I morti dell’isola di Djal e altre leggende, di Anna Seghers

Autore: Anna Seghers
Titolo: I morti dell’isola di Djal e altre leggende
Editore: L’Orma edizioni
Traduzione: Daria Biagi
pp. 224 Euro 20,00


di Anna Lo Piano

C’è, nel riprendere in mano i libri che hanno segnato gli anni della nostra formazione, un senso di appartenenza, e allo stesso tempo il timore che ciò che allora ci aveva colpito risulti ora banale, e come per certi amori, deformato dalla patina del tempo.
È con questo duplice sentimento che ho preso in mano i racconti di Anna Seghers, I morti dell’isola di Djal e altre leggende, appena pubblicati da L’Orma editore con la traduzione di Daria Biagi. Seghers è stata una delle voci più significative della letteratura tedesca del ‘900, e una delle mie letture universitarie. Per noi ventenni della fine degli anni ‘80, leggere autori e autrici della Mitteleuropa era come riappropriarsi di un’identità che ci apparteneva e ci era stata sottratta. Lì c’era una ferita e la letteratura era come ricomporre una conversazione interrotta, appoggiare l’orecchio sul muro e tastarne la porosità, allo stesso modo con cui, zaino in spalla e Interrail in mano, facevamo incursioni sempre più audaci nel continente a parte dell’Est. E Anna Seghers, come e più di altri, quella ferita l’aveva vissuta e raccontata.
Netty Reiling, questo il suo vero nome, nasce nel 1900 a Magonza da una famiglia ebraica della borghesia colta. A Heidelberg, una delle università più progressiste della Germania dell’epoca, studia cinese e Storia dell’arte, laureandosi con una tesi su “Ebrei ed ebraismo in Rembrandt”. Il richiamo alla pittura, in particolare a quella fiamminga, sarà una costante del suo stile. Da un pittore fiammingo, Hercules Seghers, prende anche il suo nome d’arte, che usa firmandosi come autrice del suo primo racconto del 1924, “I morti dell’isola di Djal. Una leggenda olandese scritta da Antje Seghers”. Impegnata politicamente e culturalmente, ricopre incarichi di rappresentanza. Entra nel partito comunista tedesco e nella Lega degli scrittori proletari e rivoluzionari nel 1928. Nello stesso anno vince il premio Kleist per il romanzo “La rivolta dei pescatori di Santa Barbara” che racconta la lotta di un gruppo di pescatori bretoni per rivendicare migliori condizioni economiche. Anche se fallisce, la rivolta permette comunque loro di acquisire una nuova coscienza sociale e una consapevolezza esistenziale. È il tema della sconfitta che si trasforma nella promessa di  una futura vittoria, ricorrente nella letteratura socialista degli anni ’20.
Nel 1933, con l’avvento del nazismo, fugge a Parigi con la famiglia. Poi nel ’41 va in Messico, partendo da Marsiglia dopo una lunga e tormentata attesa che sarà l’ispirazione del romanzo Transito, ripubblicato da L’Orma nel 2020.
Scrive molto, sempre. Racconti, novelle, reportage. Il romanzo “La settima croce”, che racconta la fuga di un gruppo di ebrei da un campo di concentramento, diventa uno dei primi film ad affrontare il tema del lager, nel 1944, con la regia di Zinnemann e l’interpretazione uno dei volti sacri del cinema hollywoodiano: Spencer Tracy.
Finita la guerra, torna in Germania, decide di stabilirsi a Berlino est, di far parte della DDR. Apre la strada a una nuova generazione di scrittori e scrittrici, diventa una autrice da antologia.

