di Debora Lambruschini
E così fummo lasciate, due creature giovani e sole, nel vecchio, grande maniero.
(“Il racconto della vecchia balia”, Elizabeth Gaskell, p. 32)
Bastano appena un paio di righe, in questo caso nate dalla penna di Elizabeth Gaskell, per far intuire al lettore le atmosfere che avvolgono la narrazione e, proseguendo poi nella lettura del racconto, inserirla in una tradizione ben salda nel panorama letterario inglese. Nato negli ultimi anni del Settecento, il genere gotico è stato a lungo considerato letteratura meramente popolare, forma di evasione che nulla aveva a che spartire con il novel che di lì a poco avrebbe consolidato la propria egemonia letteraria. Tuttavia gli strumenti critici idonei a riflettere intorno al gotico inglese non sono in effetti quelli del novel, quanto più propriamente quelli del romance (specie quello fantastico), di cui il gotico delle origini richiamava la caratterizzazione dei personaggi con la morale ben definita e la partecipazione del lettore all’avventura. Se poi ci avventuriamo nelle storie brevi, il fraintendimento si fa ancora più marcato. La popolarità tra i lettori e la varietà dei testi, le influenze mai esaurite, hanno impiegato molto tempo a interessare il discorso critico sul genere ed è stato solo a partire dagli anni Settanta del Novecento (similmente a quanto accaduto appunto per la short story moderna) che tali opere entrano nell’analisi critica, grazie soprattutto alle ricerche di Todorov, che per primo attribuisce al gotico inglese anche una funzione psicanalitica, quale mezzo per esorcizzare le paure della società entro cui si sviluppava. Un genere che fin dalla sua genesi si declina in tipologie differenti: il gotico del terrore, inaugurato da Horace Walpole con la pubblicazione nel 1764 di The castle of Otranto e che delinea molti degli elementi essenziali di questo genere; il gotico dell’orrore, il cui prototipo è rappresentato da The Monk di M.G. Lewis, la dannazione del protagonista che vende l’anima al diavolo (con un immediato riferimento al Dr Faustus e una tematica ben radicata nella coscienza romantica) e la sua miscela di sesso, sangue e sadismo; il gotico femminile, la cui strada è aperta da Clara Reeve nel 1778 con The old english baron a gothic story, per arrivare all’immensa popolarità di Ann Radcliffe; e, ancora, il gotico sentimentale, storico, esotico.
Al netto delle differenze che intercorrono tra le varie opere, gli elementi fondanti del genere sono ben saldi: l’ambientazione tetra, le scene notturne, il confine sempre più labile tra realtà e immaginazione, l’isolamento dei personaggi (da intendersi tanto come luoghi in cui si svolge l’azione quanto come emarginazione sociale), la presenza di elementi sovrannaturali, la suspence che attraversa la narrazione. L’influenza del genere gotico attraversa tutta l’età vittoriana, dal Regno Unito al Nord America, con la ripresa di certe atmosfere ed elementi caratteristici o lo sviluppo di narrazioni peculiari che arrivano fino al contemporaneo. Tratti che derivano dal gotico sono rintracciabili anche in romanzi vittoriani che poco o nulla hanno a che fare con il genere, ma di cui accolgono alcuni elementi: basta pensare a certe atmosfere presenti in Great Expectation di Dickens, a Wuthering heights di Emily Bronte (e questo è probabilmente il novel più gotico dell’età vittoriana) e a Jane Eyre della sorella Charlotte; o, ancora, al fecondo filone della sensational fiction e i romanzi di Wilkie Collins che all’elemento tipico del giallo intrecciano abilmente alcuni topoi del gotico. Genere molto popolare nato alla fine del Settecento, quindi, dirama la sua influenza per tutto il secolo successivo e molti degli elementi che lo caratterizzano restano a oggi ben visibili in tanta narrativa contemporanea.
