di Fabrizia Gagliardi
Leggere e scrivere di racconti sono pratiche che accumulano un bagaglio di domande primordiali, quasi infantili. Perché leggere racconti? Perché, a volte, assistiamo a schieramenti nettamente opposti tra la fascinazione e l’indifferenza per la narrazione breve?
Si tratta di interrogativi che sfumano i confini dello spazio tra critica e soggettività, le cui risposte si schierano a favore di una brevità come limite e stimolo per la creatività dell’autore; il modo più immediato per registrare i cambiamenti, molto vicino a come vengono vissuti nella realtà (il qui e ora dei personaggi); la cura fotografica dei dettagli o l’omissione dal carattere epifanico.
È il terreno ideale per la sperimentazione linguistica e ritmica, per ibridare generi e stili, e per lasciare una sensazione di libertà equamente spartita tra autore e lettore: da una parte, una libertà obbligata nel dosare i particolari, passare sopra la definizione netta della parabola esistenziale del personaggio; dall’altra pensare a personali sviluppi e appropriarsi di aspetti sempre nuovi a ogni rilettura.
Temevo dicessi l’amore di Mattia Grigolo, pubblicato da Terrarossa edizioni, riesce a rispettare tale promessa. L’autore ha alle spalle un fruttuoso apprendistato su riviste letterarie e, dopo aver esordito con La raggia (Pidgin edizioni, 2022), raccoglie le tracce della palestra della forma breve, edite e inedite, per riunirle in un’unica raccolta, con effetto che ne moltiplica la cura e le influenze.
Le «cinque storie racchiuse in quattordici racconti» ricostruiscono le diverse fasi dell’esistenza, un processo di crescita dall’infanzia alla vecchiaia, di Ofelia. Ogni racconto potrebbe esistere singolarmente grazie all’adozione di voci e prospettive differenti che s’incontrano e si amalgamano per restituire il significato dell’amore, o della fine dell’amore, della solitudine, del cambiamento, dell’annientamento dell’individuo tra nascita e morte.
La lettura scivola velocemente in una staffetta di emozioni che chiedono attenzione, rapporti umani alla ricerca di vicinanza, strade intraprese senza la consapevolezza della loro definizione. Ofelia affida a chi le sta accanto la propria noncuranza, ama, ferisce, usa per ricucire ferite o per percorrere cicatrici mai risolte.
In Inseparabili la voce narrante appartiene alla sorella di Ofelia che ricorda con tenerezza la loro infanzia, ma rimane delusa quando troverà una casa vuota e abbandonata dopo la partenza improvvisa. In Ecco qualcosa di riduttivo una Ofelia ormai quarantenne inizierà una relazione con Maddalena, condividerà con lei la passione per il lavoro di scultrice di cavalli per caroselli, ma ci sarà sempre uno scoglio oscuro e insormontabile, il tipo di muro di chi è ammutolito dalla propria solitudine.
«Perché i cavalli?» Chiede Maddalena.
«La domanda giusta credo sia: “Perché i cavalli da carosello?”.»
«Ok.»
«Guardali. Sono sempre al galoppo ma in realtà sono immobili, non vanno da nessuna parte, non possono. Gli si crea un’illusione di correre facendoli girare intorno a una pedana, cavalcati da bambini. Girano all’infinito senza mai muoversi. Non ho mai visto niente di più rassegnato e inconsapevole.»
«Sono come te?»
«No, io posso andare dove voglio. Loro no.»
Maddalena si avvicina di un passo. Si spostano dalle ombre e con le ombre gli equilibri.
«Loro sono delle cose, Ofelia. Cose che non decidono.»
«Noi decidiamo? Possiamo davvero farlo? Allora questi cavalli sono meglio di me,
perché non riescono a sbagliare.»
La brevità e la semplicità delle storie fanno intuire un lavoro minuzioso di sottrazione con il risultato di una scrittura diretta che gioca molto sulla forma del dialogo. Le battute che si rintracciano nella narrazione non danno l’impressione di chiarire la comunicazione, ma amplificano il senso del non detto con l’effetto di cerchi concentrici che espandono le incomprensioni. I flashback aiuteranno a costruire il contesto di alcuni dettagli fino a comporre un puzzle di vicende sempre più variegato, ma mai chiarificatore.
L’eco dell’influenza delle short stories americane si percepisce forte e chiaro e lo si rintraccia nei dialoghi che aspirano all’incisività di Lorrie Moore; nel dolore e nella memoria del trauma come momenti irrimediabili che ricordano le storie disgraziate di Lucia Berlin; nel motivo insistente che resta nella testa dopo Perché non ballate di Raymond Carver.
Eravamo è uno dei racconti più toccanti di Temevo dicessi l’amore: in un crescendo di tensione delinea la vicenda in cui Ofelia, dopo un vuoto che verrà svelato gradualmente, si unisce a un gruppo di aspiranti suicidi legandosi inspiegabilmente a un ragazzo in un rapporto contraddittorio.
Tornando alla libertà nelle narrazioni brevi, per orientarsi il lettore ha a disposizione diversi tipi di mappe da rintracciare oltre la vicenda intera.
I simboli affidati ai titoli, per esempio, appaiano alternativamente alcuni racconti per comunicarci la memoria indelebile di Chiara (l’infinito, ∞), gli affetti e gli amori tangenti di Ofelia (l’insieme, o il simbolo dell’omega Ω), gli amori tormentati e altrettanto importanti di chi ha amato la protagonista (l’insieme vuoto, Ø), i finali quasi definitivi (†), l’incertezza degli uomini di Ofelia, la paura della perdita e dell’abbandono (il simbolo astronomico della terra, ♁).
Oppure come afferma Joy Williams in riferimento alla presenza di animali nei suoi racconti – in grado di conferire una sorta di benedizione alle vicende umane –, potremo rintracciare tutte le comparse animalesche che Grigolo inserisce nel corso della raccolta. La sensazione è simile a quella di essere al cospetto di costellazioni mute, un oroscopo che non aggiungerà niente agli snodi di trama, ma che completerà la percezione di essere testimoni inconsapevoli della casualità.
Il racconto che chiude la raccolta conclude in bellezza armonica l’operazione dell’autore che è stato in grado di orchestrare esistenze intere, di comporre un corollario di frammenti di vite parziali altrettanto significative, di dosare le emozioni e amplificarle per ricordare che i fantasmi restano e si fanno più vivi quando diventeremo le persone del futuro.