 La raccolta pubblicata ora dall’Orma segue gli anni della sua produzione più intensa, dagli anni ‘20 alla fine degli anni ‘60. Ogni racconto viene presentato con qualche riga di introduzione in cui si indica la data di pubblicazione, il luogo, e la rivista o la raccolta di riferimento. Basta questo a dare il senso di una vita vissuta in gran parte in fuga, per la quale diventa essenziale il lavoro delle riviste che in tutto il mondo davano spazio alle voci plurime degli scrittori germanofoni, per impedire che il tedesco fosse solo la lingua del nazismo.  La divisione in due sezioni, Leggende e Storie, segue la doppia ispirazione di Seghers. Da una parte la passione per le narrazioni popolari, il fascino per il mito fondativo che può essere raccontato all’infinito sempre sotto nuove prospettive, dall’altro le vicende degli schiacciati della storia: la povertà degli Ziegler, le speranze del Sionismo, i giovani nazisti.
Per lei era chiaro che “in ogni epoca artistica si dovesse scoprire una nuova materia letteraria”, e la materia del suo tempo erano i proletari, le loro vite, le loro lotte, senza rinunciare però all’immaginazione. In un famoso carteggio del ’38, entra in polemica  con il critico György Lukács sulla questione del realismo. L’attenzione alle questioni sociali non può far rinunciare chi scrive alla creatività poetica. Contro la critica ideologica che produce descrittori e non narratori, rivendica i valori dell’autenticità soggettiva, dell’esperienza, di quel “futuro ricordato” che sarà la visione di Cassandra di Christa Wolf, capace di pre-vedere perché capace prima di tutto di muoversi nella propria memoria. Allo stesso modo nel racconto “Posta nella Terra promessa” il figlio, prima di morire, può scrivere a suo padre le lettere che gli arriveranno nel futuro perché sa che nel mondo “le cose non cambiano mai”. Ovvero l’essenza delle cose non cambia. Come nel mito, appunto, che per questo può essere raccontato infinite volte, adattandolo alle epoche, scoprendone ogni volta un lato nascosto.
Solo nella “Gita delle ragazze morte”, lunga novella, bellissima, sulla propria infanzia, Anna Seghers fa una concessione a un io narrante più intimo e autobiografico. In questi racconti si sente invece forte la sua voce più alta, epica. Si ha l’impressione di assistere a un racconto corale, che ha un andamento solenne, di qualcosa che è stato tramandato, passato di bocca in bocca. Mi colpisce che scrivendo da una prossimità storica così forte di nazismo, sionismo e colonialismo, ne colga il cuore estremo, la sostanza. Ed ecco che mentre parla di avvenimenti ormai lontani nel tempo, ci ritroviamo a viverne le eterne pulsioni che ne animano i protagonisti. La ricerca di un luogo da poter chiamare casa, l’essere trascinati da correnti che spingono in direzioni opposte e contrarie, il destino incombente, le speranze estenuate.
Nell’ultimo racconto, “La guida”, le contraddizioni del colonialismo sono raccontate attraverso una spedizione che sembra non potersi concludere mai, in un conflitto sempre più esplicito tra un giovane eritreo e i due soldati italiani che devono affidarsi alla sua guida, appunto, per attraversare il territorio che non conoscono, pur avendolo conquistato.
Di questa capacità di valicare i confini del tempo grazie al potere simbolico dell’immaginazione, Seghers parla anche in uno dei suoi ultimi racconti, “Incontro a Praga”, che è una sorta di manifesto poetico del suo modo di narrare. Qui immagina che Hoffman, Gogol e Kakfa si siano dati appuntamento, desiderosi di conoscersi.

 

“Io invece me ne infischio del tempo!” esclama Hoffman “Noi tre non staremmo affatto seduti insieme a questo tavolo, se ci attenessimo al tempo”.

E Kafka, poco dopo

Il tempo è strettamente cointessuto alla mia vita e alla mia scrittura. I miei personaggi non hanno bisogno di volti, i lettori possono immaginarseli da sé. A me interessa la loro indole, il loro comportamento in una determinata situazione. Io mi figuro, per esempio, come si comporterebbe il mio buon vicino se mi arrestassero improvvisamente e la mia abitazione venisse sigillata, senza nemmeno sapere perché. Il mio buon vicino, che finora mi ha stimato, immagina ora una cosa ora un’altra. Io però posso immedesimarmi in chi si sente minacciato da una misteriosa potenza. Del resto, anche la minaccia, il comportamento – che è reale come un volto o un carattere – hanno luogo in un determinato punto del tempo.”

 

Questa stessa immedesimazione nei personaggi come incarnazioni di sentimenti universali è molto forte nella scrittura di Anna Seghers. Anche per questo un romanzo come “Transito”, con una voce narrante in prima persona, legato a un momento storico molto preciso e a una radice autobiografica, può essere letto oggi come una storia contemporanea sull’esilio e sulla condizione di profugo, tanto che nel 2018 il regista Christian Petzold ne ha tratto un film ambientato nel presente: “La donna dello scrittore”.
E resta qualcosa da dire sulla qualità cinematografica dei racconti di Seghers, sulla sua capacità di evocare scene, paesaggi e colori. Basta leggere “Gli Ziegler” per ritrovare tutta la portata iconica del cinema espressionista e dei quadri fiamminghi. Volti deformati, corpi gialli, rinsecchiti, sguardi allucinati e muti, interni familiari e dimessi ricostruiti nei minimi dettagli, e macchie di colore gettate come speranze.Dice ancora Hoffman, in incontro a Praga, rivolgendosi a Kafka:

“poiché lei non scorge via d’uscita per se stesso, ecco che non ne vede alcuna nemmeno per gli altri. Occorre però cercarla, una via d’uscita, una breccia nel muro. Come la cerca un prigioniero, per infilarvi un messaggio per un altro essere umano. Bisogna veder brillare un puntino luminoso. Certi quadri scuri, quelli di Rembrandt per esempio, acquistano il proprio significato solo attraverso queste piccole luci inserite al posto giusto”