Specchio della coscienza e dell’inconscio collettivi della società romantica inglese, il gotico era il mezzo ideale attraverso cui esorcizzare molte delle ansie e delle paure dell’epoca, il senso di colpa e i timori per essersi allontanati dall’ordine divino e naturale, i dubbi dell’uomo moderno e le sfide che si trovava ad affrontare, il confronto con la scienza e la tecnologia. E forse più di ogni altro il testo che ben rappresenta tali timori è Frankenstein di Mary Shelley, che già in quel sottotitolo “Or the modern Prometheus” esplica perfettamente il senso dell’opera. Romanzo gotico ma considerato anche come capostipite della narrativa fantascientifica, è entrato nell’immaginario collettivo come emblema dell’incubo sulla conoscenza che perseguita la coscienza borghese, la scienza e i limiti dell’umano e, per certi versi, anticipatore di istanze che saranno poi proprie della distopia. Nell’interrogativo alla base del romanzo, fino a che punto la scienza possa spingersi e con quali conseguenze nel suo volersi sostituire a Dio ma incapace di creare qualcosa di altrettanto perfetto come l’uomo, si insinuano molte delle paure e delle domande con cui oggi ancora di più siamo chiamati a confrontarci e che rendono la rilettura del romanzo di Shelley straordinariamente attuale.
Ma la popolarità del genere gotico si fonda anche sulla forma breve: grazie alla diffusione sempre più capillare della stampa e delle riviste, per tutto l’Ottocento le pagine dei giornali ospitano un numero molto alto di short story molte delle quali di chiara influenza gotica che, per natura stessa di forma, permettono agli autori un grado di sperimentazione tematica e formale che difficilmente viene concessa al novel. Nomi autorevoli del panorama vittoriano affidano alle riviste storie che consolidano il ruolo del genere gotico nella narrativa dell’epoca, ma che a leggere con attenzione talvolta si inseriscono in un discorso letterario più ampio e interessante.
Una fessura apertasi nelle nuvole mi permise di distinguere le linee di una villa desolata e grigia, ornata da obelischi in parte frantumati posti sulla facciata triangolare. Il mio cuore ebbe un balzo, e mi fermai incurante della pioggia che continuava a cadere. Un cane cominciò ad abbaiare furioso da una casupola di contadini sull’altro lato della strada, fiocamente illuminata da quella luce che avevo visto da lontano. (“L’avventura di Winthrop”, Vernon Lee, in Dark ladies, p. 186
La fascinazione del gotico vittoriano perdura nei decenni a venire e fino alla contemporaneità, non solo come riscritture e nuove interpretazioni del genere, ma anche come ricerca e traduzione di testi noti e meno noti.
Tra le uscite recenti che si ascrivono al filone del racconto gotico, una pubblicazione particolarmente interessante è Dark Ladies, antologia pubblicata da Blackie edizioni per la traduzione di Sabrina Bottari che riunisce alcune tra le voci femminili più autorevoli del gotico vittoriano. Elizabeth Gaskell, Charlotte Bronte, Vernon Lee, Willa Cather e, a chisura del volume, tre autrici italiane del periodo in oggetto, sono tra le voci di cui si compone l’antologia a rappresentare la varietà di un genere popolarissimo nell’Inghilterra vittoriana con cui si sono misurati autori diversi. Un volume prezioso perché permette anche di ritrovare autrici il cui nome oggi è poco noto fuori dai circuiti accademici, accanto ad altre la cui fama non si è mai esaurita, ma tutte accomunate da un approccio narrativo simile e molto popolari tra il pubblico dell’epoca. I racconti qui presentati coprono un arco temporale che va dal 1830 al 1900, abbracciando quindi tutta la stagione vittoriana, e permettono al lettore di intuire la varietà di un genere la cui influenza non è mai venuta meno. Undici autrici molto diverse fra loro, accomunate oltre che dal contesto storico geografico entro cui si muovono – fatta eccezione delle tre voci italiane a chiusura dell’opera, su cui torneremo – dal desiderio di «abbattere il mito del perfetto uomo vittoriano»: sono proprio gli uomini, infatti, a confrontarsi in queste storie con l’inafferrabile, a mostrare tutta la loro vulnerabilità e timori di fronte al mistero.
[…] anche mio padre iniziò a vergognarsi un po’ della sua stessa debolezza. Lui, un uomo razionale e un padre di famiglia, si era piegato a quella che era una mera fantasia, una superstizione dovuta probabilmente a una cena un po’ pesante e a un cervello sovreccitato!
