di Matteo Moca
Nel Talmud Babilonese, nel trattato Megillah, è scritto che «tutti i canti si scrivono nero su bianco e bianco su nero», a sottolineare proprio la natura duale di ogni testo e le prospettive ermeneutiche che questo apre. Lo studioso di cultura ebraica, David Banon, riflettendo proprio sulla natura di questi spazi bianchi, scrive che tutte le grandi narrazioni non consentono un accesso diretto al significato, soprattutto a causa dell'emergenza ermeneutica che può nascere da ogni luogo del libro, quindi anche dagli spazi bianchi, portatori di non-detto, «riserve di senso» che il testo nasconde. Se gli spazi bianchi figurano allora come inviti all'interpretazione proprio attraverso il non-detto che suggeriscono, ci sono alcuni testi in cui questo meccanismo sembra rappresentare una chiave privilegiata per addentrarsi tra i suoi risvolti più significativi. La letteratura per l'infanzia pare particolarmente adatta alla messa in prova di questo meccanismo interpretativo perché è vero che i testi funzionano come narrazioni adatte alla costruzione di immaginari per i bambini, ma, quando la letteratura per l'infanzia è costruita da grandi creatori e raccontatori di storie, sono proprio questi spazi bianchi a presentarsi agli occhi del lettore adulto, capace, talvolta, di muoversi con maggior profondità tra le pieghe del testo. Questo è ciò che accade per esempio con la raccolta di racconti per bambini Zlateh la capra e altre storie di Isaac Beshevis Singer (pubblicata in una nuova versione adesso da Adelphi con la traduzione di Elisabetta Zevi, che coordina l'edizione adelphiana di tutte le opere dello scrittore, nella collana “I cavoli a merenda” e con le evocative illustrazioni in bianco e nero di Maurice Sendak, un altro autore americano nato da genitori ebrei polacchi), una raccolta capace di rivolgersi a lettori di ogni età e, soprattutto, incubatore di molti dei temi fondamentali dell'opera di Singer. Possiamo seguire, per esempio, le storie di un giovane uomo convinto di essere morto e curato da un medico con un metodo particolarmente teatrale (Il paradiso degli sciocchi), di un gruppo di governanti anziani sciocchi e incapaci di comprendere ciò che la natura riserva all'uomo spaventandosi del furto della luna o dello scioglimento della neve (La neve a Chelm), di bambini mai stanchi di ascoltare storie e poco vogliosi di dormire che vengono spaventati con la storia di un diavolo (La storia della nonna) o di un piccolo bambino capace di fronteggiare il diavolo e sua moglie la diavolessa pur di salvare la propria famiglia (Lo scherzo del diavolo). Molte delle storie sono ambientate durante Channukkah, la festa delle luci (una festa che rievoca la ribellione dei Maccabei contro Antioco IV deciso a inserire nel tempio di Gerusalemme alcuni idoli e costringere gli ebrei ad adorarli), che ricorda quando l'olio della lampada che ardeva perennemente di fronte all'Arca durò miracolosamente otto giorni, una ricorrenza gioiosa che proprio per questo è considerata una festa per i bambini. Nei lumi della lampada che per gli otto giorni della festa viene accesa, nella luce soffusa che questa emana e che sfuma i contorni degli oggetti e delle persone, si situano i racconti di questa raccolta, tutti sospesi in un mondo straordinario che abita i confini tra il sonno e la veglia, tra l'incredulità e la fiducia nel valore, negli insegnamenti e nella verità delle storie. Ma il bianco che abita queste storie è la cornice invisibile che li avvolge e che rimanda al resto dell'opera romanzesca di Singer: nella sua introduzione lo scrittore, nato in Polonia nel 1901 e poi costretto, poco più che trentenne, ad abbandonare l'Europa per gli Stati Uniti in cerca di libertà e salvezza, partendo proprio dalla meraviglia dei bambini (per il «tempo che passa») che si chiedono dove «vanno a finire i nostri ieri, con le loro gioie e i loro dolori», lascia emergere i confini della sua opera e la sua profonda fiducia nelle forme del racconto:
Nelle storie il tempo non svanisce, e nemmeno gli uomini e gli animali. Per lo scrittore e i suoi lettori tutte le creature vivono per sempre. Ciò che è successo tanto tempo fa è ancora presente.
In queste poche parole si possono rintracciare anche i legami profondi, e problematici, che hanno attraversato il rapporto di Singer con la cultura ebraica. Figlio di un rabbino, e quindi cresciuto in un universo famigliare particolarmente attento e devoto, ma anche incentrato sul racconto orale, intervistato da Enzo Biagi proprio sulla sua relazione con la cultura ebraica, Singer ricorda della temporanea opposizione giovanile all'atmosfera religiosa, ma anche di come, con lo scorrere dei decenni e con gli avvenimenti che hanno costellato la storia ebraica creando nuovi, tragici e ulteriori punti di vista, si è fatta spazio nella sua mente l'idea che il mondo non possa essere considerato un semplice scontro di casualità, ma che, invece, debba esserci una sorta di principio ordinatore, un'entità responsabile dell'origine del mondo e di ciò che continua ad accadere. La strada che Singer ha trovato per dare spazio a questa idea è stata sempre la letteratura e, ancor di più, la sua radice antica, anche ebraica, di racconto orale, come testimoniano le sue storie romanzesche spesso dipendenti dal mondo ebraico dell'Europa orientale e della Polonia (la località di Chelm, cara alla narrativa tradizione, torna spesso in questi racconti, il romanzo Satana a Goraj è proprio ambientato in uno shtetl della provincia di Lublino dove gli abitanti seguono un folle piano di redenzione, Il mago di Lublino è una superba, divertente e tragica interrogazione sulla religione) oppure dall'ambientazione americana con personaggi in fuga dal mondo polacco che costruiscono nuove comunità negli Stati Uniti (Hertz Minsker, protagonista di Il ciarlatano è proprio uno dei simboli di questa scelta letteraria, così come i vari protagonisti di Nemici. Una storia d'amore o di Ombre sullo Hudson). Il celebre racconto che dà il titolo a questa raccolta, come gli altri, si indirizza verso la prima delle due strade percorse da Singer e ricostruisce proprio quel mondo passato e senza tempo delle storie ebraiche provenienti dall'Europa Orientale. Nelle pagine che Singer costruisce con pochi e magistrali tratti e nella storia di Aaron e della sua capretta Zlateh, Singer non è interessato solo all'amore per il racconto, ma inserisce silenziosamente anche aspetti maggiormente problematici, in questo caso sul rapporto tra uomo e animale e sulle necessità economiche, che invitano il lettore a interrogarsi anche sugli imprevisti e gli eventi minacciosi, come la neve che nel racconto blocca i protagonisti e fa intravedere certe ombre ben più inquietanti che il popolo ebraico ha dovuto sopportare (e ne è limpida esposizione la dedica di questi racconti: «Dedico questo libro ai molti bambini che non hanno avuto la possibilità di diventare grandi a causa di stupide guerre e di persecuzioni crudeli che hanno devastato città e distrutto famiglie innocenti»). Sono questi, ancora una volta, gli spazi bianchi del testo che invitano il lettore all'interpretazione e alla riflessione.