di Anna Lo Piano
Può un racconto nascere da una nota a piè di pagina? Le vie della creatività sono infinite, ma è su questa che si è incamminata Susanne Clarke per scrivere il racconto che dà il titolo alla raccolta Le dame di Grace Adieu, da poco pubblicato da Fazi editore, con la traduzione di Paola Merla.
Con un termine da serie TV, potremmo definire questo libro lo spin off di “Jonathan Strange & il Signor Norrel”, il romanzo che ha reso Clarke famosa e che nel 2015 è diventato una fiction prodotta dalla BBC. Ma sarebbe fargli un torto, perché a livello creativo è successo qualcosa di molto più interessante.
Alla fine degli anni ’90, Susanna Clarke è alle prese con la scrittura del romanzo. Uno stile ottocentesco che vuole ricordare Dickens e Jane Austen per la lingua e il sottile umorismo, che sconfina nel fantasy senza essere un romanzo fantasy, che introduce la magia nel mondo accademico vittoriano per affrontare temi esistenziali. Un contenuto magmatico che le sfugge da tutte le parti e fatica a trovare la propria forma definitiva. E mentre è immersa in questo difficile processo, per trovare ispirazione e forse anche contenimento, si iscrive a un corso di scrittura tenuto da Colin Greenland e Geoff Ryman. Il corso prevede che per accedere gli studenti presentino un racconto, e lei scrive “Le dame di Grace Adieu”, ambientato in quel mondo magico e vittoriano, dove appaiono anche i protagonisti del romanzo.
“Le dame” è stato il primo racconto pubblicato, e a questi ne sono seguiti altri sette, quasi tutti apparsi su riviste o antologie prima di essere raccolti nel 2006.
La sperimentazione è forse la cifra più caratteristica di questi racconti, che sono stati scritti attingendo alle parti più sommerse, marginali, del romanzo, da quello che per stessa ammissione dell’autrice non poteva rientrare in una struttura compiuta. Come se il romanzo fosse il palazzo, e le storie la campagna selvaggia che lo circonda, popolata da mondi infiniti, ognuno dei quali ne racchiude altri, in una moltiplicazione che ricorda l’architettura labirintica del suo romanzo più recente: Piranesi.
In questi racconti ci sono molte donne, escluse dal mondo accademico ed esclusivamente maschile dei maghi. A Grace adieu abitano tre donne che sanno molto più di magia di Strange e Norrel. Impossibile non pensare a Jane Austen quando Clarke ce le presenta, facendoci scorgere il loro guizzo geniale dietro l’apparente sottomissione alla vita di provincia.
(il Signor Field) Non si riteneva cambiato rispetto all’uomo che era stato una volta e Cassandra era assolutamente del suo parere, dato che (si diceva) “voi, signore, eravate certamente noioso a ventun anni come lo siete a quarantanove”. E dunque il signor Field riprese moglie, una moglie giovane, intelligente e solo di un anno maggiore di Cassandra, anche se, a difesa della seconda signora Field, possiamo dire che non aveva denaro e non le restava che sposare il signor Field o fare la maestra di scuola.
La seconda signora Field e Cassandra andavano molto d’accordo e ben presto si affezionarono grandemente l’una all’altra. Anzi,
bisognava riconoscere che l’affetto fra loro era assai superiore a quello di entrambe per Field.
Come in una lente di ingrandimento che metta a fuoco dettagli apparentemente insignificanti, il racconto indaga un episodio che nel capitolo 43 di Jonathan Strange è solo accennato in una nota. E in qualche modo tutti i racconti sono espansioni di note. Percorrono strade impervie e poco battute di un universo inventato di cui è possibile raccontare solo una versione alla volta.
Nella sperimentazione si alternano le voci narranti. Sono accademiche e circostanziali come quella del fittizio professor Sutherland che introduce la raccolta, esperto di sidhe, ovvero la materia che riguarda le fate e il mondo magico, o soggettive, come la prima persona del diario di Simonelli alla scoperta delle proprie origini attraverso l’incontro con un antagonista misterioso, dove sentiamo echi del Dracula di Stoker.
L’ispirazione ucronica trova protagonisti il Duca di Wellington o Maria Stuarda, finiti malgrado loro in un universo parallelo nel quale, per una strana combinazione, sono ambedue nelle mani del fato, di parche magiche che tessono fili, che ricamano scene di vita prima che si realizzino. Starà a loro tagliare il filo o provare a rimbastire la trama.
C’è molta struttura fiabesca, come nella reinterpretazione di Tremotino, ma anche nelle ripetizioni, nelle triadi di prove e incantesimi, e un gusto della poesia in certe descrizioni, che si percepisce fortemente nella lettura ad alta voce.
C’è soprattutto la sensazione di una cavalcata a briglia sciolta, il gusto dello sconfinamento dei generi e delle costrizioni, di attingere a piene mani all’ispirazione letteraria più amata.
Sono racconti che potrebbero essere letti in un cenacolo, come le raccolte di fabliaux medievali, o meditati in solitudine nelle sere di autunno. La ribellione al destino, come la sua accettazione, la discesa incerta verso la propria identità, la beffa al sopruso come l’ossessione amorosa che confonde realtà e follia (La signora Mabb, il mio preferito) sono i temi che il fantastico permette di esplorare fino in fondo.
E inerpicandosi sulle vie meno battute della materia creativa del romanzo, i racconti riportano specifiche scoperte, fino a quella più essenziale, ovvero che la magia, al di là delle speculazioni accademiche, è qualcosa che ha che fare con il dialogo ininterrotto con la terra e con i suoi elementi, con la capacità di riconoscere in ogni essere, roccia, animale o albero che sia, una scintilla della stessa sostanza che ci ha formato.
Allora la magia sarà per noi ciò che il volo è per gli uccelli, perché proverrà dal cuore, oscuro e pieno di sogni, proprio come proviene dal cuore il volo degli uccelli. E nel praticare questa magia, felici come lo è l’uccello quando si lancia nel vuoto, sapremo che la magia fa parte di ciò che l’uomo è, esattamente come il volo fa parte di ciò che è l’uccello.