di Fabrizia Gagliardi
C’è un dettaglio segreto nell’addio, una traccia indelebile che lo rende singolare proprio come ogni amore. Nessuno, però, ha mai avuto voglia di scoprirlo soprattutto in un anno in cui un saluto di circostanza è stato l’ultimo oppure si è trascinato per mesi senza la possibilità di risolversi. In realtà siamo avvezzi agli addii molto più spesso di quanto crediamo: ogni cambiamento determina uno spostamento che a sua volta genera onde concentriche di piccoli congedi.
Con I colori dell’addio Bernhard Schlink, pubblicato da Neri Pozza e tradotto da Susanne Kolb, analizza un caleidoscopio di commiati affascinante nella sua complessità. Nei nove racconti il significato dell’addio verrà sradicato dalla sua accezione negativa fino a fluttuare in un campo semantico in grado di contenere l’odio e l’affetto, la nostalgia e l’entusiasmo per il nuovo, un potenziale di dimenticanza che più in là sedimenterà in ricordi indelebili.
Nessun destino o carattere comune legherà i protagonisti della raccolta, eppure tutti percorreranno le fasi del lutto a ritroso. Il tempo di tale processo è dilatato in un dibattito interiore in cui ogni personalità trarrà conclusioni diverse.
Un musicista rivive le memorie di un passato sepolto dopo l’incontro con un grande amore mai vissuto in adolescenza in Triangolo musicale. In Picnic con Anna la vita riservata di un editor viene illuminata dalla possibilità di crescere e insegnare letteratura alla figlia del custode. Sarà solo uno spiraglio luminoso pronto a chiudersi a causa di un tragico evento che farà sprofondare il protagonista in un silenzio perenne.
Come una malattia misteriosa che contagia anche i più tenaci, tutte le voci sono coinvolte nell’arte più seducente della vita: quella di rinarrarsi nei ricordi e di guardarsi ogni volta da una prospettiva che muta con l’età, gli ideali e le idee abbandonate. L’intero processo è fondamentale per alimentare una fantasia o una giustificazione forte come un istinto di sopravvivenza: la difficoltà del ricordo è un meccanismo di difesa quando ci si è macchiati di fallimenti e manchevolezze, oppure quando si realizza che la felicità di quei momenti non potrà più tornare.
Come in Macchie senili dove l’arrivo del settantesimo compleanno porterà con sé consapevolezze riaffiorate dopo l’incontro con l’amante di un tempo:
Per lui era stata felicità pura. E per lei? Forse non si era nemmeno accorto delle sue aspettative. E delle sue delusioni? Lui sapeva che la sua compulsione a soddisfare le aspettative altrui non si fondava sull’altruismo, bensì sull’egoismo - dimostrando così di essere nel giusto. Forse allora, trovandosi al di fuori della sua dimensione quotidiana, professionale e matrimoniale, non aveva dovuto dimostrare niente e, chiuso nel proprio egoismo, era stato libero di passare come un panzer sopra i sentimenti di lei.
Per uno scrittore tedesco come Schlink diverso è anche il caso di addentrarsi nella memoria individuale e collettiva riguardo una verità nascosta, quasi volutamente non vista. Sono questi i casi in cui solo chi è in grado di rivolgersi al passato, senza distogliere lo sguardo, potrà intravedere libertà presenti e future. Lo notiamo in Intelligenza artificiale, la storia che apre la raccolta, in cui il protagonista ha difficoltà col prendere commiato dall’amico scomparso perché la figlia ha deciso di indagare sul loro passato nella DDR.
La traccia indelebile di ogni racconto ha a che fare con la solitudine della memoria in cui la verbalizzazione del pensiero è sgradita, surreale, quasi di cattivo gusto. Ecco perché Schlink popola di silenzi il mondo esteriore dei protagonisti, mentre li anima di monologhi sentiti e incredibilmente introspettivi nel profondo. L’autore sceglie di affinare un sottile chiaroscuro tra l’abilità d’identificare e ritrarre individui perfettamente inseriti nella normalità e l’imprevedibilità di un lavorìo mentale che spinge verso l’ignoto.
Così in Amata figlia il più naturale desiderio di avere figli di una coppia attraverserà una strana peripezia che condurrà al lieto fine; oppure la scoperta della storia extraconiugale della madre insegnerà a un figlio la libertà di conservare parti irrinunciabili di sé ne L’estate sull’isola.
Le voci non hanno niente di straordinario se non il tentativo di commemorare l’unicità di se stesse o degli altri, l’ultimo scampolo della speranza di essere ricordati proprio come si ha cura di ricordare chi o cosa non è più. Una speranza che spesso ha bisogno di attraversare il dolore per muovere passi avanti, perché l’addio e la memoria riguardano il perdono. «Oppure ti sei adagiata nel dolore tanto da non poter più vivere senza?», è la domanda che un’amica rivolge alla voce femminile de Il medaglione, alle prese con l’ultimo saluto a un ex marito in fin di vita che, anni prima, l’ha tradita con una ragazza alla pari.
L’idea dell’addio è equa e democratica, perché implica che la colpa non ricada solo sull’altro ma anche sulle inevitabili aspettative e speranze create da chi deve accettarlo.
Ne è consapevole il protagonista di Anniversario che osserva con fascino e timore la compagna molto più giovane di lui:
La vecchiaia di lui e la giovinezza di lei - se la prima arrivasse a raggiungere la seconda, la avvelenerebbe e basta, c’era solo da sperare che lui, l’uomo anziano, non avrebbe mai raggiunto lei, la donna giovane. Che cosa poteva darle oltre a ciò che, col passare degli anni, la vita le avrebbe dato comunque? Non poteva darle niente, poteva solo toglierle qualcosa.
Vivere nel timore dell’abbandono e non osare sarebbe a sua volta una vigliaccheria ed è in momenti come questi che scatta il passaggio da un moto d’egoismo alla liberazione più completa: accettando la possibilità della perdita ogni azione perde il retrogusto della disperazione e si configura come atto d’amore incondizionato.
In un modo o nell’altro la raccolta di Bernhard Schlink è animata da una normalità schiacciante pronta a rivitalizzarsi e ad accettare il cambiamento a proprie spese, dopo il tempo del bilancio.