di Fabrizia Gagliardi
Se osserviamo bene nella porzione di futuro immaginata, vagamente ottimista della nostra vita, è impossibile non includere la pervasività della tecnologia. Ed è proprio lo spazio tra le nuove questioni che s’impongono con innovazioni che abbiamo a disposizione oggi e le loro possibili conseguenze che s’instaura la malleabilità immaginifica di molti autori contemporanei. Scrivere di tecnologia, giocare con la distopia o l’ucronia, costituiscono i rischi più interessanti degli scrittori che vi si cimentano. Il pericolo è quello di produrre nel lettore lo stesso moto d’animo provocato dagli effetti speciali delle pellicole passate: un senso diffuso di tenerezza e nostalgia che però non nasconde un sapore anacronistico.
Ci sono autori che hanno efficacemente superato la prova come Cory Doctorow e le sue opere sulle scomode implicazioni future tra diritti e soprusi, oppure Joshua Cohen che ha riflettuto su tendenze e pratiche linguistiche influenzate da velocità e consumo di pensieri nei racconti di Quattro nuovi messaggi. Tra le nuove e più interessanti voci da aggiungere alla lista c’è Mary South con Mi ricorderò di te, pubblicata da Pidgin e tradotta da Stefano Pirone.
Una donna che si occupa di moderare commenti su un famoso motore di ricerca diventerà a sua volta la stalker dell’uomo che l’ha stuprata, in un vortice ossessivo di spionaggio d’identità online («Quando saremo morti e marciremo sottoterra o verremo cremati e trasformati in cenere, le nostre vagine saranno ancora su un server da qualche parte per gli occhi di tutti» dice Stronzetto).
Gli infermieri di una casa di riposo scopriranno la vita erotica, le fantasie sessuali, i bisogni e i desideri dei loro pazienti tramite registrazioni telefoniche. Le voci diventeranno così familiari da invadere anche la vita privata e sentimentale del protagonista.
La sezione delle domande più frequenti sulla craniotomia diventa la confessione della vita di una neurochirurga che ha perso il marito e che deve crescere due figli problematici.
I protagonisti delle dieci storie si muovono in un tempo indefinito ma altrettanto familiare: nei loro slanci per ricercare l’amore, la comprensione, e nei loro tentativi di mettere a tacere un senso di solitudine crescente, riconosciamo l’eco di una realtà atomizzata nel lavoro, nell’inseguimento di un indizio di memoria nel marasma di velocità e di precarietà crescente. Senza possibilità di fuga la tecnologia diventa la compagna costante, un sussurro continuo che suggerisce scorciatoie emotive.
In Non è Setsuko tinte orrorifiche definiscono la storia di una madre che cerca di ricreare la bambina che ha perso in passato, in un vortice di follia che coinvolgerà la bambina replicante e il padre.
Un’architetta all’apice del suo successo, protagonista di Architettura per mostri, si trova a raccontarsi in un’intervista affermando di prendere ispirazione dalle deformità della figlia. La vicenda giornalistica svelerà poi l’esistenza della rivalità con la sorellastra che ha donato alla bambina molto più amore e calore umano.
Quando ami l’amore non svanisce. Il sentimento resta per tutta la vita con la persona amata, viene tramandato a coloro che ella ama, e si proietta in tutto l’universo, espandendosi con esso nell’eternità.
Che siano debolezze da esibire in pubblica piazza o dolori privati che irrompono sconvolgendo una vita intera, le preoccupazioni dei protagonisti non sono i prodotti della tecnologia ma piuttosto una rassegna di vuoti emotivi alla ricerca di un antidoto immediato.
L’obiettivo dell’autrice non è quindi un esercizio d’inventiva che va alla ricerca dei modi nuovi e più geniali di impiegare le nuove tecnologie, ma integra perfettamente queste ultime fino a farle assumere un secondo piano, un piano neutrale e non giudicante, rispetto alle inquietudini, i dolori, le gioie e le questioni irrisolte.
La tecnologia non è un deus ex machina ma diventa parte del panorama più preoccupante di nevrosi contemporanee vittime di un benessere economico a tutti i costi, di disfunzioni emotive poco chiare, di rimpiazzi ricercati nelle illusioni.
In ognuna delle vite raccontate la chiave è da ricercare nella provocazione e nella profondità di un’iper-realtà da umorismo nero, contro quelle che erano le aspettative di vita poi tradite, fraintese e deluse. In un panorama del genere non s’intravede speranza all’apparenza, ma in ogni racconto s’intuisce che lasciarsi sgretolare davanti agli altri, farsi assistere nel fallimento e nelle ferite più dolorose, non è voglia di esibizione ma un sincero aprirsi, disintegrarsi e rinascere collegandosi ad altre anime turbate.