Questo articolo è comparso il 19/08/2019 nel blog di Gianni Montieri di HuffPost, che ringraziamo per la concessione.
di Gianni Montieri
Ci sono bivi fondamentali nelle nostre vite. Solo che capitano in giorni qualunque, quando siamo raffreddati o cerchiamo di distrarci seguendo un corso per subacquei; voglio dire, sarebbe diverso se la cosa fosse ufficiale, se venisse a suonarci a casa un ambasciatore dicendo: “oggi lei è a un bivio cruciale”, o se i giornali contenessero un’apposita rubrica dove ogni giorno vengono elencate le persone chiamate ad assumere decisioni vitali.
Si eviterebbero tentennamenti, logoramenti.
“Storia ragionata della sartoria americana nel secondo dopoguerra″ (Autori riuniti, 2019) è il piccolo gioiello scritto da Stefano Domenichini, al suo interno di storie ne contiene tre, una più bella e divertente dell’altra, ma andiamo per ordine.
Domenichini è uno scrittore bravo e originale, scrive però molto poco secondo me, i lettori di racconti lo ricorderanno per lo stupendo ”Acquaragia” (Perdisa Pop, 2010), ha uno stile che si muove tra il surreale e il comico, naviga sempre sulla soglia del dramma, ma lo fa entrare nelle storie dopo averlo ripulito, o meglio dopo averlo rivestito di una grottesca timidezza. Non fa altro che prendere il vero che c’è, la famosa realtà e la riveste di fantasia.
Domenichini la realtà la reinventa, rendendola più semplice da gestire e da mostrare, ovvero la dice per quello che è, una cosuccia quasi sempre ridicola, perché così siamo noi che la attraversiamo, credendo di determinarla: un po’ ridicoli, vagamente imbranati, molto spesso imbarazzanti.
Il Sarto era nato a Kovel’ nel 1905. Kovel’ sta in una provincia dell’Ucraina chiamata l’Oblast di Volinia. Nel 1873 costruirono una linea ferroviaria che collegava Kovel’ con le città di Brest-Litovsk e Rivne. L’intero paese si ubriacò, per tre giorni festeggiarono come pazzi. Poi quando si ripresero, cominciarono a domandarsi: ma noi che cazzo ci andiamo a fare a Brest-Litovsk?
L’inutilità della Torino – Lione spiegata bene, viene da pensare, ma è un pensiero laterale, la storia dello scrittore di Reggio Emilia dice altro.
La vita di un sarto d’origine ebraica, nato in Ucraina incrocerà per un brevissimo istante quella di John Kennedy, precisamente gli ultimi minuti di vita del presidente. Domenichini lascia quell’avvenimento a margine e inventa la vita di un sarto, con le scelte condizionate per molto tempo dalla religione e dalla madre, la storia del suo lavoro a New York, il primo grande amore sfiorato e perduto, la moglie scelta dalla madre, un altro grande amore sottrattogli dalla Cia, il trasferimento a Dallas, un nuovo socio, il successo nel suo mestiere, oggi lo chiameremmo stilista, l’invaghimento per una collaboratrice, con il nostro sarto che si trattiene, la pensa ma la tiene distante, lei si chiama Marilyn, non a caso o per caso, ma a chi importa?
Importa il modo in cui Domenichini inventa una vita, delle vite, racconta un po’ di storia d’America, e quindi del mondo, ci fa sorridere e riflettere. Osserviamo con lui un uomo che non sceglie mai veramente, non sceglie nemmeno di comprare la telecamera, che comprerà. La telecamera che gli cambierà la vita, un giorno del novembre del 1963.
”Prendi per esempio il lanciatore di coltelli,” dice l’ottico Salvatore, “è uno di cui le donne si fidano, eppure lui conosce solo il loro contorno”.
La seconda si intitola ”Storia ragionata delle lenti a contatto”una vicenda più intima, se vogliamo, ma vicina a noi così come quella del sarto. Si leggerà il funzionamento delle lenti a contatto e si leggerà il funzionamento dell’animo umano, di come agiamo nei pressi del panico, di come stiamo seduti accanto alla solitudine. Vedere bene, naturalmente, non vuol dire vederci benissimo. L’uomo delle lenti a contatto, così come fanno in molti, si affida agli ottici e agli oculisti con frequenza inversamente proporzionale al reale bisogno. Andiamo spesso dai medici quando siamo ansiosi, quando altre paure ci accompagnano, quando ci sentiamo soli. L’uomo delle lenti a contatto troverà un degno compagno di solitudine nell’oculista che lo salva, ma lo salva davvero? E chi salva l’oculista?
Un uomo tornò in albergo in uno stato di euforia adolescenziale. Aveva visto Tronchetti Provera. Da quella notte il mondo non fu più lo stesso.
L’uomo si chiama Ravaioli e la sua vita attraversa il terzo racconto del libro ”Storia ragionata degli anni Ottanta”.Qui Domenichini ci mostra il nostro Paese – ridicolo più che mai – i suoi cambiamenti recenti, la corsa verso la ricchezza, la facilità delle cose, la superficialità, la vacuità, il famoso edonismo, il pressapochismo, il populismo (che non ci ha mai più abbandonati). Ravaioli è un personaggio fantastico fin dal nome, dipinto benissimo, così vicino da metterci un po’ di paura, ci guardiamo allo specchio sperando di non somigliargli.
Tre racconti densi di fantasia, di ragionamenti, di riflessioni, scritti bene, senza paura di sfuggire al periodo lungo, alle subordinate. Domenichini – quando scrive - è ingenuo come un bambino e saggio come il migliore dei nonni. I suoi racconti rimandano al buon tempo che si passa nei libri di Ugo Cornia e in quelli di Paolo Nori. Sono perfetti per l’estate ma non ho dubbi sul fatto che vadano bene anche per l’inverno.