(“L’ultima casa di via C.”, Dinah M. Mulock Craik, p. 76)
Il solido uomo vittoriano, il suo equilibrio e la morale integerrima, vacilla di fronte a strane apparizioni, voci, rumori misteriosi, che la mente razionale non può spiegare. Eccoli, dunque, alle prese con il terrore di trovarsi in tetre dimore, a vagare per le strade e i cimiteri di qualche luogo “esotico” – l’ambientazione fuori dal Regno Unito è ricorrente nel filone gotico – , a cadere vittima della maledizione che li colpisce, non darsi pace. La casa è uno dei luoghi più simbolici della narrativa gotica, che torna in forme differenti anche in questi racconti: costrette alla domesticità dal sistema patriarcale, le donne scrittrici si riappropriano qui degli spazi per farne il set ideale dell’incubo. Esemplare a mio avviso resta sempre in questo senso il racconto The Yellow Wallpaper, che non si trova nella raccolta in questione ma che vale la pena ancora segnalare: con una narrazione tesissima, Charlotte Perkins Gilman costruisce una storia di ossessione, in cui il confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è si fa sempre più labile, fino a confondere perfettamente ragione e follia, punto di vista e narratore. Costretta in casa per riprendersi dalle fatiche del parto, la donna protagonista è ossessionata dalla carta da parati gialla che ricopre la stanza da letto entro cui è confinata, nella quale le pare di scorgere una figura femminile in trappola. Un racconto denso di spunti e rimandi, in cui le influenze gotiche si intrecciano alla questione femminile centrale nel dibattito sociale e letterario di fine secolo di cui la New Woman ne è l’emblema.
Ecco quindi, tornando ai racconti radunati in Dark Ladies, come gli elementi del gotico si prestino di volta in volta a interpretazioni diverse e la short story si conferma mezzo narrativo ideale per accogliere le istanze della modernità, affrancarsi dal novel, sperimentare, trattare anche quelle tematiche giudicate scabrose dalla morale vittoriana. Uomini impauriti, vecchi segreti e colpe che turbano la vita domestica di rispettabili anziane signore, fanciulle che si aggirano per cimiteri desolati, ossessioni, misteri. La linea di confine nell’interpretazione di questi testi spinge il lettore a interrogarsi: i protagonisti stanno davvero vivendo esperienze soprannaturali o è tutto frutto della loro fantasia? E noi come reagiamo di fronte all’una o all’altra risposta? I simboli di cui i racconti gotici sono disseminati, fanno presa anche sulla coscienza moderna che trova fra le pagine nuove interpretazioni e timori.
Da qui, dai racconti scelti con cura per questa raccolta e che ben rappresentano la varietà del genere nell’epoca vittoriana, l’influenza del gotico si dirama oltre i confini geografici entro cui si era sviluppato e assume caratteri peculiari: approda con esiti particolarmente interessanti in Nord America e si trasforma nella mani di Edgar Allan Poe che del gotico assimila il gusto per il mistero e certe atmosfere, trasfigurandole in storie dell’orrore, di morte e di angoscia; è l’eco che vive nella Southern Gothic Literature, la superstizione contrapposta alla religione come in certi racconti di Flannery O’Connor, il mistero, l’inafferrabile; il simbolismo di H.P. Lovecraft, erede di Poe, l’incubo rappresentato dagli sviluppi scientifici immaginando un futuro dai tratti oscuri; o, sempre per restare alla letteratura nordamericana, è il sovrannaturale che si trasforma nelle mani di Shirley Jackson, le atmosfere che affondano nella tradizione gotica, la domesticità che diviene incubo. Il gotico attraversa la narrativa statunitense tra Otto e Novecento: da Poe a Flannery O’Connor, Eudora Welty, Katherine Ann Porter, William Faulkner, voci diversissime ma nelle cui opere c’è traccia di un’influenza mai venuta meno. L’American Gothic, quindi, diviene a sua volta terreno fertile per altre contaminazioni, attraverso la letteratura o altre forme espressive.
Influenze, spunti, fino a contaminazioni di genere che arrivano all’horror e alla contemporaneità, esempi di un filone letterario mutevole e ancora ben saldo nell’immaginario collettivo. Abbiamo ancora bisogno di credere nel mistero e, ancor di più, confrontarci con la parte più tormentata dell’essere umano.