di Marina Bisogno
Prima del movimento femminista, prima di qualunque considerazione sul ruolo della donna nella società moderna, c’è stata Willa Cather, scrittrice e giornalista, premio Pulitzer nel 1923. Autrice di racconti, romanzi e articoli di critica teatrale, ci sorprende ancora oggi per la lucidità con cui ha scandagliato l’animo femminile. I suoi personaggi, da Marian Forrester a Myra Driscoll, sono perennemente in bilico tra deferenza e impertinenza, tra buone maniere e impetuosità. Cresciuta nel bel mezzo dell’era dei pionieri, Willa Cather modella il suo sguardo nel selvaggio West. La nostalgia per il tempo che va, la caducità degli eventi, le pennellate di parole per fissare sulla pagina la meraviglia hanno a che fare con la sua biografia (la passione per la natura, i cambiamenti nella società americana tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento). Ma è il periodo newyorkese a portarle la fama e la riconoscibilità, prima come articolista, poi come narratrice. Quando giunge a New York, Willa non è nuova al mondo del giornalismo. A Pittsburgh, dopo la laurea, aveva già lavorato come editor al magazine The Home Monthly. Nella Grande Mela lega il suo nome a quello del McClure’s Magazine, un periodico che pubblica, tra gli altri, Kipling, London, Twain e Stevenson, ricoprendo col tempo un ruolo centrale in redazione. Tuttavia, Willa non è soddisfatta. Questa insoddisfazione la induce a lasciare il lavoro in redazione per dedicarsi in toto alla narrativa. Ha già scritto La ragazza boema, uno dei racconti che Passigli editore (traduzione di Federico Mazzocchi) ha inserito nella raccolta La ragazza boema, quattro racconti. Siamo nel 1912 e il personaggio di Clara Vavrika dà scandalo pronunciando la sua sentenza sul matrimonio:
“Vedi, ti prendono di mira, Nils; voglio dire, se sei una donna.
Dicono che cominci a deperire. È questo che ci spinge a sposarci; non sopportiamo le risatine”.
Il cinismo e la sfrontatezza di questa frase fanno il paio con i sensi di colpa che affollano l’animo di Clara e di ogni donna occidentale. Clara ha amato profondamente Nils, un uomo che le ha spezzato il cuore. Si rivedono, lui è un viaggiatore senza radici, lei una moglie e una donna intiepidita dagli eventi, non più la ragazza indomita di una volta. I dissidi interiori di Clara sono quelli che racconterà tra gli anni Quaranta e Cinquanta Alba de Céspedes (Dalla parte di lei, Il quaderno proibito, ecc.), aprendo la strada al dibattito femminista e puntando l’attenzione su ciò che si agita nel cuore delle donne che fin da bambine sono bombardate dall’urgenza di trovarsi un marito. Lo dirà anche Jean Rhys, nella sua autobiografia, Smile please (Sellerio, traduzione di Anna Maria Torriglia):
A quell’epoca si supponeva che una ragazza dovesse sposarsi, era la sua missione nella vita, ed era una fallita se non lo faceva. Era una cosa terribile diventare una vecchia signorina sullo scaffale, come la definivano. Il fatto che io conoscessi parecchie donne nubili che sembravano completamente felici, in realtà più felici e allegre delle donne sposate, non metteva assolutamente in dubbio questa supposizione.
