di Matteo Moca
Nella lezione inaugurale che tenne nel 2006 allo IUAV di Venezia, Giorgio Agamben per introdurre il suo discorso si chiede: «Di chi e di che cosa siamo contemporanei? E, innanzitutto, che cosa significa essere contemporanei?». Agamben riflette sulla relazione necessaria con il tempo («La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo»), sottolineando come coincidere troppo con l'epoca che si vive porti con sé il rischio di non vederla davvero e quindi di non essere contemporanei perché, proprio per questa vicinanza estrema, non si riuscirebbe a vederla, non potendo «tenere fisso lo sguardo su di essa». Anche attraverso questa chiave si può provare a comprendere il titolo e i racconti che fanno parte di Contemporaneo occidentale, raccolta di racconti pubblicata da Il Saggiatore con la cura di Andrea Gentile: questo libro infatti sventa sin da subito il rischio compilativo che si paventa davanti a insiemi di racconti di autori vari e di generazioni diverse, perché queste prose sono tenute insieme da un piano teorico ampio e ambizioso che si interroga, come sottolinea nella sua fondamentale Introduzione Gentile, su come contemporaneo e letteratura possano andare insieme: «Per “contemporaneo”, allora, si intende ciò che in quanto non attuale non è visibile, e tenta una letteratura come pratica meditativa. Un testo inteso come stato, capace di diventare più grande del pensiero, fuori dunque dall'antica polarità del bello/brutto, mi intrattiene/non mi intrattiene». In linea con il pensiero di Agamben, anche nel caso di questi racconti osservare solo l'estremo contemporaneo immergendocisi completamente porterebbe a smarrire una prospettiva fondamentale in grado di dare un saggio più ampio di cosa significhi “contemporaneo”. Qui emerge allora il valore assoluto che Gentile affida alla letteratura e la sovrastruttura che sorveglia questi racconti che hanno a che fare con gli interrogativi più profondi e urgenti dell'umanità: che cos'è la realtà? Come l'uomo ci si muove dentro? La confusione tra “realismo”, “verosimiglianza” e “realtà”, dove le prime due vengono erroneamente confuse con l'ultima, viene qui messa alla prova in maniera radicale attraverso lo strumento letterario, via di fuga dalla stretta rete che intriga e stringe l'io coccolato, tracciato e confuso dentro l'età contemporanea. Gentile sceglie in maniera intelligente, ma d'altronde replicando lo stesso valore del catalogo del Saggiatore, non di selezionare una serie di racconti afferenti, in maniera didascalica, a un unico tema, quanto piuttosto di scegliere racconti diversi (eterogenei per argomento e, in alcuni casi, per riuscita) in grado di soddisfare la poetica che sostiene questo libro: quali e quante sono le declinazioni del nostro tempo? Come può la letteratura, e in particolare la narrativa breve, scivolare e soggiornare nell'ignoto che segna l'esistenza umana? Qual è la funzione della paura e dell'orrore in un mondo che sembra sempre di più imprigionato nelle loro spire? Per rispondere a queste domande Gentile sceglie racconti scritti in un periodo che occupa più o meno l'ultimo decennio (con alcune eccezioni), opere di autori ormai centrali del canone occidentale contemporaneo (il premio Nobel Olga Tokarczuk, Jeff VanderMeer, Karl Ove Knausgard, Mircea Cărtărescu e William T. Vollman), esponenti di spicco della casa editrice (Thomas Ligotti, David Peace, la giovane Emma Glass, Geoff Dyer o László Darvasi), suoi numi tutelari come Botho Strauss, ma anche scrittori che forse non si immaginerebbero in questo contesto come Ali Smith. L'eterogeneità di questi autori, per cultura, opere e attenzione a diversi mezzi letterari, concede a questo libro uno statuto particolare, trasformandolo in una sorta di carotaggio avanguardistico sulle funzioni della letteratura nel suo primigenio compito di raccontare. Contemporaneo occidentale è diviso in tre parti che sembrano rappresentare le tappe di questo processo di purificazione alle acque della letteratura intesa come racconto ancestrale dell'essenza stessa dell'umano, dei misteri che ne affollano l'esistenza e delle paure che ne scolpiscono il pensiero. La prima di queste, Nel bardo, attraverso i racconti di Tokarczuk, uno dei più belli dell'intera raccolta, Ligotti, VandeerMeer, Peace e Glass, scandisce le forme e i momenti in cui il rapporto tra corpo (cioè la nostra necessità di vivere in contatto continuo con le cose) e anima (la possibilità di immaginare) comincia ad allentare le sue strette razionali. In La montagna di tutti i santi di Tokarczuk per esempio, nella storia di una scienziata malata che lavora a un progetto segreto in un istituto per minori in Svizzera ospite di un gruppo di suore, la ricerca (scientifica e sperimentale) sulla santità sembra la via di salvezza da un mondo in fiamme, in Metaphysica Morum di Ligotti, come al solito vertiginoso saliscendi linguistico e stilistico, il sogno si rivela come luogo di accoglienza ed epifania dentro un mondo troppo pieno di significati reconditi per essere vissuto davvero senza l'appoggio dell'immateriale, nell'ambientazione giapponese del racconto di David Peace (Dopo la caduta, prima della caduta) la costruzione a scatola della narrazione richiama le fiabe dell'antico Oriente con la morale che però si sgretola davanti all'insipienza umana. Oppure, infine, nel breve Consenso Emma Glass sembra riflettere sull'arrivo dell'ineluttabile e su come la morte possa rendere più vivida la vita.
