Nessuno è come qualcun altro, intervista a Amy Hempel

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di Fabrizia Gagliardi

Nessuno è come qualcun altro è il titolo della nuova raccolta di racconti di Amy Hempel, appena pubblicata da SEM con la traduzione di Silvia Pareschi. Dopo tredici anni da The Dog of the Marriage (in italiano contenuto in Ragioni per vivere che raccoglie tutta la produzione dell’autrice), la nuova raccolta non stravolge lo stile della Hempel e conferma, ancora una volta, il fulcro della sua narrativa: l’esperienza umana, così comune, nella singolarità degli occhi di chi legge. In quest’ottica il primo racconto, Cantagli una canzone, s’impone come una dichiarazione d’intenti: niente metafore, nulla è come qualcos’altro. Nessuna storia è come qualche altra e lo stereotipo diventa un paradosso schrödingeriano per cui siamo a conoscenza della sua esistenza, ma sappiamo sopprimerlo con un raffinato processo empatico.
La voce narrante di una donna tradita ci racconta la storia tra il marito e l’amante in Greed; in Fort Bedd una coppia in crisi vive le ombre della relazione riflesse nel buio della casa; in Cloudland, il racconto più lungo della raccolta, seguiamo le vicende di una donna che ricorda continuamente il momento in cui, da giovane, ha partorito una figlia che ha dato subito in affidamento. Vicende umane che afferiscono a grandi temi (amore, morte, rimorso), quasi banali se riportate in trame così scarne. In tutte, però, notiamo che il rifiuto della metafora nella scrittura di Amy Hempel sembra un rituale più che un accorgimento estetico: negando il trasferimento di significato resta l’obbligo della realtà. Non è un caso che molte delle sue storie si riferiscano a esperienze autobiografiche, e la stessa carriera dell’autrice è stata segnata da una richiesta arrivata dal suo insegnante, nella prima lezione alla Columbia: Gordon Lish, lo storico editor di Raymond Carver, chiese ai suoi studenti di scrivere la cosa che avrebbe distrutto il senso di se stessi. L’insidia è l’ego: andare alla ricerca della materia narrativa nella propria vita potrebbe autorizzare il racconto autoreferenziale. A interessare Amy Hempel è, invece, una riflessività che non diventa mai davvero cosciente. La narrazione, propria e altrui, la trapassa fino a prendere la forma di un racconto che parla anche a chi non ha quella esperienza nel proprio bagaglio emozionale. La linearità delle frasi permette di sacrificare le parti descrittive e le digressioni in favore di sospensioni fatte di allusioni emblematiche.

In occasione dell’uscita di Nessuno è come qualcun altro abbiamo intervistato Amy Hempel per capire il suo rapporto con la scrittura.

 

 

Mi interessa la genesi dell’opera: cosa ti ha spinto a scrivere nuovi racconti dopo le raccolte precedenti?

Questa raccolta mi ha impegnato per circa dodici anni durante i quali mi sono spostata molto - tra Cambridge e New York, poi Connecticut, Florida e poi di nuovo New York. Stabilirmi in un nuovo luogo mi aiuta a vedere le cose in maniera differente, e il racconto più lungo di Nessuno è come qualcun altro è ambientato per la maggior parte in Florida proprio perché il paesaggio è molto diverso dal nord-est. Dieci delle quindici storie sono frammenti brevissimi e dimostrano il mio crescente interesse verso questa forma; volevo continuare a vedere quanto potevo guardare in uno spazio condensato. 

 

Hai affermato che il tuo modo di scrivere segue l’andamento del pensiero e della memoria. Questo è un modo per veicolare anche la verità? Che ruolo ha l’autore rispetto alla realtà e alla verità?

Credo di scrivere per associazioni di idee piuttosto che seguire una forma lineare. Le osservazioni si accumulano e arrivano a significare qualcosa in compagnia di altre osservazioni e memorie. Per “verità” intendo “la verità come la vedo io” nella pagina. Mi interessa la verità di un personaggio, non la mia. Se inizio una storia basata su qualcosa che è realmente accaduto, tutto si sposta inevitabilmente in un altro posto, lontano dalla mia esperienza.

 

Leggendo i racconti mi sono accorta che spesso lasciano al lettore la possibilità di costruire una sua visione e plasmarla sulla propria vita. Per esempio, nella nuova raccolta, Fort Bedd è la storia travagliata di una coppia, lo capiamo dalla tensione scenografica di una dimora fatta più di ombre che di luce; ma potrebbe anche essere intesa come il cammino della coppia verso la vecchiaia. Qual è in definitiva l’effetto che vuoi ottenere quando scrivi? E qual è l’obiettivo dei tuoi racconti?

