di Fabrizia Gagliardi
Quando le chiesero di scrivere un pezzo culinario per Lucky Peach Magazine, Amelia Gray andò in uno stripclub di Los Angeles per gustare specialità messicane. Quando un libraio avvertì Jeff Vandermeer perché stava acquistando un titolo troppo weird (Viscere), lo scrittore non esitò a rispondere che ad affascinarlo era proprio la capacità dell’autrice di avere i piedi ben piantati a terra e sconfinare, allo stesso tempo, nel surreale. Non è un caso che Amelia Gray sia entrata nel team di sceneggiatori di Maniac e di Mr. Robot, prodotti d’intrattenimento che hanno sorpreso per le capacità di mescolare generi e nuove formule narrative: la weirdness dell’essere umano s’intreccia con la casualità dell’universo fino a slegare le trame da quell’antropocentrismo che seguiva le regole canoniche di causa ed effetto.
Un approccio simile sviluppato fino alle estreme conseguenze lo si può rintracciare in Viscere, pubblicato da Pdgin Edizioni e tradotto da Stefano Pirone. Trentasette racconti brevi che alternano elementi insoliti, fantastici, alla realtà più dura e quotidiana, tutto inserito in un prisma dalla varietà stilistica non indifferente. Leggiamo la storia di una coppia che cerca di praticare la “connessione senza attaccamento” nel racconto Nel momento; in Cinquanta modi per mangiare il tuo amato, troviamo un vademecum per cannibalizzare la dolce metà; fino ad arrivare a racconti che diventano parabole dal risvolto decisamente ironico come Sparato alla pancia, in cui un uomo in punto di morte ha un dialogo surreale con Gesù, o L’anno del serpente, la storia di un villaggio occupato da un enorme serpente con cui gli abitanti vivranno in simbiosi. Ogni racconto ha una traccia d’ironia dal retrogusto amaro che allontana le vicende dalla classica storia borghese, così aderente al reale. La complessità della metafora diventa mito e la sua comprensione non può essere decifrata dalla risoluzione delle vicende umane.
Per capire l’origine del lavoro di Amelia Gray le abbiamo rivolto qualche domanda.
Sono interessata al modo di concepire i personaggi delle tue storie. Vizi, desideri impellenti che mettono a nudo debolezze, relazioni disfunzionali, mi sembrano una versione estrema di un modello relazionale contemporaneo: l’individuo è ritratto nella solitudine e nella devianza delle sue riflessioni, consapevole o meno che queste lo portino lontano dalla condivisione con l’altro. Da dove nascono i tuoi personaggi? Prendi ispirazione dalla realtà?
Tutto quello che scrivo è ossessionato dalla realtà, per me è inutile scrivere fiction solo per sperimentare la forma o provare una ragione teorica. Questo non vuol dire che i miei personaggi siano autobiografici, o che i loro pensieri siano pensieri che anch’io avrei. Ho notato che l’opinione dei critici americani è quella che le donne sono in grado di scrivere solo delle loro storie, che hanno accesso alla loro esperienza solo attraverso la finzione. I miei personaggi devono vedersela con i loro problemi, con le idee che sto esplorando.
La raccolta ha un aspetto sorprendente: è in grado di passare da un tipo di narrazione a un’altra, alternando stili e modi di raccontare molto diversi da una storia all’altra. Mi hanno colpito racconti come L’anno del serpente o Sparato alla pancia che sono costruiti come parabole, quasi sempre percorse da un’amara ironia. C’è un’efficacia diversa che affidi alle storie costruite in questo modo?
Sono cresciuta con parabole e favole, religiose e tramandate da secoli, e mi vengono in mente come un modo piacevole e diretto di leggere e scrivere. Nel lavoro di un romanzo la storia si espande in maniera differente per me, lungo le strade di trama, personaggio e riflessione, ma ho sempre apprezzato l’efficacia del racconto. In realtà, trovo che L’anno del serpente e Sparato alla pancia siano le mie storie più ottimistiche. In particolare, credo che vivere all’interno di un serpente vorrebbe dire vivere in un ambiente molto caldo.
Negli ultimi tempi molti degli autori americani tradotti in Italia, e anche molti dei prodotti d’intrattenimento seriale, hanno una caratteristica comune: il lato weird pervade la narrazione ma non prevale, amplifica il senso di straniamento della realtà insieme a una sorta di commento ironico. Per quanto riguarda i libri sto pensando a Lingua nera di Rita Bullwinkel (pubblicata in Italia da Edizioni Black Coffee), ai libri di Alexandra Kleeman, a Il suo corpo e altre feste di Carmen Maria Machado (pubblicata da Codice Edizioni): tutte autrici che stanno portando nuova linfa vitale a un modo di raccontare che avevo già letto con George Saunders, e più indietro con Robert Coover. Vi considero un po’ la nuova generazione di autori che inaugura un nuovo corso: il commento ironico, la versione mitica della vita umana viene riportata non ritraendo la realtà come i postmodernisti ma rielaborandola scrivendo fiabe, leggende.
Cosa credi che stia cambiando nella letteratura americana rispetto al passato? Ci sono autori che per te la stanno cambiando in maniera inedita?
Sulla scia del realismo mitico o distopico alla tua lista aggiungerei Kelly Link insieme al romanzo di Melissa Broder, The Pisces, Lo schiavista di Paul Beatty e Nothing to See Here di Kevin Wilson. Quando Saunders ha pubblicato Il declino delle guerre civili americane aveva avvertito e reagito al cambiamento distopico, al cambiamento di Internet, al mondo delle notizie, cose di cui gli altri scrittori che menzioniamo sono stati davvero intrisi. È interessante rifletterci, ma commentare le tendenze della letteratura è un po’ come provare a prevedere il tempo durante una grandinata.
Ti sei cimentata in romanzi e racconti, ma come fai ad avvertire se un’idea diventerà l’uno o l’altro?
Ho scritto più racconti che romanzi e ho imparato che è meglio avventurarsi in un racconto pensando che si tratti di un racconto, considerando la trama nel modo in cui la si considera nei racconti, una storia che a me sembra più densa. Non ho mai scritto una storia che poi si è trasformata in un romanzo, ma c’è una prima volta per tutto.
Oltre a scrivere libri, hai sceneggiato anche Maniac e Mr. Robot. Per te quali sono le differenze tra i due tipi di scrittura?
È una domanda interessante e, in parte, sto ancora cercando di capirlo. Scrivere nella stanza degli sceneggiatori è come partecipare a una corsa in cui tutti sono legati per le caviglie; se riesci a prendere il ritmo puoi davvero guadagnare terreno ma arrivarci è un percorso precario. Anche le effettive differenze tra le due arti sono interessanti e potrei impiegare ancora qualche anno per capirle. Le caratteristiche dei due mezzi tendono ad avere una certa struttura a causa di ciò che noi tutti desideriamo o meno vedere e percepire, e quando ci sentiamo soddisfatti è spesso perché è la creazione dello scrittore a funzionare in quel modo. I libri vengono creati con alcuni principi simili e ho dovuto fare molte riscritture per adattare le esigenze pratiche di un romanzo. Puoi rimuginare su pagine e pagine senza far muovere i tuoi personaggi, se stai dicendo qualcosa di buono e vero (e, sicuramente, bello), il lettore verrà sempre con te.
Hai altri lavori in cantiere che vedranno la luce prossimamente?
Un sacco! Niente con una scadenza precisa e niente di cui possa ancora parlare. Ma sto piantando radici serie da queste parti.