La voce femminista di fine secolo: Charlotte Perkins Gilman


di Debora Lambruschini


Quando ci si trova a studiare la short story angloamericana tra Otto e Novecento o, più nello specifico, la produzione breve femminile, è inevitabile prima o poi incappare nel nome di Charlotte Perkins Gilman e nel titolo del suo racconto più celebre e incendiario, The Yellow Wallpaper. Nelle primissime fasi di ricerca per la mia tesi magistrale, ormai diversi anni fa, accadde pure a me di notare in saggi critici anche molto diversi tra loro il ricorrere del nome di Gilman, per lo più in riferimento a quel racconto ma anche ad altri testi, di narrativa e non fiction. Fu piuttosto naturale, quindi, deviare, seppur di poco, dall’oggetto specifico delle ricerche – la short story inglese di fin de siècle e quattro scrittrici che vi diedero un contributo considerevole, George Egerton, Sarah Grand, Ella D’Arcy, Mona Caird – per approdare nella “terra di lei”, quella di Gilman: vi trovai una voce potente, capace di raccontare il desiderio femminile, la libertà e l’indipendenza, il cambiamento, che il tempo non aveva del tutto scalfito. Nata ad Hartford, Connecticut, nel 1860, Gilman (cognome che prese dal secondo marito, un lontano cugino) fu scrittrice e giornalista, ma prima di tutto fervente attivista per i diritti delle donne: il suo saggio del 1898, Women and Economics: a Study of the Economic Relationship Between Men and Women as a Factor in Social Evolution (“La donna e l'economia sociale: studio sulle relazioni economiche tra uomini e donne come fattore di evoluzione sociale, Moschini, 2007), segnò uno spartiacque fondamentale nel movimento femminista circa la riflessione del rapporto economico e sociale tra uomini e donne e la suddivisione di ruoli tra sfera pubblica e privata, argomenti che resteranno centrali nella sua riflessione critica e letteraria. La precaria situazione economica della famiglia d’origine – il padre li abbandonò lasciando la madre in gravi ristrettezze economiche – la portò ancora adolescente a cimentarsi in lavori diversi, sviluppando presto un interesse per la questione femminile e i movimenti di riforma sociale. Il suo nome, quindi, iniziò a circolare come conferenziera nell’ambito dei movimenti nazionalisti e poi, nel 1896, come delegata della California fino a Washington per la convention sul suffragio universale. Il 1890 fu un anno determinante per il percorso professionale e umano di Charlotte Perkins Gilman, da quel momento tra le voci più importanti del movimento femminista, impegnata in numerose conferenze in giro per il Paese e in Europa e al lavoro su saggi, racconti, poesie, testi critici che proprio in quell’anno iniziarono a circolare in modo capillare. È nel 1890, appunto, che scrisse anche The Yellow Wallpaper, il suo racconto più celebre, pubblicato due anni dopo dalla Feminist Press (in italiano tradotto per la prima volta da La tartaruga nel 1976). 
Esistono a oggi in Italia varie edizioni a stampa del racconto, a diversi gradi di sciatteria editoriale: sorprende francamente la scarsa cura con cui le opere di Gilman vengono perlopiù pubblicate, con qualche opportuna eccezione, di cui proprio The Yellow Wallpaper è l’esempio più lampante. Tra le recenti edizioni c’è quella a opera di Lorenzo de’Medici Press, per la traduzione di Kristi Veseli, che a mio avviso ha solo il merito di aver reso accessibile al pubblico italiano un paio di racconti fino a quel momento mai tradotti, ma la cui realizzazione sottolinea quanto evidenziavo poco sopra, la scarsa cura con cui l’opera di Gilman viene presentata al pubblico: la traduzione, duole dirlo, non è sempre coerente e diverse scelte linguistiche e ortografiche lasciano alquanto perplessi; la nota introduttiva, a cura di Veseli, è scarna, troppo per un’autrice la cui conoscenza fuori dall’ambito accademico è oggi limitata e il cui lavoro, quindi, andrebbe inquadrato con attenzione. È una mancanza questa con la quale mi trovo spesso a fare i conti, ma che nel caso di Gilman pare purtroppo una costante in edizioni diverse. Più apprezzabile, in questo senso, il lavoro dell’editore La vita felice, che scegliendo di pubblicare il singolo racconto La carta da parati gialla, ne cura in modo particolare la traduzione (di Cesare Ferrari), affiancata dal testo originale, e affida a Franco Venturi una breve ma maggiormente puntuale prefazione. Altre opere di Gilman sono accessibili in italiano: tra queste un’edizione Mondadori de La carta da parati gialla, alcuni racconti riuniti per associazioni tematiche come quelli pubblicati da Astoria (La governante e altri problemi domestici) e da ABEditore (Il glicine rampicante e altri racconti gotico-femministi), i romanzi Herland (Donzelli), Muoviamo le montagne (Le plurali), Delitto senza castigo (Le Lettere). Non esiste, a oggi, un’edizione completa di tutti i suoi racconti, con adeguato apparato critico bibliografico, ma ci auguriamo possa diventare un progetto che qualche editore prenda a cuore. Perché i racconti di Gilman non solo rappresentano un tassello importante nella storia della short story moderna, ma dialogano con la contemporaneità, per tematiche e spunti e una scrittura che non è stata scalfita dal tempo intercorso.
Emblematico, quindi, The Yellow Wallpaper, dalle molteplici chiavi di lettura, denso di spunti e stratificato, a partire dal richiamo al giallo, colore simbolico della fin de siècle.



