Titolo: Infami
Autore:Luis Reynaldo Pérez
Editore: Edizioni Arcoiris Traduzione: Barbara Flak Stizzoli
pp. 100 Euro 10,00
di Emanuela Lancianese
Infami, di Luis Reynaldo Pérez, poeta dominicano, qui al suo primo lavoro come narratore, è una raccolta di quindici racconti brevi posti a spirale, come una scala del Borromini, sui gradini e colonne dell’hard boiled che, procedendo, si assottigliano man mano che la trama cerca di districarsi tra atmosfere ipnotiche e delitti degni di un True Detective caraibico, fatto di protagonisti disperati più che cattivi; il tutto accompagnato da bizzarri inneschi narrativi che non sfigurano in questo trompe-l'œil visivo in chiave latina, con impercettibili tocchi di un realismo magico vissuto alla David Linch (stesso pastiche di temi e forme del film Emilia Perez, per chi lo ha visto e ne ha goduto, dove si accenna a un capo dalla fluida identità sessuale che si appresta a un ballo e donne dal cappuccio rosso che possono uccidere per difendersi).
I personaggi, apparentemente gli stessi, ritornano, a volte come allucinazioni ed evocazioni, come nominati di sfuggita. Torna Lo Squalo, Carlitos Scotch, che si chiama così perché lascia un segno della croce con lo scotch sulla fronte delle vittime, torna un veleno che tutti chiamano Il Fantasma, tornano le bande e i modi di uccidere e di far sparire i cadaveri. Torna il ritmo della bachata, colonna sonora degli atti di bassa macelleria compiuti da sicari e assassini, a gareggiare, quanto ad atmosfera gangster, con le canzoni neomelodiche delle cosche di Gomorra.
Tutti gli uomini di questi racconti non toccano terra, come fantasmi sono bloccati in un cortocircuito omicida, senza futuro e solo piccole schegge di passato che rivivono come un tormento. L’unico antidoto arriva sotto forma di una donna o di un bambino che, fuggendo, rompe il sortilegio malefico, apre gli occhi per portare ad una fine cercata, ad una liberazione.
Quindici racconti che, come sottolinea la scrittrice Silvia Tebaldi nell’introduzione, curata e tradotta da Barbara Flak Stizzoli: «disegnano una cartografia dell’infamia a Santo Domingo, bar notturni e bordelli, narcotrafficanti e sicari, criminali plebei e criminali insospettabili nelle alte cariche. Leggendo Infami sembra che tutti i suoi racconti gravitino attorno a “Squalo”, un racconto-cornice di grande forza tragica che tiene assieme Borges, l’epica della mala, il lavoro del giornalista e dunque la forza – e dunque il mortale pericolo – di una voce che racconta e denuncia».
L’effetto straniante delle storie sul male caraibico è dato anche dall’alternarsi di parti in prima persona in cui il narratore sta fuggendo, o attende il suo destino, o ci parla da oltre la morte e parti con una voce narrante esterna al racconto. L’essenza della storia raccolta nella citazione di una frase di Edmund Burke, preposta all’incipit di Squalo: «L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che gli uomini buoni non facciano nulla».
Storia di una esecuzione raccontata come da lontano, da dietro un vetro sporco oltre il quale un uomo si sta scavando la fossa, nel primo racconto Cartoline dell’ultimo istante, storia raccontata in seconda persona nel racconto Croci:
“Hai tatuate trecento croci, una per ognuno di quelli che hai ucciso con le tue mani. Ma se ti fossi fatto un tatuaggio per ogni crimine che hai deciso, ci vorrebbero i corpi di due o tre uomini di corporatura normale per dare spazio alla memoria di ogni morto”.
Storia raccontata in prima persona direttamente dal cadavere come in Ragnatela.
“Sconosciuto». È questo che dice l’etichetta che pende dall’alluce del mio piede sinistro”.
A uccidere sono pure sicari di un Governo corrotto oppure assassini che hanno già fatto un errore e per questo non possono permettersi di sbagliare ancora:
“Click, click! È l’unico suono che sento mentre premo il grilletto, solo per rendermi conto che il caricatore era inserito male. Il semaforo diventa verde. L’autista accelera e si perde nella notte”.
Assassini con la giusta dose di amaro in bocca, se a morire sono persone che in fondo gli tengono compagnia nell’eterna solitudine cui si vota chi si dà al crimine, fosse pure il conduttore del programma radiofonico preferito, per dire. Come in Nulla sarà come prima.
“All’ora stabilita uscimmo per eseguire il mandato. Arrivati alla porta, mi accorsi di aver dimenticato il cappello e tornai a prenderlo. Sul tavolo c’era la radio della Cuaba. E allora capii che, da quella
notte in poi, nulla sarebbe stato più come prima”.
Parricidi che del padre intendono abbattere la ferocia ma soprattutto un certo sguardo coloniale sul mondo che è l’origine niente affatto velata del male presente. Come ricorda il protagonista di Remington 1875.
“Nonostante fosse il capo di un cartello che risolveva tutto con la violenza, mio padre era un uomo di pace, preferiva risolvere le cose con le buone. Questo non gli impediva, però, di ordinare la distruzione di un intero villaggio quando necessario. Dopotutto, seguiva la massima del fare la guerra per evitare la guerra”.
Certo è che Santo Domingo sembra un paradiso dove siede il demonio, un luogo che la scrittura di Pérez rende plasticamente infernale con una scrittura asciutta e potente: «Una scrittura non espressamente di denuncia ma la cui forza, la cui responsabilità narrativa apre alla discussione, alla critica dei contesti politici e sociali, delle dicotomie colpevole/vittima, della storia maggiore – che si pone, dunque, a credito di futuro». Una dichiarazione di Silvia Tebaldi che il lettore sottoscrive.