di Fabrizia Gagliardi
Una letteratura in grado di stare al passo coi tempi sublimandone continuamente il significato: è il processo che coinvolge da anni la letteratura sudamericana contemporanea. A volerla immaginare non esiteremmo a scegliere un fiume che riserva a ogni ostacolo del percorso, tronco d’albero o roccia che sia, un’erosione mai uguale a se stessa. Il fiume rappresenterebbe una terra come l’Argentina, gli ostacoli sarebbero il procedere della storia attraversata da profondi cambiamenti politici, uno stato di povertà che coinvolge un terzo della popolazione e un equilibrio sociale costantemente a rischio. A farsene carico, in modo del tutto inedito, sarebbero correnti differenti: lo stile degli autori argentini come Samanta Schweblin, Luciano Lamberti, Mariana Enríquez, Marcelo Cohen che stanno raccontando il mutamento. Ognuno di loro, in maniera del tutto inedita, ha raggiunto la libertà stilistica per rappresentare con tinte surreali e a tratti gotiche sia l’esperienza collettiva della crisi, sia la solitudine della vita umana.
In caso di penuria, c’è sempre qualcuno che offre per poi ricevere quando non ha. Ma persino questa solidarietà ha un sapore rancido, la gente regala cibo come se se lo togliesse di bocca. E quelli che non ne hanno lo ricevono senza averlo chiesto, quasi come una zavorra.
Anche Il posto dove muoiono gli uccelli di Tomás Downey e tradotto da Olga Alessandra Barbato, entra a far parte del catalogo Gran vía e aggiunge un tassello distintivo alla letteratura sudamericana.
Ogni storia è percorsa dallo strano e dall’inquietudine che non fanno immediatamente identificare il genere di appartenenza. Non che questo costituisca la priorità della lettura, ma l’azzardo di una narrazione dai contorni sfuocati fa sì che l’effetto corale componga uno stato d’animo che si muove tra la curiosità del fantastico e l’intuizione del perturbante. Lo si nota in racconti come Sorelle in cui il gioco di tre bambine apparirà gradualmente come un rito magico volto a eliminare il padre.
Nel racconto che dà il titolo alla raccolta sono ancora una volta i bambini a nascondere, dietro l’innocenza del divertimento e un ambiente famigliare problematico, un baratro di orrore.
Tomás Downey si serve di uno stile essenziale ripulito da ogni metafora: un inno alla semplicità della frase e alla priorità della sequenza immaginifica e narrativa. Ai racconti che hanno come protagonisti i bambini si affiancano altre dinamiche dell’umano che interessano fasi della vita individuale e collettiva. La morte aleggia nel comportamento spavaldo di un anziano che mostra per la prima volta la vulnerabilità al nipote ne Il primo sabato del mese; la perdita insegue una vedova di guerra facendole rivivere per un tempo indefinito la notizia della morte del compagno nel racconto Gli uomini vanno in guerra; ne La pelle sensibile la presenza taciturna del defunto ragazzo accompagna la vita privata di una donna. Neanche la coppia e la famiglia si salvano completamente nella visione di Downey: l’unità familiare e il sentimento amoroso non arriveranno mai a comporre un quadro unitario perché saranno frammentati da individui che scavano sempre di più nella solitudine in maniera ossessiva. Lo leggiamo in Variabili, uno dei migliori racconti della raccolta, dove una donna impegnata in calcoli statistici tenderà a dedicarsi al lavoro e non più alla cura personale e del suo bambino.
Il primo non l’abbiamo seppellito molto in profondità. Pochi giorni dopo siamo tornate e aveva mezzo corpo fuori; pieno di formiche che gli camminavano sulle piume, tutto gonfio. Lo abbiamo annusato e ci è venuto da vomitare. La pala era lì, nella casa abbandonata. Ora le buche le faccio io. Castro non ci riesce. Nel posto dove muoiono gli uccelli ci sono più alberi che nel resto del bosco, i rami si aggrovigliano e il cielo quasi non si vede.
Nessun elemento soprannaturale è necessario a creare la tensione straniante che soggiace alle storie. Al mondo di Downey bastano atmosfere claustrofobiche e universi alternativi prodotti dalla più profonda normalità della quotidianità. Cogliere il momento in cui il sovvertimento diventa la norma, lascia al lettore la libertà d'interpretazione e un immaginario che non costituisce mai la fine della storia. A quel punto sarà difficile discernere con certezza il bene e il male: questo è l'incantesimo di Thomas Downey.