Memorie dalla A alla Z. Intervista a Ugo Cornia


di Giordana Restifo

Quanti elenchi si fanno per mettere ordine nella propria vita? Quante liste?

Ugo Cornia ne ha scritta una, fantastica e reale. Un’enciclopedia della memoria in ordine alfabetico che mette insieme ricordi e aneddoti personali ripresentatisi durante il periodo del lockdown. «È incredibile quanta roba ci stia in una vita (questo concetto “vita” per fortuna è un concetto quanto più vago possibile, anzi, non è neanche un concetto, ma è questa cosa che ci capita a tutti noi viventi). Ti arriva addosso di continuo qualcosa da dovunque e tutti questi qualcosa quasi sempre non hanno la minima infrastruttura logica che li armonizzi e li renda funzionali a una specie di destino».

La vita in ordine alfabetico, pubblicato all’inizio di ottobre da La nave di Teseo, narra di uomini e di animali, di piccole e grandi storie ambientate nella provincia emiliana ma che, per certi versi, potrebbero svolgersi in una delle tante provincie italiane.

 

 

Leggendo il tuo ultimo libro, La vita in ordine alfabetico, appena pubblicato da La Nave di Teseo, si direbbe che la pandemia abbia dato vita anche a un periodo proficuo per molti autori; d’altronde, ce lo confessi anche tu nelle prime pagine, grazie al lockdown sei riuscito, dopo più di un anno che non buttavi giù nemmeno una riga, a mettere insieme le voci che compongono questo “dizionario ragionato della tua vita”. Come è iniziato questo lavoro di ricerca interiore; sono servite pale, scopette e cazzuole (magari quella regalata da tuo nonno Ugo) per scavare nella memoria o sono parole che avevi a galla e serviva solo un po’ di quiete per imprimerle sul foglio?

 

In Emilia la scuola è stata chiusa prestissimo, direi tre settimane prima che ci chiudessero in casa e non c’erano ancora dati spaventosi sui morti, quindi ci sono state due o tre settimane che sembravano di festa, se passavi di fianco a un bar era pieno di vecchi che bevevano cappuccini, non c’era ancora il clima nefasto. Il sabato prima che annunciassero la chiusura della scuola io ero a Guzzano e per caso mi sono messo a scrivere, e c’era questa cimice che col caldo della stufa si era risvegliata dal letargo e mi girava intorno (come scritto nel libro da qualche parte) e avevo buttato giù qualcosa. Poi il giorno dopo han detto che chiudevano le scuole e ci sono state queste giornate allegre e libere e avevo tempo per scrivere. Poi ci hanno chiuso in casa, è partita la dad a tempo ridotto, e per fortuna avevo qualcosa da scrivere se no mi sarei impiccato. Io abito solo e quindi era come se fossi in isolamento. Ma era cambiata l’aria ormai. Per fortuna mi veniva ogni tanto da scrivere.

 

In Animali (topi gatti cani e mia sorella) ci parli del silenzio che regna a Guzzano, sull’Appennino bolognese, dove si trova la tua casa di famiglia e dove hai scritto buona parte del tuo nuovo libro, «va anche detto che a Guzzano c’è un silenzio tale che i rumori più minimi di notte ci esplodono dentro; in mezzo a questo silenzio quasi totale, in cui l’unico rumore che si sente è quello della fontana, questi rumori si dilatano in intensità in un modo tale da diventare anche rumori difficilmente quantificabili e identificabili perché hai perso il parametro». Questo silenzio ha aiutato la tua scrittura? E ciò che accade con i rumori (che esplodono dentro) avviene anche con i ricordi?

Io a Guzzano scrivo pochissimo e ci starò al massimo 60/70 giorni all’anno. Scrivo quasi sempre a Modena, dove risiedo normalmente. Per il resto, i silenzi abissali un po’ mi turbano e spaventano, anche perché dove c’è molto silenzio ci sono dei continui rumorini inspiegabili. Delle volte quando sono a Guzzano a letto, ho spento la luce ma non dormo ancora, sento continuamente sti rumorini e mi chiedo se sia uno scorpione che cammina due stanze più in là. Se sono in casa da solo direi che più che altro mi inquietano. Forse tre giorni dopo, a Modena, scrivo cose da uno un po’ inquietato dal silenzio. L’unica cosa che invece mi dà una botta di energia è quando ci sono i cervi in amore, che vai a letto, e loro continuano tutta la notte a fare ogni due minuti quel loro verso a metà tra il grugnito e il muggito, che è veramente orrendo. Una notte, saranno state le due, sono uscito e gli ho urlato: “Allora, la smettiamo? Basta”. E devo dire che per cinque minuti hanno smesso. Poi hanno ripreso. A Modena c’è quello splendido inquinamento acustico continuo, dove dopo un po’ non senti più niente.

 

Proviamo a superare la, quanto mai fallimentare, retorica del “ne usciremo migliori” o “andrà tutto bene”, e il proliferare di bandiere con il tricolore italiano (conservate nei cassetti dal 2006 - anno dell’ultimo mondiale vinto dall’Italia - e tirate fuori per l’occasione pandemica), pensi che qualcosa di buono sia scaturito da quest’anno e mezzo a livello umano? O abbia favorito più l’esplosione di sentimenti di odio e malessere?

