di Francesca Piovesan
Ventanas Edizioni, giovane casa editrice fondata da Laura Putti, porta in Italia per la prima volta, tradotta da Serena Bianchi, la raccolta di racconti Anche gli alberi caduti sono il bosco di Alejandra Kamiya.
Kamiya, nata nel 1966 a Buenos Aires da padre giapponese e madre argentina, riversa n queste pagine i due mondi a cui appartiene: il Giappone lontano con i suoi riti, i suoi valori, il senso dell’obbedienza, dell’onore e del decoro e l’Argentina, creatura ai limiti del mondo con la sua Patagonia, terra di ghiaccio e di fuoco, di cavalli che fiutano il temporale, di pescherecci che navigano il mare per mesi.
In questi dodici racconti l’autrice intreccia mirabilmente tradizione e innovazione, sapori orientali e ombre latine.
Le personagge agite, e personagge è voluto perché la maggior parte dei racconti si fonda su di loro, si stagliano all’interno di una quotidianità che passa attraverso colazioni preparate in maniera minuziosa, come in “La colazione perfetta”, dove la cucina è preludio alla tragedia:
Per preparare il miso shiru profumerai l’acqua con delle acciughine secche. Immaginerai la dolcezza del cocco danzare con il salato delle acciughe. Come se quel mare, che accarezza i piedi delle palme, arrivasse a Tokyo, a casa tua.
Farai attenzione a non mettere troppe acciughe nell’acqua, affinché quella danza non si trasformi in lotta.
In “I resti del segreto”, il quotidiano è il percorso di crescita di due bambine che giocano a essere altre, altre vite, altri segreti:
“Ma abbiamo una vita sola, torero”, dice Belinda mentre riordina i pacchetti di sigarette.
“No, Carmen” dice Guillermina facendo svolazzare il panno. “ne abbiamo tante, come le strade. Se non le percorriamo, le erbacce crescono e le ricoprono. Coraggio, Carmen,andiamo.”
Segreti che passano di bocca in bocca, da famiglia a famiglia, da madre a madre, per incarnarsi in lettere, missive che prendono la forma del tempo, e sveleranno il segreto finale.
Altro elemento molto caro a Kamiya è la memoria; memoria che passa attraverso il cibo come in “Riso”, dove un padre malato e la figlia ricordano le loro origini parlando delle risaie, del modo di lavare il riso, della coltura:
“Vedendo i gesti di mio padre riesco a ritornare al passato, al Giappone, alla sua storia, che è la mia”.
“Più si è pieni, più si è educati, umili. Ci si inchina come una pianta di riso sotto il peso dei chicchi”.
I racconti sono attraversati da una tensione che riporta sempre ai nomi, al nominare, al dover richiamare a se stessi per capirne e carpirne la realtà, le cose e le persone.
Come in “I nomi”, dove un fratello scappato o cacciato di casa, qui si insinua il dubbio della giovane sorella, viene dimenticato nell’atto del non nominare:
Smettemmo di nominare mio fratello il giorno stesso in cui se ne andò di casa, io avevo otto anni. E, come se con un colpo di mano le avesse portate con sé nell’oblio, anche molte delle sue cose persero il nome.
È tensione che sfocia anche nella diversità che l’autrice percepisce sempre; percepisce in Argentina da giapponese, e percepisce in Giappone da argentina. E tutto ancora gira attorno alle parole, a come vengono intese, interpretate:
Potrei fare un elenco di parole che a casa mia avevano un significato diverso da quello che avevano fuori: morte, io, inverno, altro, sale, fatica, parola, bacio, onore, nonno, attesa, tè, lavoro, mangiare, silenzio, accettare, dolore.
(da “Il parto”)
L’onore e l’accettazione sono i temi portanti del racconto più lungo della raccolta: “La buca”. Racconto in cui il protagonista è un uomo, un soldato che, durante la seconda guerra mondiale, viene lasciato su un’isola, apparentemente solo, a scavare una buca che nel corso della pagine da trincea diventerà fossato, anche con un risvolto terribile di fossa comune.
In queste venti pagine, circa, emerge tutta l’obbedienza alla Patria, tutto l’onore tipicamente giapponese, il dolore che, a un certo punto, il soldato prova nel voler trasgredire le regole dopo mesi di solitudine. L’idea che la punizione debba essere esemplare, ossia la morte.
Altro racconto insolito, perché formato principalmente da dialoghi, è “Frammenti di una conversazione”, dove viene messo in scena il rapporto di una donna matura, e poi anziana, con la suda domestica. Una quotidianità che si nutre di piccoli dispetti, rivalse e di richieste di affetto, di aiuto, dell’esserci sempre e comunque anche a discapito della propria vita personale:
Mi accolse spalle alla porta, prendendo appunti su un taccuino.
“Qual è il dramma della tua vita?” fu la prima cosa che mi disse.
“Nessuno”.
Allora si voltò e mi guardò.
“Ogni domestica ha un dramma da raccontare”.
“Io no” ribadii.
“Quindi forse non sei una domestica…”.
“È un lavoro” dissi. “Ho bisogno di soldi”.
“E questa non ti sembra una risposta drammatica?”.
“Anche gli alberi caduti sono il bosco” è una raccolta dove l’uso della parola è lieve ma denso, frutto di estrema cura. I personaggi vivono continue piccole epifanie che gettano nuova luce sulla loro vita privata, offrendo nuove chiavi di lettura, e togliendo dall’ombra gli angoli più bui della stanza. È Oriente e confini del mondo, civiltà giovani e culture millenarie che scambiano parole e valori.