Coniglio maledetto, Bora Chung

Titolo: Coniglio maledetto
Autore: Bora Chung
Editore: La Nave di Teseo
Traduzione: Andrea De Benedittis
pp. 288 Euro 19,00

di Fabrizia Gagliardi

Nella distopia c’è una distanza che rassicura il lettore: in fondo la storia è una versione possibile del futuro in cui tutte le tendenze più distorte e indesiderabili del presente hanno trovato la strada della realtà nella finzione. Cosa succede quando le storie del presente diventano ticchettii che segnano l’imminente compimento di quella rappresentazione immaginaria? Sarebbe un po’ come osservare un disastro nel momento in cui ogni idea risolutiva diventa rimpianto, fino a creare il paradosso di essere stati testimoni e complici del collasso.

È un monito che percorre i dieci racconti di Coniglio maledetto di Bora Chung (traduzione di Andrea De Benedittis, La Nave Di Teseo) dove realismo magico, horror e folklore si intrecciano dando vita a narrazioni che assecondano le convenzioni dei generi letterari per ritrarre storture sociali ed economiche.
L’opera, tradotta in ventidue lingue, è stata selezionata per il Booker Prize 2022 e il National Book Award 2023 per la letteratura tradotta, ed è comparsa nella lista dei migliori libri  del 2022 sul New Yorker. Una serie di traguardi di visibilità che hanno alzato l’attenzione su storie tangenti a una tragica realtà: in Sud Corea l’ingiustizia socioeconomica ha guadagnato da anni neologismi satirici, diffusi tra gli internauti, come “Hell Joseon” (traducibile in una formula come “La Corea è una società infernale e senza speranza”), o anche “Tal-Jon” (una crasi che significa “Fuggi dall’inferno”).

La prosa di Bora Chung ricalca il tono delle favole e del racconto popolare e si muove su un confine poroso tra l’assurdo e il terrore più sottile, tanto da creare un ibrido tra Sayaka Murata e Angela Carter.
Una delle storie più emblematiche è Testa, in cui una giovane donna scopre una testa senza corpo nel suo bagno. Questo macabro ritrovamento è generato dai suoi rifiuti corporei e la tormenterà fino alla vecchiaia.
In Mestruo una ragazza assume una dose eccessiva di anticoncezionali fino a scatenare l’effetto contrario e rimanere incinta. Il racconto è una corsa alla ricerca del futuro padre per un bambino che rischia di non nascere.

“Be’, come prima cosa dovrà mettersi alla ricerca di qualcuno che gli faccia da papà.”
“Da papà? Oddio, e perché?”
“Se ha concepito un bimbo…” replicò sgarbatamente la dottoressa, “avrà diritto o no di avere un padre?”
“Ecco, ma in caso contrario… se non ne avessi uno a disposizione che accadrebbe?”
“Data la situazione, considerando che non si tratta di un concepimento normale, nel caso in cui lei non avesse un partner di sesso maschile, l’embrione non riuscirebbe a formarsi e a crescere regolarmente. Sa, è lo stesso che capita tra le uova: infatti ce ne sono di fertili e di non fertili. È praticamente lo stesso principio,” le spiegò la dottoressa come seccata e fulminandola con gli occhi. “Se l’embrione non riesce a crescere regolarmente, allora si rischia di non riuscire a portare avanti normalmente la gravidanza, ma questo potrà avere delle ripercussioni sulla partoriente. Capisce?”

La voce delle donne è oscurata dal controllo del corpo: quando urlano i loro timori vengono costantemente derubricati, quando sono confuse vengono accusate della loro paura e generano disgusto.
A pensarci bene, nella raccolta ogni lettore può riconoscere elementi che almeno una volta ha incontrato nella realtà: il sorriso di conservazione dello status quo “perché qui funziona così, da sempre”; la tendenza crescente, nel mondo circostante, a minimizzare qualsiasi preoccupazione lecita (lavorativa, sentimentale, relazionale) che denota poca empatia e connessione con l’altro; l’appiattimento verso l’individualismo estremo in cui ogni sentimento è passato al vaglio della stranezza o della solitudine senza possibilità di essere compresi.
Sono i racconti costruiti come favole a generare la sensazione più straniante e, forse, ad apparire come ammonizioni più esplicite per peccati contemporanei. Ne La tagliola l'avidità capitalista si avvale della metafora del sangue dorato di una volpe catturata casualmente da un uomo. Da quel momento in poi la vita del protagonista è votata al profitto, in una spirale crescente di omicidi, cannibalismo e incesto.
Nel racconto che dà il titolo alla raccolta la fiaba della buonanotte raccontata dal nonno si trasforma in un incubo: il declino del CEO di un’azienda di liquori e della sua famiglia s’innesca dopo aver ricevuto un oggetto maledetto che punisce la spietatezza passata.
In Casa, dolce casa! una donna è convinta di poter vivere di rendita acquistando un intero edificio da mettere in affitto, ma una serie di sfortunati eventi sembrerà ostacolarla continuamente.

Lei stessa ammetteva di andare controcorrente, ma d’altronde non era mai stata il tipo che si metteva a seguire il resto del gregge. Gli altri desideravano una vita da sballo: guadagnare soldi a palate, comprare case e automobili più grandi, mandare i figli in asili internazionali con rette astronomiche e in scuole private stra-competitive, per poi farsi dei bei viaggetti all’estero ogni tre mesi. Ma questo non era ciò che lei voleva per sé. Lei ambiva a una vita tranquilla, tra persone senza troppe pretese, ma affettuose… a un’esistenza che le consentisse di vivere in pace con sé e con gli altri.
E ora pensava finalmente di averla trovata.

Un’immaginazione ricca e una prosa dritta e descrittiva mescolano sogno, memoria traumatica e orrore in uno stile semplice. Chung riesce a unire influenze e generi in un modo che destabilizza le aspettative formali sia della narrativa pulp che della letteratura più intellettuale. Questa fusione porta il lettore a navigare tra le macerie di convenzioni sociali e letterarie per trovare nuovi terreni da esplorare e abbattere.
Coniglio maledetto non è solo un esercizio stilistico aderente all’horror e alle favole surreali, ma è un sistema composito di riflessioni sul conformismo, sulle maledizioni da infrangere attraverso nuove forme di umorismo nero e di reazione.