Vietato parlare della solitudine: Mary Gaitskill – Oggi sono tua

di Fabrizia Gagliardi

La piazza non è mai stata così piena e assodante. L’io così sordo e bisognoso.
C’è chi ha istituito il Ministero della Solitudine per far fronte ai problemi sociali da essa provocati; chi come tre americani su cinque ammette di percepire un senso di estrema solitudine e, ancora, un paese come l’Italia che rischia di soffrire di una pandemia di solitudine anche dopo il Covid-19.
Nel Secolo della solitudine Noreena Hertz afferma: «È essere distanti non solo da quelli a cui dovremmo sentirci vicini, ma anche da noi stessi. Non è solo la mancanza di sostegno in un contesto sociale o familiare, ma anche sentirsi politicamente ed economicamente esclusi».
È come guardare il negativo di tutte le good vibes diffuse sui social: nei chiaroscuri del benessere instagrammabile, nell’ossessione di fare qualcosa, nel riempire i vuoti canonici della distanza e dell’interiorità, s’intravede il desiderio di dover stare bene a tutti i costi. Per sancirlo basta fare, muoversi, documentare, in maniera socialmente accettabile in un meccanismo che, anche quando innocente, lascia poco spazio alla verosimiglianza.
Negli anni l’intrattenimento televisivo ha più volte portato alla ribalta le imprese solitarie di mad men in situazioni di dubbia moralità, e personaggi come i nerd o i cosiddetti weirdo, e mai come in questo momento si avverte l’ipocrisia dell’idolatria di tali figure notoriamente bistrattate nella vita reale: nessuno li considererebbe un modello ammantato di fascino nella vita di tutti i giorni.
L’ammissione della solitudine – quando non è spettacolarizzazione del dolore – è un tabù in un tempo in cui tutti i protagonisti performativi della piazza la celano dietro confini leciti e normativi. È come se la felicità potesse essere scelta come si pesano i beni di consumo: se non vuoi comprarli è tua la decisione di non partecipare alla moda collettiva.
In questo modo il vociare della piazza sbatte su superfici respingenti che ne riflettono il potere di comprensione trasformando tutto in un travisamento collettivo.
C’è chi, però, con la scrittura ha da sempre smascherato questo meccanismo.
Di Mary Gaitskill l’ex marito ha detto: «Penso di non aver mai incontrato nessuno più solo». Eppure è proprio l’aver trovato una dimensione da abitare, oscura ai più, ad aver costruito la sottile eco dei lavori dell’autrice.
Oltre ai romanzi arrivati in Italia come Veronica, finalista al National Book Award (pubblicato da Nutrimenti con la traduzione di Dora Di Marco) Velvet uscito per Einaudi come l’ultimo, più discusso, Questo è il piacere arrivato in piena era #MeToo, è nei racconti che l’esperienza della solitudine diventa universale, unisce persone di diversa estrazione sociale ma allo stesso tempo non diventa un collante perché tutti continueranno a sbattere tra loro come poli uguali e respingenti.
L’antologia Oggi sono tua (tradotta da Maurizia Balmelli e Susanna Basso) raccoglie i migliori racconti tratti da Bad Behavior (1988), Because They Wanted To (1997) e Don’t Cry (2009). Si avverte la mancanza di una raccolta completa in grado di restituire al lettore il percorso stilistico e tematico dell’autrice, eppure, le impercettibili oscillazioni idiosincratiche degli estratti anticipano molti dei temi che restano attuali ancora oggi.

 

– Sai, tu hai un modo di sbattere in faccia alle persone la tua vulnerabilità. O comunque la cosa che tu chiami vulnerabilità. A volte lo fai appena le incontri. Costringi la gente ad averci a che fare –. Deana parlava animatamente ma con precisione, parole schiette come schegge color vaniglia.
– Deana.
– No, ascoltami. Non arrabbiarti se te lo dico; non lo fai poi così spesso. Un tempo però lo facevi parecchio, ed è un po’ strano essere messi di fronte alla fragilità di qualcuno in modo così aggressivo. Ad alcuni verrà da proteggerti, com’è successo a me, ma ad altri verrà da ferirti. Altri ancora avranno semplicemente paura di te, per l’ovvia ragione che la tua fragilità gli ricorda la loro, e sembrerebbe proprio il caso della tua amica Alice.