Non saprei, non sono in grado di rispondere. È stata una cosa faticosa da sopportare. E spesso mi sembrava che ci raccontassero un sacco di balle. E ci bombardassero con un sacco di dati molto male analizzati e quindi quasi insensati. Inoltre io dal lato economico ero ben coperto, ma alcuni miei amici hanno avuto qualche problemino (anche se superabili). Comunque, dalle sfighe in genere si esce peggiori, non mi sembra che sia mai successo che si esce migliori. Forse

  

Passi dalla scrittura del romanzo - Animali (topi gatti cani e mia sorella) - alla forma del racconto - Favole da riformatorio - con nonchalance, ma come definiresti quest’ultimo lavoro, La vita in ordine alfabetico? Un ibrido? Inoltre, domanda d’obbligo, preferisci scrivere e leggere raccolte di racconti o romanzi?

Preferisco leggere cose belle, che siano romanzi o racconti non mi interessa. Anche se devo dire che per esempio la grande novellistica italiana tra tre e cinquecento, esempio Boccaccio, La Novella del Grasso Legnaiolo, Sacchetti, Sermini, Straparola e così via, Bandello, che ogni tanto leggo, li trovo veramente belli. La storia di Ganfo pellicciaio (Sermini?) mi sembra un capolavoro. Ma anche lo Zibaldone o Spinoza, quando li leggo li trovo bellissimi. Quindi non saprei cosa dire. Ci sono cose che diventano favole, cose che diventano racconti, cose che diventano romanzi.

 

Che sia romanzo o racconto, c’è un tema immancabile nelle tue opere: gli animali. Probabilmente perché ti hanno accompagnato per tutta la vita (anche se non vuoi più averne di domestici e vuoi tenere la tua vita ben separata da quella del mondo animale) e perché da piccolo volevi fare il veterinario. Al riguardo, non hai mai pensato di scrivere un “bestiario” con i racconti (fantastici o reali, che nel caso della tua scrittura si potrebbero sovrapporre benissimo) della fauna che ben conosci? Un “bestiario guzzanese” magari? O, forse, il tuo bestiario lo hai già pubblicato e si tratta di Favole da riformatorio?

Questa estate è arrivato a casa mia a Guzzano un gatto arancione, e ci ha proprio chiesto da mangiare, si capiva. Tra l’altro mangia come un cane, non annusa, si butta su quello che gli dai e lo butta giù. E quindi ha preso l’abitudine di passare tutte le sere alle 9, ti rompeva finché non gli davi da mangiare, poi spariva due ore, poi ritornava e voleva ancora da mangiare. E un po’ così, ogni tanto passano degli animali. Adesso è un po’ che sono a Modena, andrà a scroccare da Lorenzo, il mio vicino. Gli animali di Favole da riformatorio erano un po’ degli animali e un po’ dei devianti o degli emarginati, in un certo senso erano favole a sfondo morale, anche se di morali un po’ devianti.

 

La cifra dei tuoi scritti mi ha fatto pensare a La mia famiglia e altri animali (Adelphi) di Gerald Durrell. Anzitutto per il tema della zoologia, secondariamente per il tono umoristico che assume in alcuni passaggi il naturalista e zoologo britannico e per alcune delle vicende strampalate che lo riguardano in prima persona. Da questa autobiografia, pubblicata per la prima volta nel 1956, sembra che a Corfù, dove ha vissuto Durrell per parte della sua infanzia, non ci si annoi mai e possa accadere di tutto. È un’impressione che ho avuto anche di Guzzano leggendoti, magari sbaglio! La domanda è: dopo questo anno e mezzo, pensi sia possibile una vita a un ritmo più lento, riscoprendo il mondo animale e quello vegetale, andando a ripopolare quei posti destinati, altrimenti, a scomparire?

Non lo so, non credo. Io perlomeno quando posso scappo da Modena e vado a Guzzano, ma dopo tre giorni torno a Modena scappando da Guzzano. D’estate ci vado magari venticinque giorni di seguito e sto benissimo, e poi dico “basta, basta, basta” e il giorno dopo torno a Modena. Per me è un po’ così. Magari fra dieci anni cambia tutto e lascio Modena e mi stabilisco a Guzzano, però per adesso ho bisogno di fare tutti i giorni due passi in città. Certo per dieci anni andare tutto il giorno su e giù per i fossi a caccia e pesca tra rane, bisce d’acqua, vipere, pesci e gamberi mi piaceva. Vedremo come si evolve il lavoro e la possibilità di trovare da lavorare in quei posti. Da quando esisto io (56 anni) a Guzzano sono passati da trecento a tredici. E dieci anni prima ci stavano settecento persone. Tredici è veramente pochissimo. Per quanto riguarda Durrell, me lo hanno detto in tanti ma è un libro che non ho ancora letto.

 

Un’ultima domanda di rito, per noi di Osservatorio Cattedrale, ci vuoi dire tre dei tuoi racconti preferiti?

Trovo bellissimi certi passi di Lenz di Buchner, come ho già detto la novellistica, Centuria di Manganelli, e così via. Domani ne direi di sicuro degli altri.