La protagonista è una donna da poco diventata madre e costretta all’assoluto riposo, confinata in una stanza di una casa di campagna:

 

C’è qualcosa di strano in questa casa – lo sento.

L’ho confessato anche a John una sera di luna piena, ma lui mi ha risposto che avevo sentito una folata di vento, e ha sprangato la finestra.

 

L’inattività forzata, il divieto di ogni stimolo intellettuale e quella che si presume potrebbe essere depressione post partum, portano la donna a sviluppare un’ossessione per la carta da parati gialla che riveste le pareti della stanza, dalla quale inizia a vedere una figura femminile, intrappolata come lei, che tenta di uscire e liberarsi, in una fusione che via via diventerà sempre più totale tra le due.

 

Dietro a quel disegno esterno le figure velate diventano più chiare ogni giorno. È sempre la stessa forma, solo ripetuta più volte. Ed è come una donna che si china e striscia dietro quel disegno. Non mi piace affatto. Vorrei che John mi portasse via da qui!

È così difficile parlargli del mio caso, perché lui è così saggio e mi ama così tanto.

(La carta da parati gialla, La vita felice ed., p. 37)

 

Efficacemente scritto in prima persona e ispirato all’esperienza dell’autrice, il racconto scivola sempre più nell’incubo, nell’ambiguità, aprendosi a suggestioni diverse, dal gotico al flusso di coscienza del Modernismo inglese. Realtà e finzione, incubo e veglia si confondono nel racconto mano a mano che l’ossessione della donna per la figura – le figure? – imprigionata nella carta da parati si fa sempre più forte al punto da non riuscire più a distinguere chi è l’una e chi è l’altra.
Fulcro della narrazione sono la Marriage Question, argomento centrale nel dibattito del tempo, le costrizioni e l’oppressione di cui erano oggetto le donne, la separazione tra vita attiva (maschile) e vita domestica (femminile) allo scopo di mantenere le donne in uno stato infantile e di sottomissione al padre-marito, sottolineato anche dalle scelte lessicali dei dialoghi; la narratrice-protagonista insiste più volte sulle premure del marito, l’amore che prova per lei e con il quale inizialmente giustifica il suo confinamento, nell’ottica anche di mantenere il decoro.
La vicenda, tanto del racconto quanto l’esperienza personale dell’autrice, si pone anche come critica a quei medici che ignoravano il volere delle pazienti e che vedevano nell’attività intellettuale un pericolo per quello che veniva considerato il fragile sistema nervoso femminile. La protagonista di Gilman è una donna annientata dalla mancanza di poter esprimere sé stessa e oppressa da una società che delega al padre-marito-medico ogni decisione che la riguarda. Il potenziale di questo racconto, è chiaro, appare ancora oggi inesaurito, le cui analisi si legano spesso al discorso sulla depressione post partum, alla malattia mentale e che continua a rappresentare uno dei capisaldi della narrativa femminista.
The Yellow Wallpaper è, quindi, un racconto particolarmente stratificato e dalle molteplici chiavi di lettura, tra cui, come si accennava, un certo richiamo al gotico: non a caso ABEditore lo inserisce nella raccolta Il glicine rampicante e altri racconti gotico-femministi dell’autrice. Edizione piuttosto interessante, a cura di Valentina Colafati che ne firma anche la traduzione e una puntuale introduzione. Ai racconti selezionati – tra cui un altro paio di storie inedite in italiano – si alternano alcune poesie, accuratamente scelte tra la produzione di Gilman. L’etichetta di racconti gotico-femministi è in effetti appropriata per queste storie: alle atmosfere e situazioni tipiche del genere si intrecciano riflessioni più o meno velate alla questione femminile, a partire dal racconto d’apertura che dà il nome alla raccolta, Il glicine rampicante: una storia «di fantasmi da manuale» che in realtà è «arricchita dalla velata critica al controllo dei corpi e della morale femminile».
La questione femminile è, dunque, il fil rouge che attraversa tutta la produzione letteraria tra fiction e non fiction dell’autrice statunitense, di cui gli altri racconti contenuti per esempio nella raccolta pubblicata da Lorenzo de’Medici Press sono dimostrazione.
In Cambiamenti è ancora una giovane moglie e madre che attraversa una profonda crisi in seguito alla nascita del figlio; la negazione di una vita propria, di stimoli intellettuali (nel caso della protagonista di The Yellow Wallpaper era la scrittura, in questo la musica), portano la donna sempre più vicino al precipizio e sarà l’inatteso intervento della suocera a fornire quel cambiamento del titolo. Interessante in questo racconto come in altre storie di Gilman la trattazione della maternità, spesso oggetto di sentimenti contrastanti, raramente espressi in certi termini:

