Davide Bregola, vincitore del Premio Chiara 2018

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di Marina Bisogno

Ci sono racconti evocativi, altri più descrittivi e visivi. Sono fotografie i racconti de La vita segreta dei mammut in Pianura Padana (Avagliano editore), di Davide Bregola, scrittore che con questa raccolta si è aggiudicato il Premio Chiara 2017.  La lingua, stringata e tagliente, delinea paesaggi di campagna, sui quali si alternano estati umide ed inverni talvolta estenuanti. Tra il crepitare del motore di una vecchia auto e il gorgogliare di un fiume, si muovono uomini e donne alle prese col quotidiano, con emozioni che credevano sopite, imbarazzati dalla frenesia di un mondo che li sfiora ma non li ingoia. Bregola possiede la franchezza e la lucidità di un verista. Racconta la lentezza, la malinconia, la noia, persino un certo appagamento. Fissa con la penna luoghi, rumori, echi, l’andare delle stagioni. Per conoscere meglio Bregola e saperne di più sulla sua ultima pubblicazione gli abbiamo fatto qualche domanda.

Bregola, partiamo dal titolo: chi sono i mammut della Pianura Padana e perché conducono una vita segreta?

I mammut di cui parlo sono delle figure in via di estinzione, ossia l’uomo del 20° secolo, siamo tutti noi. I mammut, inoltre, sono quei pachidermi cui fanno spesso riferimento i miei personaggi amanti dell’archeologia e del mondo primitivo. Questi personaggi vanno alla ricerca di ossa e reperti per capire da dove viene l’uomo e la natura. C’è molto antico in tutti i racconti che ho scritto, e questo antico non è “il vecchio” mondo, ma è proprio l’antico, ovvero quel che è avvenuto prima, ma anche quello che avverrà poi. Il termine “antico” ha un’etimologia strana, perché ante, da cui deriva, significa prima, ma significa anche poi. Se dico “antefatto”, voglio dire qualcosa che è avvenuto prima, ma se dico “anteriore” parlo di qualcosa che sta davanti. I latini avevano parole molto astute, e se sappiamo usarle possono darci letture del mondo suggestive e complete. Se dico antico, quindi, come possono essere antichi i mammut, o i reperti di vasi romani, parlo di qualcosa che c’è stato prima, ma se parlo di antico pensando al futuro, anche i lettori possono capire che creo un cortocircuito. Spesso i miei personaggi sono in procinto di compiere un viaggio iniziatico. A volte lo completano e rinascono con più consapevolezza, altre volte non se ne accorgono e sono destinati a rimanere dove si trovano, senza realmente evolversi. Sono segreti, proprio perché le persone non si accorgono di loro e spesso essi stessi non si accorgono di loro. Sovente non ti accorgi che l’antico non è mai vecchio, e soprattutto può essere molto più nuovo del presente la cui caratteristica è di passare in fretta e d’invecchiare.

I suoi racconti da un lato sono intimisti: scandagliano l’emotività dei personaggi e ce li fanno sentire vicini o lontani. Dall’altro sono estremamente descrittivi, con zoomate sui luoghi che si materializzano davanti agli occhi di chi legge. Come sono nati questi scritti? Come hanno preso forma?

Alcuni di questi racconti sono nati molti anni fa nel tentativo di trovare un genius loci che potesse descrivere un territorio, un momento, un luogo. Mi interessavano le “geografie letterarie” di Dionisotti e mi interessavano anche luoghi precisi dove erano accadute cose rilevanti nel passato come ad esempio paesi o territori dove avevano vissuto altri scrittori, o dove altri scrittori avevano ambientato narrazioni. Per essere più chiaro se parlo di Ferrara, la nomino perché lì vi ha vissuto e lavorato Ariosto e vi ha vissuto Giorgio Bassani. È solo un esempio, ma dal libro si potrebbero fare liste e atlanti con riferimenti e citazioni esoteriche. I racconti hanno preso forma con l’idea di produrre un romanzo corale formato da episodi. Qualcuno ha detto che sono racconti, e infatti mi hanno dato il Premio Chiara che è un premio dedicato ai racconti italiani, ma io li considero episodi come se fossero epifanie e situazioni il cui sipario si apre ed è la pianura.

Dove sta, secondo lei, la Bellezza nei luoghi che descrive?

In questi racconti non c’è bellezza, non ho pensato di scriverli per questioni legate ad essa e a un territorio, ma mi interessava provare a raccontare cose che di solito non interessano a nessuno, e non sono inflazionate dai media o dalla doxa. Sono territori che di Bello non hanno nulla, soprattutto perché Bellezza non è una categoria filosofica che caratterizza luoghi pieni di afa, calore insopportabile, gente spesso gretta o comunque naif, chiese e piazze e bar inutili e tempi dilatati e crisi economica e lavori manuali poco seducenti. Insomma, non sono certo i luoghi per andarci in vacanza per allontanarsi dalla routine. Eppure a saperli vedere, ci sono momenti e vuoti, più che i pieni i vuoti, su cui si può lavorare perché stimolano l’immaginazione. Direi quindi che sono luoghi immaginari, che inducono all’ascetismo, alla solitudine, al dialogo interiore, all’atarassia, allo stoicismo e quindi, per chi cerca qualcosa dentro di sé, sono luoghi pieni di poesia. Luoghi vuoti, basilari, formalmente puliti, semplici. Ci si può stare solo se si è esploratori.