La seconda parte si intitola invece Meditazioni ed è composta da testi che soddisfano ciò che il titolo suggerisce, una sorta di stasi prima del movimento di allontanamento dettato dall'immaginazione: si tratta infatti di una serie di testi dalla natura più saggistica, a opera di Knausgard, Dyer, Cărtărescu e Strauss che provano a interrogarsi su quale posto la lingua, la letteratura e la conoscenza delle opere letterarie possano rivestire, come in Sul valore della letteratura di Knausgard (dove però la struttura argomentativa risulta forse un po' troppo scoperta). Seguono poi una nostalgica rievocazione di una vacanza in Italia di Dyer (Omaggio a Michele Avantario), esercitazione pratica di come la scrittura possa dare forma meno instabile al ricordo, e il bel testo di Cărtărescu «There are more things…» ragionamento verticale su cosa possa significare conoscere il mondo e su come il pensiero provi a ingabbiare le sue manifestazioni. Chiude il volume la terza parte, Apparizioni, costruita da racconti che appunto ruotano attorno allo statuto di reale o irreale di ciò che ai personaggi sembra di vedere, al viaggio metafisico che può aiutare a immaginare nuovi, ma non per questo migliori, orizzonti. Ragnatela di Mariana Enriquez è uno dei pezzi più belli della raccolta: affogato nel clima umido del Sud America dove il calore invita la mente a perdere le usuali costruzioni del Super-Io, il racconto è incentrato su come le due protagoniste, entrambe omaggiate dal dono di una seconda vista sul reale in grado di farle vedere cose che altri non vedono, vivano in una situazione di sospensione del reale, che la scrittura avvolgente è perfettamente in grado di restituire, e di come non siano tollerabili interferenze secolari. Dopo la storia di violenza e di skinhead di Vollmann (I cavalieri bianchi), anche questa una tra le vette del libro, chiude la raccolta il breve testo di Mariella Mehr, scomparsa a settembre, Un dito tagliato: L'arrivo del capodoglio dopo la messa domenicale, astratto racconto d'infanzia che fissa, una volta per tutte, la prospettiva mobile di questa raccolta sospesa tutta sul dirupo che il reale, il ricordo e la scomparsa spalancano.
Se dunque, per riprendere ciò che scrive Agamben in Che cos'è il contemporaneo, contemporaneo è chi osserva profondamente il suo tempo interessato non solo a vederne le luci quanto, piuttosto, a percepirne e ghermirne il buio, allora questa raccolta di racconti è in grado di funzionare come sentiero, non semplice e lineare, di perlustrazione e, forse, conoscenza. «Tutti i tempi – aggiunge Agamben – sono, per chi ne esperisce la contemporaneità, oscuri. Contemporaneo è, appunto, colui che sa vedere questa oscurità, che è in grado di scrivere intingendo la penna nella tenebra del presente». Leggendo Contemporaneo occidentale l'immaginazione potrà avvicinarsi alle tenebre che avvolgono il nostro tentativo di rasserenare il tempo che viviamo invitandoci ad affondare dentro questo materiale multiforme che affida la sua ancora di salvezza alla letteratura. Nel suo testo, lo scrittore norvegese Knausgard scrive che la letteratura «è incompiuta come la vita, priva di senso come la vita, molteplice come la vita, priva di direzioni come la vita e ogni tanto, proprio come la vita, riesce a condensarsi in enormi grappoli carichi di significato e di vicinanza al mondo»: affidarsi allora al suo mistero e alle sue possibilità di gettare uno sguardo obliquo e onesto sul reale attraverso l'antichissima forma del racconto di storie rappresenta una delle poche possibilità, reali, di conoscenza.