Commedie del vespero e della notte, di Livio Santoro

Edicola Edizioni pubblica i nuovi racconti di Livio Santoro Commedie del vespero e della notte, dopo aver portato in libreria la raccolta Piccole apocalissi. Testi brevi e brevissimi, nei quali il talento visionario dell’autore prende forma in una prosa densa e musicale che sfiora la poesia. Tra atmosfere cupe e scenari estremi, in ognuna di queste “commedie” si avverte in sottofondo il ghigno inquietante della tenebra.

Cattedrale vi propone il racconto che da il titolo alla raccolta, per gentile concessione dell’editore.

Commedie del vespero e della notte

Alle attese commedie notturne e vespertine dell’itinerante e molteplice Yuri Masharawi, di cui si cominciava sempre a parlare già molti giorni prima, ogni famiglia dei paraggi partecipava secondo le proprie possibilità, in favore del bisogno di tutte. C’era per esempio chi ripuliva e levigava minuziosamente il palco, chi allestiva sedute supplementari nella cavea, assemblando rottami tratti dalla fossa degli scarti, e chi, caricandosi l’onere primario di portare la luce, predisponeva all’uopo le lampade ad olio attorno all’assito, attingendo copiosamente dalla propria riserva di combustibile. Noi, avendo casa a pochi passi dal teatro, alle spalle del palco, di solito offrivamoa Yuri Masharawi l’intimità della nostra latrina, perché adempisse in tutta calma alle sue necessità corporali, e le nostre mura discrete, perché si imbellettasse il viso e provasse gli abiti di scena senza prima svelarli al pubblico impaziente. E questo è sempre stato, per me, il più grande privilegio, tanto da farmi sentire già in principio parte attiva dell’evento e molto più degli altri. Fin dalla prima infanzia, quando dalle fenditure della porta chiusa cominciai furtivamente a spiare Yuri, che era ben consapevole della mia irrispettosa indiscrezione, godendo ogni volta alla vista dell’emersione graduale dei suoi caratteri dal mondo del racconto a cui avrebbero di lì a poco dato vita. Amavo soprattutto quando, di spalle rispetto al mio sguardo clandestino, Yuri apriva il suo consunto baule, traendone maschere atroci o scialli sottili, corna di cervo o pellicce di licheni, turbanti gemmati o palandrane di fuoco scarlatto. Ma amavo anche quando quelle vesti miracolose le indossava con grazia e lentamente, una dopo l’altra, offrendomi dunque l’impagabile agio di assistere ogni volta a una nuova genesi, a un prologo che nessun altro avrebbe visto, un prologo che andava in scena soltanto per me. E solo quando Yuri iniziò a invecchiare, diradando la sua presenza dalle nostre parti, facendosi annunciare più raramente sul palco, cominciai a capire che era tutto parte di una commedia più grande, quella che Yuri Masharawi, e noi di seguito, e l’assito, e la bonaccia e gli assioli, i grilli e il fumo delle pipe di chi assisteva alle rappresentazioni, le lampade ad olio e le sedute fatte di scarti, recitavamo giorno per giorno tra uno spettacolo e l’altro, nell’attesa febbrile del successivo. Yuri era molteplice perché noi lo eravamo, Yuri calcava il palco perché noi tutti ne calcavamo uno più grande. Quando lo compresi definitivamente, una sera che ormai in età adulta stavo ancora una volta spiando le sue vestizioni, ancora una volta credendomi invisibile al di qua della porta, Yuri si girò ed incrociò il mio sguardo nascosto, invitandomi ad entrare nel suo miracoloso camerino. Fu proprio in quel momento che scomparve, lasciando alla mia cura le vesti ed il baule, eredità che accolsi fin da subito senza amarezza, perché sapevo che Yuri, tra quelle vesti, in quel consunto baule, ancora viveva sotto forma di corona di spine o di mantello, di maglia a squame o di copricapo di arenaria. Indossai allora gli abiti di scena, accennai le espressioni, mi dipinsi il viso, e infine uscii nel tepore della sera, e presi posto per la prima volta tra le lampade, al centro del palco, mentre tutti occupavano composti le sedute, chi fumando la pipa, chi fregandosi le mani. Così, sotto il cortese incitamento dei grilli e degli assioli, che per qualche istante interruppero il verso, cominciai a recitare la mia prima commedia. E dopo aver concluso l’ultima battuta, mentre portavo il braccio dietro la schiena per l’inchino, vidi il pubblico alzarsi entusiasta ed applaudire, e gridare a gran voce il mio nome, gridare Yuri, YuriMasharaw.