In un passaggio scrive: “è dove non succede mai nulla che la gente sogna di più, in mancanza d’altro, e finisce per costruire le cose che ha sognato”. È un modo molto bello per dire che la provincia, la campagna sono anche scintille per la mente e per l’anima?

La provincia, la campagna, i luoghi con pochi abitanti, i paesi lontani dalle città, sono mondi inesauribili e tremendi. Possono nascere racconti dal registro nero, oppure racconti d’avventura o racconti surreali, proprio perché il territorio contribuisce spesso a creare uno stato d’animo cangiante. Si sogna, e quindi si usa qualcosa di introspettivo, che viene da dentro ma che si forma nella vita quotidiana e per come la si vive. A me interessano molto le costruzioni mitologiche create dagli umani, e proprio per questo ho approfondito le figure degli Oneiroi, gli dèi del sogno. Morfeo è il modellatore dei sogni; era accompagnato da figure che creavano l’immaginazione. Suo fratello Fobetore crea gli incubi trasformandosi in esseri mostruosi, mentre Fantaso fa comparire gli oggetti inanimati nei sogni dei mortali. Secondo Esiodo invece i sogni erano figli di Nyx, una delle dee primordiali. Nel mondo antico si usavano i miti per interpretare i sogni. Naturalmente ci sono i sogni premonitori, che narrativamente sono sogni banali, funzionali, ma i sogni veri sono autentici enigmi: sono figurazioni fantastiche. Un esempio grande di sogno enigmatico è quello di Penelope, la buona, la saggia, la moglie fedele – almeno così si dice nell’Odissea - la quale aspetta Ulisse che non torna mai da Itaca. Marito e moglie parlano del sogno che ha preso nome “il sogno delle oche” perché Penelope ha sognato oche e aquile.  È un sogno enigmatico nel quale Omero parla dei proci, ma lo fa per metafore oniriche. A volte ho inteso “sogni” per dire “ambizioni”. Allora proprio dove non succede nulla si ambisce a costruire qualcosa, a volte.

Che cos’è il rimpianto per alcuni dei suoi personaggi?

Ricordo nostalgico e dolente, a volte. Ricordo di persone perdute, di cose perdute, di occasioni mancate. Mi sono sbizzarrito nel raccontare il rimpianto perché una delle atmosfere di spicco in quei luoghi è la nostalgia. Il nostos algos è il ritorno al paese, è un desiderio malinconico e violento, è un dolore. Mi piaceva approfondirlo perché il dolore creato dalla lontananza segna un conflitto narrativo a mio avviso interessante.

E la noia?

La noia nel libro è molto presente, direi che per i lettori di un certo tipo il libro stesso risulta essere noioso. Mi viene da dire che una delle parole chiave assieme ad antico e sogno sia proprio la noia anche nella sua variante di spleen padano, pigrizia. In alcuni racconti la noia provata sprona a sognare un riscatto.

C’è un personaggio al quale è legato più che ad altri?

Sono legato a Fiore, quello del racconto in cui il ragazzo compie a piedi un viaggio per andare a incontrare la donna amata nel giorno del suo matrimonio con un altro. Fiore è anche il nome del protagonista di Il ragazzo morto e le comete di Goffredo Parise. Un personaggio che ho amato molto nell’esordio degli anni ’50 dell’autore veneto. È un personaggio totalmente inventato, però alcune analessi riprendono vicende conosciute da me in prima persona o per interposta persona. Poi sono legato al territorio. L’ho spesso evocato come se esso stesso fosse un personaggio del libro.

Cinque raccolte di racconti che ha amato?

Mi piace ancora molto Le botteghe color cannella di Bruno Schulz, sono racconti suggestivi e complessi, scritti con un immaginario irraggiungibile. Mi piacciono molto i racconti di Giorgio Bassani intitolati Cinque storie ferraresi. Li apprezzo per la precisione lessicale e sintattica e per lo stato d’animo che creano nel lettore. Ho amato molto i racconti di Arturo Loria, un autore poco conosciuto e pubblicato da Giunti. Apparteneva al gruppo delle Giubbe Rosse e Solaria. Il suo Il cieco e la bellona è un libro di racconti che potrebbe essere una sorpresa per chi ancora non lo conosce. Ho letto molte volte i racconti di Beppe Fenoglio. Consiglio Diciotto racconti pubblicato da Einaudi. Mi piacciono le prose di Rimbaud che si possono trovare presso Guanda.

Secondo lei qual è lo stato di salute del racconto in Italia?

Il racconto in Italia, se arriva dall’estero è apprezzato. Mi riferisco a David Foster Wallace e a Breece D'J Pancake. Se pubblicato in Italia da autori italiani penso sia trattato come un libro minore di un autore che deve ritornare presto al romanzo. È anche vero però che siti come il vostro concentrano la propria attenzione sulla narrativa breve e case editrici recenti come Racconti edizioni scommettono fin dal nome sulla narrazione breve. Avagliano editore poi ha una sua lunga tradizione nell'ambito del racconto. Obiettivamente vedo che in generale la narrazione scritta, sia essa breve o lunga, sta passando un momento di trasformazione. Coloro che erano lettori sono diventati consumatori di narrazioni social, immagini fotografiche, brevi video su youtube. Per questo penso ci sia una grande possibilità in futuro: gli scrittori possono scrivere racconti complessi, letterari, perché i lettori, essendo pochi, saranno all’altezza di trovare capolavori e accorgersi della loro importanza. Per cui penso che potremmo ambire a scrivere racconti capolavoro, racconti nei quali usare tutta la nostra sensibilità, la nostra intelligenza, la nostra intuizione, per fare qualcosa di realmente grande.

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