Voglio provocare effetti diversi nei lettori a seconda della storia. Voglio che il lettore si commuova come me quando leggo ciò che qualcun altro ha scritto. Ad esempio: a volte spero che il lettore  si senta come me quando ho letto le ultime due righe del racconto di Denis Johnson, Casa di cura Beverly (racconto contenuto in Jesus’ Son ndr). O quando sono profondamente commossa da un’opera d’arte; voglio far sentire qualcuno in questo stesso modo. Sono brava a commuovermi con i gran finali, quindi un altro esempio potrebbero essere le ultime due righe di Middlemarch. Mi fanno sempre piangere, e cerco di provocare lo stesso effetto anche sui lettori. Oppure far ridere. Voglio far ridere il lettore.

  

Cosa è cambiato nel tuo modo di scrivere dopo i primi racconti? E quanto è stato fondamentale il lavoro con Gordon Lish?

Gordon Lish è stato un brillante insegnante di scrittura e un ottimo editor per le mie prime due raccolte di racconti. Molto di quello che ho imparato in quei seminari, circa quarant’anni fa, è ancora utile oggi ed è servito anche per le storie di Nessuno è come qualcun altro. Con la mia terza raccolta di racconti, Nan Graham è stato un editor altrettanto eccellente, quindi sono stata fortunata: ho lavorato con lettori attenti, in grado di proporre acute osservazioni. Penso che il mio lavoro sia cambiato negli anni, ma alcune delle preoccupazioni principali restano costanti, come il modo in cui le persone affrontano le cose più difficili. Gordon una volta disse: “Indossa il tuo cuore sulla pagina e il mondo leggerà per scoprire come hai risolto il tuo essere vivo”. Io gli credo.

 

Nelle prime raccolte di racconti l’ambiente era preponderante, sto pensando all’incertezza conferita dall’acqua californiana di Questa sera è un favore a Holly. In Cloudland la protagonista elenca le differenze tra New York e la Florida. In che modo i tuoi spostamenti americani hanno influenzato le tue narrazioni?

L’ambientazione è estremamente importante per me nella finzione. Penso sempre a quello che può succedere in un luogo particolare, che non potrebbe accadere altrove. Il luogo spesso determina cosa accadrà in una storia che scrivo. La Florida mi ha influenzata profondamente sulla pagina: non vivevo sulle sue spiagge, ma nella parte centro-settentrionale, dove qualsiasi specchio d'acqua, anche un piccolo fiume o uno stagno, può contenere alligatori. Ero abituata a nuotare negli stagni nel nord-est, quindi è stato un grande cambiamento. L'aria stessa sembra diversa. Le piante sono diverse. Adoro guidare a sud, da New York, per tornare a visitare la Florida, abbassare i finestrini della macchina mentre mi avvicino e sentire l'aria che si riscalda. Questo mondo è sicuramente entrato a far parte di Cloudland, un racconto che si svolge in Florida nel presente, mentre il narratore ricorda un periodo difficile della sua vita nel Maine. 

 

Nei tuoi racconti sono presenti anche dettagli e storie personali. Come hai evitato che diventasse un racconto egoriferito?

L’esperienza personale cambia sempre per assecondare la storia. Deve essere solo il punto di partenza. Uno scrittore deve sapere quando la storia smette di appartenergli e diventa il racconto vero e proprio, se questo ha senso. Ogni traccia dell’ego è lasciata indietro se si presta attenzione a cosa fa funzionare la storia, piuttosto che presentare la propria esperienza. Se la propria esperienza è più importante si può sempre scrivere un memoir.

  

Quali sono gli autori che hanno influenzato il tuo stile?

I primi autori a influenzarmi sono stati Grace Paley, Leonard Michaels, Mary Robinson e Barry Hannah. Li rileggo spesso. Ma non importa quanto io li rilegga, il loro lavoro resta sempre costante e stimolante. Non puoi confondere i loro racconti con quelli di qualcun altro, hanno tutti voci ben distinte. Tutti sono divertenti e oscuri e le emozioni sono vere. Grace Paley ha detto, riguardo alla revisione del proprio lavoro, di tornare indietro e assicurarsi che ogni parola sia vera. Intendeva, ovviamente, emotivamente vera. È un buon consiglio e provo a seguirlo.
L'entità dell'influenza di questi scrittori su di me è tale che i ritmi, le frasi sono impresse su di me. Sento i suoni che emettono in maniera viscerale. Questo è un effetto che qualsiasi scrittore vorrebbe produrre in un lettore, e gli sono grata per questo dono.

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