Com'è stato per me, di Andrew Sean Greer

Titolo: Com’è stato per me
Autore: Andrew Sean Greer
Editore: La Nave di Teseo
Traduzione: Elena dal Pra
pp. 288 Euro 20,00

di Debora Lambruschini

«Tutti bramano grandezza». Si chiude così “La vita è là”, uno dei racconti di Com’è stato per me, la raccolta di racconti dello scrittore premio Pulitzer Andrew Sean Greer appena pubblicata da La nave di Teseo nella traduzione di Elena dal Pra, da sempre voce italiana dell’autore. «Tutti bramano grandezza», ma è la vita – il quotidiano teso tra disillusioni e tentativi, piccole felicità, lavoro, relazioni quasi sempre sbilanciate – a impregnare queste pagine, dargli forma, dargli corpo. Sono racconti scritti da Greer lungo tutto il corso della propria carriera, molti dei quali quindi risalenti agli esordi, alla giovinezza: un dato da tenere a mente quando qui e là avvertiamo una qualche incertezza nella scrittura, una tendenza a insistere su certe tecniche narrative. Allo stesso tempo, quello sguardo di uno scrittore agli esordi, quell’urgenza di narrare e la vicinanza ai personaggi, a certi meccanismi della gioventù, rappresentano anche la forza delle storie, non tutte parimenti riuscite ma molte di notevole interesse. A partire proprio da “Com’è stato per me”, il racconto che dà il titolo alla raccolta italiana ma anche a quella americana con cui Greer esordì nel 2000 (How it was for me).   

 

Quando Percy ci aveva esposto i fatti, nella rimessa per gli attrezzi puzzolente di insetticida, renderci conto che le nostre insegnanti di pianoforte erano streghe era stato uno shock.
(Com’è stato per me, p. 73)

 

L’apertura in media res caratterizza buona parte di questi racconti e quando, come in questo caso, Greer sceglie di raccontare la storia dal punto di vista di un ragazzino pare aver già trovato la sua misura più felice, più riuscita. L’eco di quello che forse è il più bel racconto – lungo – sul tema dell’amicizia, sulla perdita dell’innocenza, ossia “The body” di Stephen King, risuona in questo e più in generale nel modo stesso dell’autore di connettersi al mondo dell’infanzia e della pre-adolescenza da cui osservare anche il mondo degli adulti, con tutte le complicazioni e i misteri che rappresenta. In “Com’è stato per me” quattro bambini di dieci anni si convincono che le rispettive insegnanti di musica siano delle streghe, non «streghe vere e proprio ma praticanti di qualche sottile macchinazione» contro di loro e costruiscono quindi un marchingegno per annientarle e mettersi al sicuro dal loro potere. Sono il simbolo del contrasto-distanza tra mondo dell’infanzia ed età adulta:

 

Sembrava l’antidoto perfetto al mondo adulto che stavamo combattendo, al puntuale sabotaggio a cui venivano sottoposte le nostre vite, non solo da parte delle maestre di pianoforte, ma da ogni capriccio degli adulti, che parevano tutti complicati senza un perché.
(Com’è stato per me, p. 86)

Greer, mediante il suo narratore-bambino, osserva il mistero che il mondo degli adulti rappresenta, fatto di regole che ai loro occhi sono impossibili da decifrare, di complicazioni, di cose non dette. Come il mistero della madre del protagonista-narratore: 

 

Ma come mai ero senza madre? Ancora adesso non lo so; mio padre non me ne ha mai parlato. […] Magari era un po’ matta anche lei. Ma il suo talento principale era quello di sparire, cosa che poi fece per sempre. (Com’è stato per me, p. 79)

 

E quando l’illusione si infrange e resta la realtà tutto assume contorni nuovi. “Com’è stato per me” è innocenza e verità, è la fiducia assoluta nei legami che si creano a quell’età e che non hanno bisogno di farsi domande. Ma sono anche le crepe che corrono lungo la facciata. Le insegnanti-streghe rappresentano il pretesto per combattere contro quello che non si comprende, forse la stessa vita adulta, la perdita dell’innocenza che di lì a poco sarà inevitabile. Non c’è un cadavere come nel racconto di King, ma ci sono epifanie e svolte altrettanto dolorose a segnare il passaggio. E i piccoli segnali della vita adulta che è lì ad attenderli e che inevitabilmente metterà una distanza nella loro amicizia. Sprazzi di futuro che appaiono nella narrazione, una tecnica che, proseguendo nella raccolta di Greer, si farà via via fin troppo insistente ma che in questo momento, in questo racconto, funziona perfettamente.  

