Lo faccio solo per soldi: Fitzgerald e l’arte del racconto

Minim fax porta in libreria lo splendido cofanetto che raccoglie la produzione breve di Francis Scott Fitzgerald. Per la prima volta in Italia, e non solo, minimum fax ha deciso di pubblicare questi gioielli tutti assieme, per ordine di raccolta. Si parte così da Maschiette e filosofi, del 1920, lo stesso anno del romanzo Di qua dal paradiso; si prosegue con Racconti dell’età del jazz, forse la sua raccolta più celebre, uscita nell’anno di Belli e dannati, per passare a All the Sad Young Men, del 1926, l’anno successivo alla pubblicazione de Il Grande Gatsby e concludere il percorso con Taps at Reveille del 1935, un anno dopo Tenera è la notte.

Cattedrale vi propone la prefazione di Luca Briasco, per gentile concessione dell’editore.

Lo faccio solo per soldi: Fitzgerald e l’arte del racconto
di Luca Briasco

Francis Scott Fitzgerald cominciò a scrivere racconti – e a trovare riviste che glieli pubblicassero – nell’estate del 1919, mentre lavorava alla revisione del suo romanzo d’esordio ed era ancora un illustre sconosciuto. Dopo essere stato ospitato su Smart Set e su Scribner’s Magazine, vendette «La testa e le spalle» al Saturday Evening Post per la cifra di 400 dollari. Pubblicato sul numero di febbraio del 1920, il racconto segnò la prima apparizione di Scott in una rivista ad ampia circolazione, con quasi tre milioni di lettori e un gettito di cinque milioni di dollari a numero solo in pubblicità. Se nel 1919 la sua attività di scrittore gli aveva fruttato 800 dollari, nel 1920 i guadagni erano decollati a 18.000; il cachet per i suoi racconti era passato da 30 a 1000 dollari e avrebbe continuato a salire, fino ai 4000 pagatigli dal Post per un solo racconto, nel 1929. I guadagni complessivi per anno sarebbero cresciuti a loro volta, raggiungendo circa 30.000 dollari nel 1927, 31.500 nel 1928 e 27.000 nel 1929. Guadagni quasi interamente derivati dalla vendita di racconti alle riviste, se è vero che le royalties dei libri ammontarono a 153 dollari nel 1927 (due anni dopo la pubblicazione di Gatsby) e a soli 32 dollari nel 1929.
Inevitabile, quindi, che nel momento in cui le cifre offerte per un racconto cominciarono a calare sensibilmente, Scott fosse costretto a cercare altre fonti di guadagno e a cedere al richiamo di Hollywood. Fallita l’esperienza come sceneggiatore, il tentativo di tornare a testi brevi da vendere a riviste sempre meno interessate si tradusse in un sostanziale flop, e nell’autunno del 1939 Fitzgerald confessò al dottor Carroll, che aveva in cura Zelda ma era diventato un suo interlocutore abituale, di non essere più in grado di produrre il tipo di racconti che il Saturday Evening Post aveva acquistato in passato per cifre altissime: «A quanto pare ho perso completamente il dono che mi permetteva di scrivere racconti commerciali, basati sul tema “un-ragazzo-conosce-una-ragazza”, e il risultato in termini di guadagni è catastrofico». Così, dei ventiquattro racconti scritti negli ultimi mesi della sua vita – sedici dei quali avevano come protagonista Pat Hobby ed erano ambientati nel mondo spietato degli studios hollywoodiani – ben ventidue furono venduti a Esquire, ma per un compenso ridotto a 250 dollari l’uno.
La ricchezza e la fama che avevano scandito la vita di Fitzgerald negli anni Venti, come racconta Jeffrey Myers nella sua biografia, gli avevano creato diversi problemi intellettuali ed emotivi. Scott «si sentiva colpevole perché non meritava tanta buona sorte. Avendo raggiunto il picco del successo commerciale e critico, trovava estremamente difficile superare i risultati ottenuti con le sue prime opere. Avrebbe potuto riuscirci solo scrivendo un romanzo più serio e ambizioso, che inevitabilmente gli avrebbe procurato un guadagno inferiore, costringendolo a ripiegare su racconti dalla vena smaccatamente commerciale, per poter sostenere uno stile di vita a dir poco dispendioso».
Nell’aprile del 1925, il mese in cui Il grande Gatsby venne pubblicato, ripensando al lavoro svolto nei sei mesi precedenti e subito dopo la consegna definitiva del romanzo a Scribner’s, Scott, in una lettera a John Peale Bishop, scriveva: «Guadagno 2000 dollari a racconto e la qualità continua a peggiorare: la mia ambizione è arrivare a un punto nel quale potrò scrivere solamente romanzi. L’ultimo anno ho scritto almeno dieci autentiche porcherie, e senza neppure la spontaneità delle mie prime cose».
Eppure, accanto a una produzione breve spesso formulaica e tutta risolta in una superficialità glamour, Fitzgerald si avventurava in racconti dall’architettura complessa, ricchi di sfumature, impareggiabili per ritmo, ironia e accensioni quasi surreali, come «Il palazzo di ghiaccio», che avrebbe trovato spazio nella prima raccolta, Maschiette e filosofi; o come «Primo maggio», «Lo strano caso di Benjamin Button» e «Il diamante grosso come il Ritz», punte ineguagliabili dei Racconti dell’età del jazz. L’alternanza tra racconti cheap, concepiti e realizzati nell’arco di pochi giorni, e di altri che, per complessità di concezione e raffinatezza stilistica, non hanno nulla da invidiare al Fitzgerald romanziere, avrebbe continuato a riproporsi nell’arco di tutta la sua carriera, anche quando il livello dei compensi avrebbe cominciato a calare vertiginosamente.
Quando morì, il 21 dicembre del 1940, Fitzgerald era uno scrittore quasi dimenticato. A riportarlo al centro dell’attenzione e della scena letteraria furono una serie di eventi editoriali che può essere utile elencare in rapida successione: nel 1941 uscì The Last Tycoon [in italiano, Gli ultimi fuochi], l’ultimo e incompiuto romanzo, a cura di Edmund Wilson; nel 1945, sempre con la curatela di Wilson, fu il turno di The Crack-Up, seguito un mese dopo da The Portable F. Scott Fitzgerald, un’antologia della sua opera selezionata da Dorothy Parker. La rinnovata fama dell’autore fu ulteriormente consolidata nel 1951 grazie alla pubblicazione di altri due libri: F. Scott Fitzgerald. The Man and His Work, raccolta di trenta fra saggi e recensioni assemblati da Alfred Kazin, e The Stories of F. Scott Fitzgerald, antologia curata da Malcolm Cowley e composta da ventotto racconti, dei quali solo diciotto tratti dalle quattro raccolte di short stories pubblicate in vita. Una discrepanza dovuta in larga parte al fatto che Adunata, ultima delle quattro raccolte, uscì nel 1935, e che nei suoi ultimi cinque anni di vita Fitzgerald continuò a scrivere racconti, con esiti discontinui ma anche con picchi notevoli come «Pomeriggio di uno scrittore» o «Il decennio perduto».
Le selezioni operate da Fitzgerald per ognuna delle sue quattro raccolte furono comunque il frutto di una riflessione attenta e prolungata. Scott, essendo perfettamente consapevole della qualità come minimo disuguale della sua produzione breve, cercò di isolarne gli apici, accompagnandoli con racconti più leggeri ma rappresentativi di un’epoca e di una fase precisa del suo progetto letterario e provvedendo spesso a intervenire sui testi, modificandoli, integrandoli, conferendo a essi una maggiore rotondità ed efficacia. Di questo intenso lavoro di assemblaggio si trova ampia traccia nell’affascinante corrispondenza con quello che fu il suo editor di una vita intera, Maxwell Perkins.