 

I nervi di Julia erano al limite. Sulle orecchie stanche e sul cuore di madre sensibile, il pianto stridulo proveniente dalla stanza accanto colpiva come una frusta, marchiava come il fuoco.

(Cambiamenti, p. 35)

 

Il tema dell’istinto materno e del modo adeguato di essere madre, è al centro anche del racconto Una madre snaturata, che chiude la breve raccolta e coinvolge, attraverso il severo giudizio delle donne del paese, una giovane madre del luogo che di fronte all’emergenza – un fiume in piena uscito dagli argini – dà tempestivamente l’allarme salvando tutto il paese ma arrivando così troppo tardi dalla propria figlia, che finirà vittima del disastro. Che razza di madre, si chiedono le donne, non si precipita come prima cosa a salvare la propria figlia? Una madre snaturata, appunto, quella stessa verso cui viene mossa la critica più feroce, di non aver «alcun istinto materno!», pensiero inconcepibile all’epoca ma non del tutto estraneo neanche alla società contemporanea.
Il racconto è anche l’occasione per Gilman di ragionare su un altro dei nodi più controversi del dibattito alla fine del secolo, ossia l’istruzione ed educazione femminile e, nello specifico di questo caso, l’innocenza da preservare rispetto ai fatti della vita.

 

«Le giovani ragazze devono essere mantenute innocenti!»

(Una madre snaturata, p. 86)

 

Un argomento che, più ancora di Gilman, sarà un’altra scrittrice del periodo a sviluppare: Sarah Grand (è a lei, tra l’altro, che si deve il termine New Woman, coniato nel corso di un dibattito tenuto nel 1894, a indicare il nuovo modello femminile, icona della fin de siècle) tanto nei discorsi pubblici quanto nei racconti si schiera frequentemente a favore di una rinnovata educazione femminile; compito delle madri, infatti, istruire le proprie figlie, fornire loro le stesse opportunità di istruzione dei maschi, rompendo con il tradizionale sistema del silenzio che mirava a tenere le giovani nell’ignoranza con la scusa di preservarne l’innocenza. Emblematico, in questo senso, il racconto Eugenia e, ancora di più, The Yellow Leaf. Ancora un’altra scrittrice, forse la più innovativa e purtroppo dimenticata del tempo, George Egerton (pseudonimo di Mary Chavelita Dunne Bright), esprimerà la necessità di rinnovare il sistema educativo-famigliare come fino a quel momento istituito, in un importante confronto generazionale cuore del racconto Virgin Soil, con la giovane protagonista che a cinque anni dal matrimonio torna a casa per esprimere alla madre tutto il rancore per lo stato di ignoranza nel quale era stata volutamente mantenuta; le giovani donne come lei, «terra vergine», del tutto ignare della vita, dei pericoli, delle insidie del matrimonio e quindi spesso condannate all’infelicità.
È allora, talvolta, che entra in scena un’altra donna in questi racconti, anche in quelli di Gilman, e attraverso la solidarietà femminile salvare la protagonista da un tragico destino. È quanto accade in La ragazza con il cappello rosa, in cui una donna, sul treno, assiste alle angherie di un uomo nei confronti della fidanzata:

 

«Ne abbiamo avuto abbastanza di questa storia, non è così cara? Tu non lo sai cara, ma io sono ciò che chiamano “un poliziotto in borghese”. La vedi questa stella?». Dai movimenti di lui e dagli impauriti occhi di lei, fu come se l’avessi vista anche io.

(La ragazza con il cappello rosa, p. 67)

 

Preoccupante, vero, l’eco all’attualità di certe dinamiche e abusi di potere? È un racconto del 1916, ma alcune modalità di sopruso sono cambiate di poco.
La forza innovativa dei racconti di Gilman – e di altre autrici della fin de siècle – ci arriva ancora oggi immutata, caricata di nuovi significati.