Inno ai pavimenti e ai pensieri sporchi. La flash fcition di Diane Williams

Black Coffee porta in libreria Insomma siete ricche, di Diane Williams, tradotto da Chiara Barzini.
In questi racconti la vita è appena sbocciata, ed è qualcosa di pericoloso; che si tratti di una tresca amorosa, di una richiesta di denaro, di un pomeriggio trascorso in giardino o del semplice gesto di portare una torta da una stanza all’altra, Williams ci offre modi nuovi – splendidi e sconcertanti – di guardare alla vita quotidiana. Con frasi perfettamente cesellate e punteggiate di umorismo, questi racconti ci dimostrano che qualsiasi momento di un giorno qualunque può generare delusione, piacere e nuove possibilità.

Cattedrale vi propone la prefazione di Chiara Barzini, per gentile concessione dell’editore.

Inno ai pavimenti e ai pensieri sporchi
di Chiara Barzini

Il giorno in cui lo scrittore Ben Marcus presentò il suo primo libro nella biblioteca della mia università, andai con la mia migliore amica Kate. Eravamo appena entrate al corso di scrittura creativa e ricordo lo stupore sui volti degli altri studenti quando Marcus cominciò a leggere con la sua voce ferma e caustica dal palco. Il titolo della raccolta era The Age of Wire and String (L’età del fil di ferro e dello spago, Alet Edizioni) e i racconti avevano una lingua asciutta ed epica al tempo stesso. Ogni storia era brevissima e dava indicazioni precise per attraversare un mondo in cui le cose più banali, come i nomi propri maschili, gli Stati americani o il cibo, prendevano forme radicalmente diverse da quelle a cui eravamo abituati. Eravamo estraniati da quella forma così nuova eppure riuscivamo a identificarci in ogni storia. Non a caso il titolo del libro faceva riferimento a un’epoca comandata dal fil di ferro e dallo spago, elementi di un mondo analogico che stavamo cominciando a lasciarci alle spalle. Tempo e spazio si restringevano.

Ma cos’era questo modo di scrivere? Chi lo aveva autorizzato? I racconti erano compatti, esilaranti, il linguaggio preciso, ogni immagine un pugno. Poesie? Racconti brevissimi? Haiku narrativi? Fotografie letterarie? Qualche anno dopo, Kate andò a lavorare per un’estate come volontaria per il giornale letterario noon diretto dalla scrittrice Diane Williams. Dopo il primo giorno mi chiamò in tutti gli stati. Aveva scoperto la madrina di Ben Marcus. Diane Williams è una delle pioniere americane del racconto breve breve, quello che oggi viene chiamato flash fiction. Quell’estate fu interamente dedicata ai suoi libri e racconti. Come con Ben Marcus, scoprimmo che la sensualità del suo linguaggio passava per vie trasversali. Nella sua novella sperimentale e quasi pornografica Romancer Erector, i turbamenti, le brame, le erezioni e le forze propulsive della vita percorrevano una strada adiacente a quella del racconto canonico, senza attraversarla mai. Alla fine di quell’estate Kate mi regalò qualche edizione di noon. Scoprire quel giornale fu come entrare nel salotto della casa in cui avevo sognato di vivere per anni: Lydia Davis, Deb Olin Unferth, Ottessa Moshfegh, Christine Schutt.

Quella scrittura era una nuova frontiera. Non erano quindi solo gli uomini a essere autorizzati a quella forma breve. Nei racconti di noon c’erano urgenza, tensione, narratrici instabili e inaffidabili. Le scrittrici tagliavano la vita a pezzi, buttavano via la cornice per far emergere il nucleo scintillante sotto la superficie. Queste scrittrici conoscevano la carica surreale di Leonora Carrington, le fiabe oscure rivisitate di Angela Carter, l’immaginario killer di Ljudmila Petruševskaja con i suoi racconti natalizi horror di genitori imprigionati e abeti decorati da polli morti, donne che tentavano di uccidere i neonati delle proprie vicine di casa.

Diane Williams aveva studiato con l’editor di Raymond Carver, Gordon Lish, dal quale aveva imparato (e poi trasformato) una rigorosissima tecnica di editing. Quando timidamente riuscii a sottoporle un racconto di venti pagine, mi rispose che lo avrebbe pubblicato ma che avrei dovuto accettare i suoi «tagli». Su venti pagine ne tirò fuori quattro. Mi mandò a casa via posta gli edits sul racconto stampato. Pagine intere erano state cancellate con un segno di penna. Cercavo tra le righe, sperando di poter salvare almeno qualche frase dal naufragio, ma niente. Poi vidi la bellezza di quello che aveva fatto. Tutto era più forte, più teso, più crudo. Accettai e diventai un’assidua lettrice di noon.

I racconti di Diane Williams erano violenti e primordiali come leggende antiche. C’era il sesso, la morte, il terrore. In quelli di Lydia Davis c’era anche la quotidianità, la ritualità degli eventi mondani, il tentativo di riscoprire azioni banali per rivelarne un fondo grottesco. La sua raccolta Can’t and Won’t (in Italia tradotta da Adelaide Cioni con il titolo Osservazione sulle faccende domestiche, Mondadori) è un inno agli orrori dei nostri pavimenti sporchi, l’ammissione che le faccende di casa sono spesso più violente e drammatiche di un romanzo russo.

«La cosa utile di essere una persona egoista è che quando i tuoi figli si fanno male, non ti preoccupi troppo perché tu invece stai bene» scrive Lydia Davis in un racconto. I figli nelle storie di Diane Williams sono innocenti e pieni di istinti omicidi allo stesso tempo. Quando la flash fiction si insinua nella vita di famiglia, regala a ogni scrittrice un via libera fenomenale. Per me raccontare la casa in forma breve significa immergersi in una fiaba paranormale in cui qualche volta può capitare che una madre ansiosa si trasformi in un piccolo mammifero selvatico, una baby-sitter annoiata pugnali gli orsacchiotti di una bambina, un marito cerchi di convincere la famiglia a togliersi la vita tutti insieme.

Se oggi ho la libertà di esplorare le zone d’ombra delle cucine disordinate e delle vasche da bagno sporche di terra, lo devo molto a queste donne che si sono prese rischi quando era difficile farlo. Alla fine degli anni Ottanta Gordon Lish rifiutò di pubblicare un romanzo di Diane Williams. Le disse che la sua scrittura così scarna ed eccentrica le avrebbe spezzato il cuore e procurato anni di rifiuti. Oggi Jonathan Franzen la definisce come una delle «eroine viventi dell’avanguardia americana».