[…] Su Racconti dell’età del jazz, il lavoro di costruzione della raccolta rivela un livello di consapevolezza molto diverso. Il 6 febbraio 1922 Fitzgerald invia un indice completo e ragionato, diviso per sezioni, con il titolo provvisorio In One Reel, distinguendo tra i racconti scritti «nella mia nuova maniera» («Il diamante grosso come il Ritz», «Lo strano caso di Benjamin Button», «Tarquinio 10 di Cheapside» e «Oh, strega dai capelli rossicci!»), le «Ultime maschiette» («Il posteriore del cammello», «Primo maggio») e le «Commedie» («Il signor Icky», «Porcellana e rosa», «Jemina, la ragazza di montagna»): uno schema che, senza variazioni particolarmente significative, verrà riproposto in volume. Con altrettanta decisione Fitzgerald difenderà la scelta finale del titolo dalle critiche che, in una lettera dell’8 maggio, Perkins gli aveva riportato: durante una riunione della rete vendita di Scribner’s molti promotori si erano lamentati, affermando che era in pieno corso «una reazione violenta contro il jazz in tutte le sue forme», e che pertanto il termine, «in qualunque accezione venga usato», avrebbe rischiato di danneggiare le sorti del libro. La replica dell’autore viene affidata a una lettera in otto punti nella quale, tra l’altro, Scott sottolinea come l’argomentazione dei promotori sarebbe corretta se riferita a un romanzo, per il quale le parole flapper («maschietta») o jazz avrebbero un sapore passé e potrebbero compromettere l’esito commerciale. I racconti, però, «non vendono», e Maschiette e filosofi rappresenta un’eccezione, dovuta in larga parte al successo del romanzo d’esordio e all’attualità del titolo. Non aspettandosi grandi prenotazioni o grandi vendite per la sua seconda raccolta, Scott preferisce assicurarsi che venga acquistata dal suo pubblico personale, vale a dire dalle «innumerevoli maschiette e dagli studenti di college che mi considerano una specie di oracolo».

