Le formiche filosofiche di Lafcadio Hearn

Exorma edizioniA cura di Alessandra Contentipp. 168  Euro 14,50

Exorma edizioni
A cura di Alessandra Contenti
pp. 168  Euro 14,50

 

di Giuliana Riccio

È difficile entrare in una libreria giapponese e non imbattersi nel nome di Lafcadio Hearn. Le sue raccolte di storie di spettri e cose strane, offrono agli amanti delle tradizioni popolari, la possibilità di sviscerare il mistico mondo della cultura giapponese e di pacificare quel senso di inadeguatezza che il visitatore occidentale prova e che comunemente risolve con l’utilizzo della parola “contraddizione”.                                 
La parola Giappone è spesso, se non sempre, accompagnata da uno strascico di immagini volte a sottolineare le dicotomie che lo contraddistinguono: templi e grattacieli, kimoni e cellulari, materialismo  e spiritualità. In realtà trovando il giusto modo di familiarizzare con una realtà così profondamente inversa rispetto alla nostra, ci si potrebbe facilmente accoccolare al suo interno per ascoltarne l’armonia.                         
Leggere i libri di Lafcadio Hearn, per esempio, potrebbe essere un giusto modo.  

Hearn, trapiantatosi a quarant’anni in Giappone, dedicò la sua vocazione letteraria di fine ‘800, alla raccolta di storie, immagini, spettri, oggetti, modi di essere dell’epoca Meiji e lo fece con un  profondo approccio antropologico, privo di scetticismo e intriso di rispetto, sostenuto, in questo, dalla sua natura bifronte: era infatti di padre irlandese e madre greca e quando ci si arrischia a parlare di spiriti e spiritualità panteistica, una cosa così, non può che essere d’aiuto.
Nel libro Le farfalle danzano e le formiche si ingegnano, proposto da Exòrma all’interno della collana Scritti traversi, l’occhio di Hearn si sofferma sul mondo degli insetti, un tema molto caro alla cultura nipponica, assumendo il ruolo di un microscopio speciale in grado di superare l’aspetto entomologico della questione e di mettere in luce la natura simbolica ed epicamente essenziale di questi esseri.

(…) Ma il mondo degli insetti è nel suo insieme, tutto sommato, un mondo di folletti e di fate: di creature con organi dei quali non conosciamo la funzione e sensi di cui non riusciamo a immaginare la natura – creature con miriadi di occhi, o con gli occhi sulla schiena, o che si muovono in cima a proboscidi e corna – creature con le orecchie sulle gambe o sulla pancia, o col cervello nello stomaco! Se capita che qualcuna abbia la voce fuori del corpo, anziché dentro, è un fatto che non dovrebbe sorprendere.

I saggi che Hearn dedicò a questo argomento, e qui raccolti, costruiscono il romanzo degli insetti nell’immaginario collettivo giapponese attraverso numerosissimi frame narrativi  in grado di tessere una  trama nitida e precisa in cui l’alternanza di prosa e poesia, in special modo di haiku, consente al lettore di fissare, cristallizzare l’essenza nostalgica che la caducità, la fragilità, ma anche la straordinaria potenza, come nel caso delle formiche, la figura dell’insetto, porta dentro di sé. Il battito d’ali di una farfalla ci ricorda, con la sua leggerezza, tutta la complessità dello scorrere del tempo, delle mutazioni e trasformazioni insite nell’idea stessa di vita. La farfalla è lo spirito di una persona defunta, il presagio di una sciagura, ma anche  la speranza di una vita lieta e serena. La farfalla è la leggerezza irridente della gioventù, della primavera destinata, tuttavia, a svanire nell’inverno :

“E però la stagione della fioritura, per quanto opulenta e mirabile, è assai breve; presto quei fiori appassiranno e cadranno. Nella calura estiva resteranno solo le foglie, e subito dopo, col vento e le piogge d’autunno, cadranno a terra; un ben triste destino, il vostro; recita un proverbio: ‘Ho cercato riparo sotto un albero, ma la pioggia mi bagna ancora’”.