Un dialogo di Altri fattori chiarisce le fitte dinamiche relazionali di autocommiserazione, fragilità, senso di colpa e di quanto tutto questo sia socialmente lecito. Nel racconto la protagonista, dopo aver rivisto un vecchio flirt, verrà invitata a una festa dove incontrerà la migliore amica di un tempo, con la quale aveva un legame quasi simbiotico. Il confronto tra luci e ombre delle vite di entrambe definisce un tipo di esperienza performativa, sempre a confronto con l’altro senza comprenderne effettivamente le ragioni.
La debolezza per Mary Gaitskill è un allettamento e una minaccia, instilla il dubbio che nessuno sia innocente alla manipolazione. Cogliere i semi della solitudine dell’altro significa incastrare dei vuoti con l'obiettivo di sfruttarsi: brandire il dolore come senso di colpa, conoscere il dolore altrui per usarlo a proprio vantaggio.
Anche in Legame il ricordo di un’amicizia newyorchese porta in scena protagonisti che misurano la felicità in base a quanto sono in grado di sentirsi realizzati, senza che la condizione di paragone perenne riesca ad avvicinarli e a portare un’effettiva conoscenza di sé e dell’altro.
D’altronde come raccontato nel più emblematico Weekend romantico, che apre l’antologia, l’altro diventa un feticcio, un’idealizzazione schiava di desideri, pulsioni e istinti.
La storia più superficiale di una fuga tra amanti mal amalgamati diventa difficile da incasellare, perché slega le differenze tra i sessi dal cliché. Un vortice caotico fatto di bisogni biologici, pensieri irrazionali, manipolazioni e insicurezze definiscono un confronto tra individui alla pari, senza ricercare una qualsiasi morale di circostanza.
Così il desiderio della donna di essere umiliata per rincorrere il luogo sperduto dell’eccitazione pura, cozza con la volontà di dominio di un uomo insicuro che scimmiotta schemi relazionali che danno per scontato la passività della donna. Il livellamento del desiderio a un terreno comune di incontro e scontro sovverte tutte le aspettative di una qualsiasi storia sentimentale e sprigiona il potenziale frenato dalla morale.
Succede molto chiaramente in Segretaria, racconto reso celebre dal film del 2002 di Steven Shainberg e interpretato da James Spader e Maggie Gyllenhaal. Anche in questo caso la segretaria che si lascia sculacciare dal proprio capo ha poco a che fare con le molestie sul lavoro.

Quando sono tornata a casa quella sera era tutto come sempre. L’accaduto non mi aveva scombinato la vita, tolta la distanza tra me e la mia famiglia, che era leggermente aumentata. Quando me lo sono guardata allo specchio del bagno, il mio fondoschiena non era neanche arrossato.
Ma, andando a letto e ripensando alla cosa, mi sono eccitata. Ero più eccitata di quanto non fossi mai stata in vita mia, a dire il vero. E non mi sorprendeva nemmeno. [...] Mi sono masturbata piano, per ritardare l’orgasmo il più possibile.