Come funziona, ancora, in “La vita è là”: in una narrazione che lievemente ricorda “Kew Gardens” di Virginia Woolf, Greer sorvola un campo da calcio dove dei ragazzini sono impegnati in un torneo, i genitori accalcati ai bordi, concentrati sul gioco; un gruppetto, poco distante, intento in altri giochi, un’avventura da far sembrare reale. Come per Woolf è un narratore esterno che pare sorvolare la scena, avvicinandosi di volta in volta a un gruppetto di loro, per poi soffermarsi su ognuno di quei ragazzi fuori dal campo da calcio, concentrati nei loro giochi al fiume. Una zoomata, per osservare meglio Debbie e la sua improbabile barchetta fatta con una scatoletta di tonno, mentre commenta «Nelle pieghe del tempo così tante volte che no sa neanche dire quante» e sogna avventure che non capitano mai a ragazzine come lei. Per osservare Martin, lasciato in panchina per tutta la stagione, e si applica a perfezionare la sua barca di legno di pino, mentre borbotta incessantemente i versi di una poesia di Dickens da recitare durante un’assemblea a scuola; parole che si inseguono e che non comprende, come quasi tutto quello che riguarda il mondo degli adulti, le regole scritte in un codice tutto loro. O, ancora, Kristin, avventurosa e ribelle, che si cala nell’acqua gelida del fiume con i pantaloni arrotolati: tutti «la trovano strana», i bambini e pure gli adulti che li mettono in guardia da quelle come lei.  

 

Guardate com’è già avventata la sua vita. Qualche anno dopo, suo fratello, ora sul campo da calcio, sarà investito da una macchina. Tutto il vicinato resterà paralizzato dall’orrore, e lei in cucina si girerà verso la madre e vedrà quel viso per un attimo svelato. La madre mostrerà qualcosa di scandaloso in un genitore; mostrerà la propria antipatia per la figlia. Ma subito le si nasconderà rapida dentro il viso, e lei correrà ad abbracciare la figlia. Però Kristin l’avrà vista e lo saprà.
(La vita è là, p. 130)

 

Eccola qui, ancora, la prolessi cara a Greer, sprazzi di un futuro che sta già prendendo forma nell’istante in cui siamo e che ne “La vita è là” funziona perfettamente mentre lo sguardo si sposta dall’uno all’altro, dai bambini agli adulti, tra ciò che è il momento presente e le rovine che per qualcuno di loro già rappresenta. Tra chi è fuori posto, tra i segreti che qualcuno custodisce, la rabbia, il dolore, lo sgomento. E forse quel codice di regole per la vita adulta neppure loro, gli uomini e le donne, lo conoscono davvero.

Di certo, sembra sottintendere questo Greer degli anni giovanili, anche il codice delle relazioni è un mistero e i suoi personaggi sembrano decisi a ignorare tutti gli avvertimenti del disastro imminente. C’è una bellezza struggente in “Vieni a vivere con me e sii il mio amore”, il racconto d’apertura della raccolta, perché sappiamo fin da principio che qualcosa è andato storto e il matrimonio tra i due protagonisti è la copertura di altri sentimenti e inclinazioni impossibile da confessare e vivere apertamente senza perdere la sicurezza delle vite cui aspirano. Ma c’è molto più di questo, c’è un’intera vita comune che nel frattempo si compie fino a quando non sa più tenersi insieme:

 

Quello che mi ricordo è che parlammo così, per tutto il pomeriggio, come se stessimo cancellando un cocktail party, e non una vita.
(Vieni a vivere con me e sii il mio amore, p. 43)

 

È forse il racconto più intenso e maturo di tutta la raccolta, nel quale Greer dimostra una spiccata capacità di indagare le pieghe delle relazioni, addentrarsi nei meandri dei propri personaggi e restituirne l’anima e il corpo, scevri da stereotipi o sterili caratterizzazioni. La materia narrativa non è nuova – una relazione eterosessuale per mascherare l’omosessualità di entrambi – ma la trattazione è meritevole e si infonde di rinnovati spunti. Una narrazione in prima persona, dal punto di vista del marito, che ancora una volta gioca su piani temporali diversi nel raccontare la storia di quel matrimonio, delle persone amate, delle crisi. E, soprattutto, delle innumerevoli sfumature dell’amore. Una storia di scelte, di addii e di ritorni, di sentimenti complessi come lo sono nella vita vera: per questo il racconto funziona, indipendentemente dalla soggettività dell’argomento, per la vita che Greer gli ha saputo infondere. È questo, alla fine, l’elemento più importante di tali racconti e, di contro, la loro debolezza quando viene a mancare: la vita che si respira nelle storie. La felicità, la disperazione, la rabbia, l’amore, l’incomprensione, lo spettro intero dei sentimenti umani che fa vibrare le pagine. Dove è nata la voce di un autore come lo conosciamo oggi.