Splendida la dissertazione dedicata alle formiche intrisa di osservazioni personali dell’autore e di pillole di scienza e di filosofia.  Lo sguardo di Hearn si miniaturizza per  farci osservare da vicino il poco noto mondo delle formiche, della loro società organizzata in cui i principi del comunismo, utopici per l’umanità che resta vincolata all’egoismo individuale, si realizzano perfettamente in un universo composito governato dalla forza operaia delle femmine.

“Dunque, cerchiamo di immaginare un mondo pieno di individui che lavorano incessantemente e alacremente – nel quale tutti sembrerebbero essere femmine. Nessuna può essere persuasa, o costretta, a mangiare una briciola di cibo in più di quanto non le occorra per mantenersi in forze; e nessuna di esse dorme un secondo di più di quanto le sia necessario per mantenere un sistema nervoso intatto e funzionante. Tutte sono costruite in modo tale che la minima indulgenza nel superfluo porterebbe a un disastro totale delle loro funzioni.”

In Lucciole le fascinazioni culturali diventano più esplicite. Veniamo introdotti in consuetudini specifiche, come quelle dei trafficanti d’insetti di Tokyo:

(…) Subito dopo il tramonto, il cacciatore di lucciole esce con una lunga canna di bambù in spalla, e una lunga rete scura avvolta, a mo’ di cintura, attorno ai fianchi. Una volta arrivato in un luogo boscoso, frequentato dalle lucciole – solitamente un punto dove crescono i salici, sulla riva di un fiume, o di un lago – si ferma e comincia a osservare gli alberi. Appena questi cominciano a luccicare in maniera soddisfacente, prepara le reti, si avvicina all’albero più luminoso e ne scuote i rami con la canna più lunga. Le lucciole, colte di sorpresa, non volano via immediatamente, come farebbero insetti più dinamici nelle stesse circostanze, ma invece, come gli scarabei, si lasciano cadere al suolo, dove la loro luce – come sempre più vivida al momento della paura o del dolore – le rende ben visibili (…) Così agisce il cercatore di lucciole fino alle due circa del mattino  – l’antica ora giapponese dei fantasmi in cui gli insetti cominciano ad abbandonare gli alberi per cercare il suolo rugiadoso.
Si dice che nascondano la coda, per restare invisibili. (…)

Vediamo  gruppi di bambini correre per le campagne estive, alla ricerca di questi insetti. Riusciamo persino ad immaginare il suono dei loro zoccoli nel silenzio delle notti senza luna e l’eccitamento di questa caccia ai fantasmi unica nel suo genere.

“Quella che appare come una lucciola, infatti, potrebbe essere uno spirito maligno, o un fuoco magico, acceso per attirare i viandanti. E perfino le lucciole vere non sono sempre affidabili – la stranezza delle loro parentele si può dedurre dal loro amore per i salici. Altri alberi hanno il proprio spirito particolare, buono o cattivo, amadriade o folletto; ma il salice è in special modo l’albero dei morti – quello preferito dai fantasmi delle persone. Qualsiasi lucciola potrebbe essere un fantasma – chi può dirlo?”

Anche nelle successive sezioni dedicate alle libellule, alle cicale e agli altri insetti musicali, la scrittura procede così, per incanti e precisazioni.
Quelle che potrebbero sembrare solo descrizioni di  costumi, di usanze folcloristiche diventano dei veri e propri racconti intrisi di immagini, fuochi fatui non solo suggestivi, ma in grado, di per sé, di sorreggere la volontà narrante dell’autore. Lafcadio Hearn, oggi, ci ricorda che i tempi della netta divisione di generi, le barriere tra prose saggistiche e prose narrative, possono considerarsi superate, laddove la forza espressiva dell’autore è impegnata a garantire una successione di fatti che di per sé costruisce un epico castello emotivo, sensoriale, sottilmente dialogante con quell’insita sete di storie che è presente in ciascun lettore.

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