di Alfredo Zucchi
Orazio Labbate è uno studioso del genere gotico: numerosi sono i suoi articoli di approfondimento, apparsi su svariate riviste letterarie negli ultimi anni; il suo stesso romanzo d’esordio, Lo scuru (Tunué, 2014), presenta originali tratti d’unione tra i codici propri del gotico e un elemento locale e identitario: la lingua siciliana, la sua letteratura e le sue figure ancestrali.
Se in Lo scuru Labbate riesce, attraverso un’adesione forte della lingua all’oggetto narrativo, a innovare il genere, trovando una cifra personale proprio attraverso le distorsioni e le impennate della lingua, nella raccolta di racconti Stelle ossee (Liberaria, 2017), l’autore sembra invece mimare stilemi già codificati. Il risultato è ambivalente: le immagini e i simboli ossianici, ripetuti fino all’ossessione, finiscono per perdere quella forza straniante, tenebrosa da cui sono venuti fuori. È invece in racconti come “Lavanderia slava”, in cui l’autore abbandona “il catalogo delle navi gotiche” (il cimitero, le candele, le bare, Lucifero e le anime in pena) per lanciarsi a capofitto nella narrazione, dove la sua cifra viene fuori: il lettore qui non è preso per mano nell’esegesi delle figure del paranormale, ma confrontato a continui ribaltamenti. Il cuore del gotico è una relazione intima dell’aldiqua con l’aldilà:
“Un fiumiciattolo di sangue macchiò la maglietta. Il cielo ruttava stelle, ed io lo sapevo senza sollevare la testa. Io lo sapevo perché il sangue sulla mia maglietta bianca me lo mostrava. Astri nel sangue, sangue negli astri.” (Lavanderia slava)
Il lavoro di Labbate sulla lingua resta uno dei punti forti del libro – per quanto appaiano, di tanto in tanto, costruzioni sintattiche più incompresibili che stranianti. Nei loro momenti migliori, i racconti di Stelle osseeriescono a tirare fuori epifanie potenti da elementi narrativi minimi (una ferita, un rumore, il riflesso di una lampada, la camicia di una donna):
“Al piano di sotto stanno bruciando qualcosa. Piccole grida strozzate salgono dalla parete. Da questa posizione sono verticali [...] Come correnti nella bocca di un annegato.”
(Buio sotto il letto)
Queste epifanie sono l’elemento narrativo più importante: esse legano le due dimensioni (aldiqua e aldilà), o meglio rivelano la loro coappartenenza:
“Di mani nere e cinte annodate le nuvole avevano forma e colore”
(La Madonna verde)
Stelle ossee è una raccolta di racconti interessante, per quanto diseguale – non mancano i picchi, in cui l’estro di Labbate viene fuori senza mediazioni, realizzando in modo efficace e originale quel transfert che è alla base del racconto fantastico (e dunque anche di quello gotico) ; né mancano le cadute, in cui la voce sembra crollare sotto il peso degli stessi stilemi del genere che l’autore ha inteso rinnovare.