[…] Negli anni successivi i racconti accompagnano la crescita dell’autore, privilegiando sulla freschezza, l’ironia pungente, lo spirito dei tempi che contraddistinguevano molti fra i testi assemblati per Maschiette e filosofi e Racconti dell’età del Jazz, quella stessa profondità di concezione ed esecuzione che indurrà T.S. Eliot a definire Il grande Gatsby il primo passo avanti della letteratura americana dopo Henry James. In una lettera del 24 aprile 1925, Scott annuncia di avere «un libro di racconti, tutti buoni, per l’autunno». E aggiunge: «Ora ne scriverò altri più facili e modesti fino a quando non avrò accumulato materiale sufficiente per il prossimo romanzo». È ormai evidente la distinzione tra le «marchette», scritte – quasi sempre per il Saturday Evening Post – al solo scopo di guadagnare, e testi più complessi ed elaborati, che assecondano e accompagnano la ricerca narrativa destinata a tradursi in romanzo. Se «Assoluzione», forse il racconto più sorprendente e inquietante di Tutti i giovani tristi, era stato inizialmente concepito addirittura come incipit e antefatto di Gatsby, è lo stesso Scott, in una lunghissima lettera a Perkins inviata da Parigi il 7 giugno del 1925, a sottolineare come la raccolta, nel suo insieme, sia pienamente all’altezza delle precedenti ma soprattutto contenga «solo uno di quei racconti pubblicati sul Post che hanno fatto arricciare il naso a parecchia gente», mentre tutti gli altri testi «erano così buoni che ho fatto fatica a venderli». Tra questi, «Sogni invernali», pubblicato su Metropoli tan nel 1923, viene descritto come «un primo abbozzo dell’idea di Gatsby”. Fitzgerald si spinge addirittura a proporre un testo per la quarta di copertina del libro: «Un esempio del passaggio dai racconti esuberanti della giovinezza, che hanno creato una nuova tipologia di ragazza americana, alla vena più recente e più seria che ha prodotto Il grande Gatsby, facendo dell’autore uno dei pochi, autentici maestri della narrativa americana». E Perkins risponde il 12 ottobre, sottolineando a sua volta come i racconti di Tutti i giovani tristi, soprattutto «Il ragazzo ricco» e «La festa dei bambini», abbiano un respiro decisamente superiore rispetto a quelli delle altre raccolte, senza per questo perdere la capacità di attrarre e divertire il lettore.

Molto più complessa è la gestazione di Adunata, legata anche all’allungarsi dei tempi tra Gatsby e Tenera è la notte e a un periodo difficilissimo, nel quale alle costanti peregrinazioni di Scott e famiglia tra Europa e Stati Uniti si aggiunge l’incedere della malattia mentale che porterà Zelda, per tutti gli anni Trenta, a un’interminabile serie di ricoveri e degenze ospedaliere. Per questo già il 21 luglio del 1928, annunciando che il suo nuovo romanzo sarà pronto entro settembre (ci vorranno invece ancora più di cinque anni prima della consegna), Scott dichiara la sua intenzione di pubblicare, subito dopo – dunque nel pieno rispetto di quella che è ormai una tradizione – un libro con tutti i racconti che hanno per protagonista Basil Lee, e che potrebbero formare, nel loro insieme, una sorta di romanzo leggero. Bisognerà attendere il 15 maggio del 1934 perché Fitzgerald torni sull’argomento con il suo editor, ma lo fa con un tale livello di consapevolezza, anche progettuale, che la lettera merita di essere citata quasi per intero:

Ho grosso modo quattro progetti distinti per un libro da pubblicare quest’autunno. Secondo me dobbiamo mettere da parte, almeno entro una certa misura, l’idea che una raccolta ampia e non organica possa vendere bene, al netto dei risultati passati miei o di Ernest [Hemingway. Ovviamente farò ogni tentativo possibile per unificare ciò che preparerò grazie a un titolo inclusivo e definitivo, che è ancora più importante per una raccolta di racconti di quanto non lo sia per un romanzo, per ché è necessario legare i testi uno all’altro e fare appello a uno specifico stato emotivo nel lettore. Inoltre, vista la quantità di materiale da cui scegliere, credo che la raccolta dovrebbe avere un’autentica unità, anche se si dovesse scegliere di includere al suo interno racconti di genere differente. Ecco, in linea generale, le mie idee: Piano 1. Una sorta di omnibus che includa sia racconti nuovi, sia il meglio delle tre raccolte precedenti. Piano 2. I racconti di Basil Lee, 60.000 parole circa, e quelli di Jo sephine, 37.500, con l’aggiunta di un paio di altri testi, l’ultimo dei quali riunirà Basil e Josephine, andando a comporre un libro di circa 120.000 parole con un titolo semplice, qualcosa come Ba sil e Josephine. Questa scelta mi sembrerebbe la migliore sul piano commerciale, perché il libro potrebbe essere accolto come Gentle Julia o Penrod di Booth Tarkington ed essere considerato quasi alla stregua di un romanzo, ma sarebbe anche la più pericolosa a livello artistico, e per la stessa ragione: la gente che compra i miei libri potrebbe pensare che la sto fregando, vendendogli sotto falso nome dei materiali rubacchiati a un altro autore.
Piano 3. Una raccolta di racconti del tutto nuovi. Ne ho a disposizione una quarantina, tra i quali ventinove plausibili da cui sceglierne quindici, con l’aggiunta di un altro paio molto seri, non commerciali, che ho in mente da tempo ma non ho ancora scritto, per innalzare il tono del volume. Questa scelta potrebbe essere unificata da un titolo che evidenzi come si tratta di racconti dei gloriosi anni Venti, o, in modo ancor più specifico, Nuovi racconti dell’età del jazz […].
Piano 4. Questa è un’idea basata sul successo di libri come While Rome Burns, di Alexander Woollcott. Come sai, non ho mai pubblicato in volume cose personali, perché le ho utilizzate tutte per le mie opere narrative; ciononostante, molti dei miei articoli e interventi occasionali hanno suscitato una notevole attenzione, il che potrebbe accadere nuovamente se riuscissimo a trovare un legame stretto tra il titolo e il materiale utilizzato.

Nella sua risposta, datata 17 maggio, Maxwell Perkins sottolinea come tutti, alla Scribner’s, siano decisamente a favore del Piano n° 2, incentrato sui racconti di Basil e Josephine, sempre che Scott sia in grado di organizzare e soprattutto completare la raccolta in tempi ragionevoli. Ma il 21 maggio Fitzgerald mostra di aver già cambiato idea. Il progetto gli sembra impossibile da realizzare, e non è questione di tempi: semplicemente, i racconti di Basil e Josephine «non sono buoni come pensavo. Sono pieni di Tarkington, e Tarkington sta scrivendo una nuova serie di romanzi adolescenziali, il che provocherà inevitabili paragoni, forse non a mio vantaggio». Meglio ripiegare sul Piano n° 3, e sul titolo Nuovi racconti dell’età del jazz.
La soluzione finale, già ventilata in una lettera del 4 giugno 1934, sarà in realtà il frutto di un compromesso e di un assemblaggio che lo stesso Scott non esita a definire «arbitrario»: Adunata sarà la sua raccolta più lunga, e al tempo stesso la più disorganica, pur contenendo autentici gioielli, primo fra tutti «Babilonia rivisitata», che nell’amarezza e nella disillusione di cui sono costellate le sue pagine rappresenta il controcanto più autentico di Tenera è la notte.
Per quanto Fitzgerald riveda e sistemi quelli che gli sembrano i racconti più deboli, modificando la sequenza originale e ritardando a più riprese la pubblicazione – a conferma della serietà con la quale, sin da Maschiette e filosofi, ha affrontato la conversione in volume della sua produzione breve – Adunata passerà quasi inosservato: il primo segnale di quell’oblio che scandirà gli ultimi, tristissimi anni di vita di un grande scrittore.