblin, Guadalupe Nettel, Liliana Colanzi – solo per citare poco più di una manciata di nomi in un universo letterario ricchissimo e fondamentale – siede a buon diritto anche Cristina Peri Rossi e la ripubblicazione di questi trenta racconti segnano un punto fondamentale nella riscoperta in Italia della sua voce. Una voce che a distanza di molto tempo non ha perso un briciolo di forza, ironia, onestà.
Abbandonato il filtro del realismo come tradizionalmente abituati a concepirlo, entrare nei racconti qui selezionati significa addentrarsi in quel mondo in cui, appunto, «fantastico e reale si confondono quotidianamente» per approdare in un universo che è il nostro ma amplificato, spesso disturbante e ambiguo, contraddittorio, dai contorni geografici sfumati a trascendere confini di spazio e tempo.
In meno di duecento pagine sono contenuti trenta racconti, alcuni brevissimi, altri di una manciata di pagine, autonomi ed eterogenei a formare una raccolta pura, il cui unico fil rouge è la postura autoriale da cui sgorga l’immaginario fantastico, surreale, assurdo di Cristina Peri Rossi, che si muove tra prima e terza persona, maschile e femminile, tra ironia, grottesco, dramma, onirico. Lo sguardo dell’autrice tratteggia società alienanti, si sofferma su sentimenti, relazioni, ossessioni, investendo il quotidiano di una profusione di simboli, increspature.
Nel racconto d’apertura, che dà il titolo alla raccolta tutta, un uomo si reca ogni giorno al Museo delle cose inutili, unico visitatore del luogo dove si custodisce memoria degli innumerevoli fallimenti umani: qui resta per sempre traccia, per esempio, dell’insuccesso di chi tenta di insegnare a un cane a parlare, di viaggi lunghi e pericolosi verso posti che non esistevano, di bambini e uomini che cercano di volare, di un uomo che per vent’anni ha tentato di conquistare l’amore di una donna, perfino di Lewis Carroll «che passò la vita a fuggire le correnti d’aria per poi morire di raffreddore» l’unica volta che aveva dimenticato di mettere il soprabito. Il museo stesso, forse, è uno sforzo inutile, dal momento che non riceve altri visitatori o quasi. Resiste, perché assolve all’importante compito di «prendersi cura […] della fugace memoria dei vivi» e la sua custode assume il ruolo di una vestale del tempio, per «il carattere sacro della sua missione» .
I racconti di Peri Rossi si muovono in bilico sulla frattura che stravolge l’apparente equilibrio del reale, sono costellati di simboli, risuonano di echi letterari più o meno espliciti. Lo spazio abitato dalla narrazione è, dunque, quello del fantastico, del reale, del sogno, intrecciati tra loro. La dimensione onirica talvolta assume contorni più tangibili e concreti del reale stesso, per svelarsi a poco a poco al lettore nella connotazione di sogno come ne “La pecora ribelle”, ossessione di un uomo che non riesce a dormire e catalizza tutta la propria frustrazione su quella pecora che non ne vuole sapere di saltare lo steccato e condurlo al riposo.
Tutto sarebbe più facile se la prima pecora si decidesse a saltare. Le notti sono lunghe. I campi molto verdi. La città è al buio.
L’ossessione attraversa molte di queste storie, influenzandole a vario grado di grottesco, ironia, dramma. È quella di un uomo infatuato dello sguardo enigmatico di Gioconda, di quel sorriso appena accennato, dei misteri che custodisce e che finiscono per sopraffare la sua vita intera.
È, ancora, l’ossessione per la corda su cui un bambino un giorno dell’infanzia sale decidendo di non scendere mai più: un Cosimo Piovasco di Rondò che vive tutta la sua vita su quella corda, indifferente alle richieste del mondo, alla curiosità, alla vita in basso.
Ecco, quella vita in basso che nei racconti di Peri Rossi molto spesso prende la forma di una società alienante, in precario equilibrio su un ordine che basta un minimo tentennamento a infrangere e generare il caos, come ne “La crepa”. Un uomo esita per un istante nel salire le scale per spostarsi da un lato all’altro del marciapiede della metropolitana e il suo tentennamento crea uno scompiglio che non potrà più essere arginato:
La folla compatta che lo seguiva ruppe il fitto – ma casuale – reticolo spaziotemporale, sparpagliandosi come una stella che, esplodendo, provochi una diaspora di luci e qualche eclisse.
Interrogato da un funzionario del governo circa le sue intenzioni non sa dare risposta dell’esitazione che d’improvviso l’ha colto, del caos che ha portato con sé; frattanto una crepa, sulla parete della stanza dove lo stanno interrogando, si allarga sempre di più. Era già lì quando è entrato? Ci deve essere stato un tempo in cui la parete era perfettamente liscia?
È un racconto dai contorni distopici – ma pure un po’ kafkiani, come altri della raccolta – profondamente politico che spinge a interrogarci sull’azione del singolo, sul ruolo delle masse, sull’intorpidimento nel quale siamo avvolti, sulla forza rivoluzionaria di qualcosa di apparentemente minuscolo, sulla precarietà dell’ordine.
Cristina Peri Rossi mette in dubbio l’ordine che governa il mondo, racconta l’esitazione, la crepa appunto che si allarga sulla parete. Le sue storie in apparenza aliene raccontano il mondo e l’uomo nei loro aspetti più contraddittori, attraverso le metafore che danno forma alle cose, mediante la demistificazione del dolore. Spesso narrano di uno scarto dall’ordine precostituito, dalle aspettative, dalle convenzioni: l’uomo che segue un rigido rituale per scendere dal letto, il ragazzo sulla corda che rifiuta di vivere nel mondo, l’atleta che a un passo dal record mondiale sceglie di fermarsi, l’uomo che con la sua esitazione scatena un pandemonio. Peri Rossi in molti di questi racconti pare metterci in guardia sul pericolo e la precarietà del vivere nel mondo, in società solo in apparenza ordinate, dove basta solo una persona che esca dai binari per sconvolgere ogni cosa.
Lo sguardo dell’autrice scandaglia l’animo umano restituendo al lettore un caleidoscopio di sentimenti e ambiguità: una coppia che entra in crisi quando lui perde di vista il punto fermo che gli era stato donato, un uomo che tenta di comprare il tempo necessario a curarsi dalle ferite – che da metaforiche assumono contorni reali – per la separazione da una donna, altri due che si fondono in uno strano essere unico in una “Storia d’amore” e morte.
Quello di Cristina Peri Rossi è un immaginario ricchissimo che si rivela in lampi di luce abbagliante, in quell’ironia feroce che attraversa le pagine e si fa ora spietata ora intimamente partecipe del dramma. È il racconto, nelle sue molteplici possibilità.