Bozzetti gotici: Amori defunti di Lafcadio Hearn

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di Fabrizia Gagliardi

«A New Orleans, in giugno, l’aria è greve di sesso e morte, morte non violenta ma per decadimento, per eccessiva maturazione, per marciume, morte per annegamento, per una febbre dalla causa sconosciuta.» La prima frase che Joan Didion riserva a New Orleans nel suo A sud e a Ovest sembra riecheggiare le parole che lo stesso Lafcadio scrisse in seguito al suo arrivo in città: «Quando vidi per la prima volta l’alba sulla Louisiana, mi vennero le lacrime agli occhi. Era simile a una giovane morte, una sposa defunta incoronata con fiori d’arancio, un viso senza vita che domandava un bacio. Non posso dire quanto sia bello, ricco e stupendo questo decaduto Sud. Mi ha affascinato». È indicativo come a distanza di secoli, generazioni e generi letterari una città abbia conservato il suo nucleo caratteristico.

Eppure, il carattere di Hearn era avvezzo a cambiamenti sconvolgenti: nato su un’isola greca nel 1850, dopo essere cresciuto a Dublino, aver passato per un’infanzia in solitudine, circondato da classici greci, biblioteche, periferie londinesi, ristrettezze economiche, a soli diciannove anni si era avventurato nel nuovo mondo. Visse a Cincinnati ma dopo il matrimonio illegale con Alethea Foley, una giovane schiava liberata di origini africane, perse il lavoro e si trasferì a New Orleans. Fu qui che una personalità inquieta e in costante ricerca di stimoli tracciò due ritratti paralleli della città: da una parte il lato reale fatto di storia, decadenza, pratiche vudù, tradizioni culinarie; dall’altra il fantasmagorico e fantasmatico furono ampiamente evocati in bozzetti dall’aria gotica che la maggior parte delle volte hanno come elemento primario un’atmosfera magica. Proprio questi ultimi fanno parte della raccolta Amori defunti ripubblicata, in occasione del 170° anniversario della nascita dell’autore, da Adiaphora Edizioni con testo originale a fronte a cura di Matteo Zapparelli Olivetti.

A una prima occhiata, tuttavia, i racconti brevi non appaiono nella loro struttura canonica: l’inizio nel bel mezzo della vicenda sfuma in conclusioni in sospeso che lasciano intendere una continuazione eterna. Ne è un esempio Di bianco vestita, la visione misteriosa di una donna dai contorni spirituali, e La notte di Ognissanti, uno scivolare continuo tra le entità naturali e soprannaturali di un cimitero.

E il Vento soffiò sui fiori fino a che le loro palpebre delicate iniziarono a chiudersi e il loro profumo si espanse più lieve al chiarore lunare. E il Vento cercò invano di risvegliarli dal sonno senza sogni nel quale stavano sprofondando. Poiché il profumo di un fiore altro non è che la manifestazione della sua anima invisibile. E i fiori appassirono al chiaro di luna e, a mezzanotte, chiusero per sempre i loro occhi e l’incenso delle loro vite venne a mancare.

Lo stesso Hearn chiamava questi piccoli scorci fantastics, guizzi di stile che non avevano l’obiettivo di traghettare storie ma di far entrare chi leggeva nello stesso stato di assuefazione tossica e romantica della Louisiana. A immaginarli come piccoli trafiletti inseriti tra le pagine di un quotidiano, avremmo apprezzato maggiormente tutta l’aura mistica attorno alla vita stessa di New Orleans. Leggendoli in una raccolta, oggi, possono rivelarci qualcosa a proposito dell’orrore degli albori.
C’era stato Edgar Allan Poe, la cui fama rischiava di rimanere nell’oblio, c’era stato l’orrore europeo dalle origini del Castello di Walpole fino a Ernst Hoffmann, ma Lafcadio percorse inconsapevolmente una strada del tutto personale. Si riconoscono tutti gli elementi tipici delle ghost stories ma la carica narrativa è rafforzata da scenografie suggestive e dall’incursione di termini spagnoli che dimostrano il crocevia di destini ed entità. La prospettiva di Lafcadio non è quella di un conquistatore che assoggetta il panorama alla sua visione, ma di un testimone al servizio dell’ignoto.

La tradizione classica si unisce all’eredità orale delle terre occupate dai conquistatori, e la scrittura di Hearn oscilla tra il racconto gotico e il tono solenne tipico delle leggende. L’esotismo si spinge a evocare un vero e proprio  esoterismo, soprattutto in racconti come Il carbuncolo del diavolo, che narra una maledizione al tempo dei conquistadores, o in racconti di miti come La fonte della giovinezza e Afrodite e il prigioniero del re.

Più bella di tutte le altre bellezze scolpite nella pietra, o nelle gemme, o nell’eterno bronzo dalle mani di uomini le cui vite erano state consumate dalle brame per un idolo vivente degno dei loro sogni di bellezza ideale… Una raffigurazione di Afrodite esibiva l’infinita armonia della sua nuda avvenenza su un piedistallo di marmo nero, così ampio e così perfettamente levigato da riflettere il divino poema del suo corpo come uno specchio d’ebano…

L’eleganza stilistica e la ricerca lessicale si prestano bene anche per i racconti dal tenore del tutto diverso dall’orrore: si passa dalla leggerezza di una favola in La piccola gattina rossa, alla carica ipnotica di oggetti inanimati come in Un sogno di aquiloni. Non è difficile immaginare che una tale predisposizione al fantastico, la grande influenza evocata da una città come New Orleans, l’oscillare tra visioni di amore e morte, abbiano preparato il terreno alle tante vite dell’autore: di lì a poco l’idea buddista della morte, il trasferimento in Giappone la cui tradizione avrebbe fortemente influito l’afflato soprannaturale della sua scrittura, sempre compenetrata al suo personalissimo sguardo.  

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