Tutta l’atmosfera fastidiosa prodotta dalla sculacciata sul luogo del lavoro e la posizione di potere dell’avvocato scompaiono senza neanche lasciare la possibilità d’indignarsi.
La narrativa dell’autrice ha sempre sfruttato l’ambiguità che la relegava in posizioni poco comprensibili a un pensiero femminista più strutturato. In compenso la Gaitskill affida alla non-fiction il compito di chiarire una visione innovativa.
Per esempio, nel saggio del 1994 su Harper's Magazine, On Not Being a Victim, è intervenuta in un dibattito sul tema dello stupro. Molte femministe volevano stabilire un regolamento destinato agli uomini al fine di definire l’approccio sessuale non molesto. Dall'altro lato, c'erano figure come Camille Paglia e Katie Roiphe, che insistevano sul fatto che le donne che si rendevano vulnerabili alla violenza erano stupide o ingenue, o rinnegavano le loro esperienze per vergogna o rimpianto.
Mary Gaitskill ha cercato di tracciare una terza possibilità osservando con occhio abbastanza critico gli incontri sessuali della sua vita, inclusi due stupri. Per arrivare all’uguaglianza sessuale c’è bisogno di una maggiore introspezione da parte di entrambi i sessi: la necessità per uomini e donne è di comprendere meglio desideri profondi e azioni.
Anche nei racconti un eterno presente non cade nella trappola performativa del costruire un futuro accettato da tutti. La scelta di abbandonarsi alla corrente, e sperimentare le diverse possibilità caotiche in cui accade l’amore, allontana i protagonisti dalla scelta dell’altro secondo valori legittimati dalla maggioranza.
Nei racconti della Gaitskill nessuno nomina i sentimenti o i progetti di vita di un futuro matrimoniale e non ci sarà un qualsiasi lieto fine che implica l’evoluzione della vicenda. Gli amori, i dolori, le vite e le morti, i dispiaceri e le scoperte sciolgono una narrazione lunga, che procede per flashback e flashforward a dare l’impressione di un ciclo continuo. Si tratta di narrazioni interrotte che non avrebbero la stessa potenza se spalmate nel tempo più lungo di un romanzo: la sensazione che pervade il lettore è il senso di un tempo che vanifica l’importanza di pensieri cruciali qui e ora, se visti in prospettiva di un futuro in cui tutte le tracce svaniranno.
La  compilazione maniacale degli oggetti che circondano i corpi occupa interi paragrafi e s’impone non tanto come un capriccio barocco della scrittura quanto come una sospensione e un’illusione. Non leggeremo di personaggi allo sbaraglio che dimenticheranno tutto come fosse un brutto sogno: una lucidità così dettagliata fa parte dell’idealizzazione, del bisogno di chiarezza e coerenza mai raggiunti. È proprio essere sempre così presenti e autoconsapevoli delle proprie idee in solitudine a rendere scontrosa la scrittura di Mary Gaitskill, molto diversa da altre autrici americane incontrate fino ad ora.
Tutte, in modo vivo e variegato, hanno declinato esperienze autobiografiche o vicende vissute in terza persona. Non si è mai trattato di una scrittura ombelicale, in ognuna lo sguardo autoriferito si estendeva poi al ritratto di un’epoca, della donna inserita nel tempo specifico, del panorama interiore collettivo, con ironia o meno.
Amy Hempel, per esempio, si è affidata al modo analogo con cui la memoria e le azioni si susseguono. Un’aggregazione di frammenti discontinui, così com’è discontinuo il pensiero, è abilmente diretto dal collante di uno stile contratto, che lascia intendere più che spiegare e analizzare.
Oppure, ancora, Lydia Davis disperde il materiale del sé donandolo alla scienza di una composizione sperimentale: i racconti, anche solo di una pagina, sono piccoli poemi in cui l’esasperazione di un soliloquio crea il paradosso di far passare l’egoismo in secondo piano.
Anche leggendo le storie di Mary Gaitskill non è difficile intuire che una lente così caratterizzata deve aver appreso l’arte del cinismo a proprie spese con una storia personale che, se conosciuta, non è difficile da ricondurre ai racconti dove i legami, il sesso e l’amore si mescolano caoticamente senza la possibilità di etichettarli.
Come ha spiegato in Out of it!, sua newsletter periodica destinata ai lettori: «Scrivo da un punto di vista schietto ma moralmente ambiguo (leggi: realistico), con enfasi sulla natura emotiva strana e granulare dell'esperienza umana. Forse a causa di quello che chiamo punto di vista "granulare", non sono mai andata sui social media. Parte della mia granularità sta nel leggere le persone fisicamente, e mi inquieta comunicare con estranei quando non riesco a vedere chi sono o a sentirli».
L’aderenza totale alla realtà del mondo, per sua natura ambiguo, non ha la pretesa di sbrogliarlo o di imporre un giudizio, ma racchiude la capacità di osservarlo come cosa viva, costantemente in movimento. Ecco perché si avverte uno sguardo malinconico quando, nel numero intitolato The Hidden Life of Stories, la Gaitskill spiega cosa sono e da dove vengono le storie. La trama interiore di un qualsiasi racconto, quel filo che funziona come un “condotto” diretto all’inconscio e alle viscere di una persona, non è altro che lo stile dello scrittore.

La narrativa (anche quando è fantasy o fantascientifica) riguarda la vita e la vita non riguarda principalmente le parole. Considera quante cose hai pensato o visto che ti è impossibile dire a parole, anche qualcosa di semplice, come l'espressione facciale di qualcuno. La vita, anche in una giornata tranquilla, si svolge così densamente e rapidamente intorno a noi e la maggior parte riguarda il vedere, sentire e pensare in modo non strettamente verbale. La scrittura traduce tutto questo in parole, ma paradossalmente la scrittura più potente usa le parole in un modo che trascende le parole per diventare più fedele alla vita, nel senso che imita il modo in cui viviamo in un mondo che cambia e si muove continuamente davanti ai nostri occhi.

E se la scrittura del presente è disperatamente attaccata al reale, così aderente alla persona che scrive uno stato sui social la solitudine - della composizione e della contemplazione - non è come quella del passato. Si tratta di una solitudine più reale, meno contemplativa, poco lungimirante. E se il mondo fisico viene dato per scontato è chiaro che persino l’osservazione quotidiana è un uso e abuso della realtà, un modo per affermare il singolo e non il singolo in rapporto di scambio con l’altro.

«La natura profonda delle storie può essere rivelata attraverso immagini descrittive di piccole cose irrilevanti per la narrativa ovvia: cose inaspettatamente toccanti che notiamo intensamente o appena con la coda dell'occhio, schemi intravisti al di fuori dello spettro della nostra vita quotidiana». Forse è proprio un amore dubbioso, che a tratti deve rafforzarsi per essere stato trascurato, disinteressato a qualsiasi forma progettuale, slegato da qualsiasi ansia sociale, ma attento a cogliere i dettagli contraddittori alla periferia del nostro sguardo, è in grado di farci guardare alla solitudine in compagnia. Un luogo affollato in cui tornare e coltivare una cura dell’altro, partecipe e silenziosa.