Il Pulitzer arriva in seguito e con altri registri. Ad aggiudicarsi il premio è Uno dei nostri, il romanzo che mira al cuore di un’America ormai incapace di sognare, distrutta dalla guerra. Lo sguardo è quello di Claude Wheeler, un arruolato volontario deluso da sé stesso e dal circostante. Nel 1923 viene pubblicato Una signora perduta (Adelphi editore, traduzione di Eva Kampmann), romanzo breve di neanche centocinquanta pagine. La signora in questione è Marian Forrester, altro personaggio destinato a riecheggiare nell’immaginario dei lettori. Bellezza intensa e naturale, Marian è un’amante della vita. Fa parte di una classe sociale agiata, che, partita alla conquista del West, vi ha poi radicato la sua opulenza. Il capitano Forrester, suo marito, è un proprietario terriero, ex pioniere. Intorno ai due e alla loro tenuta, cresce una generazione di futuri professionisti, a tratti spietata, scettica verso un sogno americano nel quale non si riconosce. Mentre tutto cambia, non per forza in meglio, risucchiando i simboli di un’era passata, l’unica a non mutare di una virgola è Mrs Forrester. Non è in grado di rinunciare agli agi, alle feste, alle frequentazioni mondane. Ravvivare i salotti e rianimare gli spiriti di uomini annoiati la tiene in vita. A differenza del consorte e di tanti amici che periscono sotto il peso della tristezza, Marian Forrester, dopo un momento di sbandamento, ritrova il guizzo per vivere alla sua maniera. Niel Pommeroy, devoto alla grazia di Mrs Forrester fin da bambino - l’unico che con gli anni sarà in grado di parlare e di raccontare di lei - la tiene d’occhio. Mrs Forrester brilla solo nella ricchezza: disposta a fermare il tempo per non soccombere, riemerge dalle ceneri per restare uguale a se stessa, in mezzo a un mucchio di fantasmi. Marian tenta di trattenere l’incanto, di opporsi al deterioramento, all’alterazione. Non vi si oppone, arrendendosi alla malattia e alla grandezza di certi eventi, Myra Driscoll, protagonista de Il mio nemico mortale, altro romanzo breve (Adelphi, traduzione di Monica Pareschi), apparso per la prima volta in America nel 1926. Myra è una donna chiacchierata: da ragazza è scappata con un uomo, rinunciando a un’eredità sostanziosa. La sua altezzosità e il suo buon gusto appaiono fenomenali agli occhi di Nellie, la ragazzina, voce narrante, che incontra Myra a New York, dove va in vacanza insieme a sua zia Lydia. Nellie ritroverà Myra quando niente assomiglierà ai fasti di un tempo, neanche loro due.
L’espediente di affidare a personaggi giovani la focale su protagoniste attempate, espressione di un’epoca al tramonto, sintetizza bene il punto di osservazione della scrittrice. A New York non è inusuale incontrarla tra Park Avenue e Washington Square Park. Vive con Edith Lewis, giornalista ed autrice del memoir Willa Cather Living, che ci risulta non tradotto in Italia. La sua identità sessuale è oggetto di maldicenze e le sue scelte sono antesignane di un senso comune di modernità, ancora inaccessibile. Willa ed Edith viaggiano molto, arrivano in Francia e in Inghilterra, paesi molto presenti nel racconto La bellezza di un tempo, pubblicato postumo e proposto da Sellerio nella raccolta La bellezza di un tempo e altri racconti (traduzione di Domenico Scarpa).
Il personaggio di Gabrielle Longstreet polarizza tutti i temi cari dalla Cather: la celebrazione del bello, la malinconia che si cristallizza nello sguardo di un vecchio amico di Gabrielle, Seabury, al quale l’autrice fa pronunciare questa frase: “È così triste quando queste donne bellissime invecchiano, non è vero? E del resto, non ce ne sono mai troppe in circolazione”. Willa Cather è alla ricerca dell’imperituro, ma più lo cerca, più si accorge che nulla sfugge al cambiamento. L’esitare sui particolari degli ambienti esterni per poi concentrarsi sullo stato d’animo dei personaggi è un espediente per ricreare specularità. Il suo è un realismo onirico, ancora lontano dal disincanto del modernismo americano. La celebrazione della bellezza femminile le ha fornito il pretesto per sondare anche l’emotività delle sue eroine, amate o detestate, a seconda dei casi. Leggere la Cather vuol dire immergersi in un mondo che non esiste più, fatto di party, di salotti animati e baciamano. Ma vuol dire anche stupirsi di una modernità di fondo, che rende questa autrice affascinante e in qualche modo avanguardista.