Fino all'ultima donnola, di Hiroko Oyamada

Neri Pozza porta in libreria Donnole in soffitta, di Hiroko Oyamada, tradotto dal giapponese da Gianluca Coci.
Con affilata perspicacia emotiva e ironia grottesca, l’autrice si dedica a una riflessione sorprendente su fertilità, maternità e paternità, mascolinità e vita coniugale nel Giappone contemporaneo. Accompagnandosi ad autrici come Sayaka Murata e Mieko Kawakami, Oyamada porta avanti, con la sua lingua «surreale e ipnotica» (The New York Times), l’indagine sull’animo umano astraendosi dalla realtà palpabile. E la verità diventa una vasca piena di pesci tropicali, che inghiottono dubbi, emozioni, certezze.

Cattedrale vi propone l’estratto di uno dei racconti contenuti nel libro, per gentile concessione dell’editore.

Fino all’ultima donnola
di Hiroko Oyamada

Quest’anno non abbiamo trascorso le festività di Capodanno dai genitori di mia moglie. «Non ti preoccupare, va bene così» mi aveva detto lei facendo spallucce. «Ci andrò da sola non appena ne avrò il tempo. Dopotutto non è così lontano». È abituata di tanto in tanto a far visita ai suoi senza di me. E io, da parte mia, non vedo la necessità di incontrare a tutti i costi i miei suoceri e la famiglia di mia cognata. «Ricorderò a mia madre di regalare qualche soldino ai ragazzi anche da parte nostra, come ogni anno» aveva aggiunto. «Sì, certo» le avevo risposto io. Dopo le feste, quando ero già rientrato al lavoro, ho ricevuto una cartolina di auguri dal mio amico Saiki, con l’immagine dell’animale del segno zodiacale cinese di quest’anno stampata sul davanti. Conteneva un breve messaggio, scritto a penna con grafia approssimativa:

Ho traslocato e cambiato indirizzo. Questi ultimi giorni sono stati a dir poco frenetici. A proposito, mi sono sposato… Lei ha trentadue anni.

Era nello stile di Saiki menzionare un dettaglio come l’età. Trentadue: significava che la moglie aveva una decina d’anni meno di lui. A guardare l’indirizzo, si era trasferito a circa un’ora di auto dalla città, ai piedi delle alture del Chūgoku, in un’area rurale dove molti si dedicavano almeno in parte all’agricoltura e all’allevamento. Per lui, sposarsi e andare a stare in un luogo del genere deve essere stato un cambiamento epocale.
Mi è venuto subito spontaneo pensare che meritasse una telefonata.
«Ehi, come va? Che piacere sentirti!» ha risposto quasi urlando, non appena ha riconosciuto la mia voce. «Mi è arrivata da poco la tua cartolina e ho pensato di chiamarti… Congratulazioni, sei un uomo sposato adesso!»
«Sì, è incredibile, ora è tutto diverso. E qui, la casa… non ti dico che casino, abbiamo dovuto fare una ristrutturazione completa, aveva più di cinquant’anni».
Saiki si esprimeva in modo strano, sembrava un po’ alticcio. «Scusa se non mi sono fatto sentire per un bel pezzo e ti ho scritto la notizia in due parole, su quella cartolina. Ti giuro che ero presissimo, non ho avuto un attimo… Ai colleghi di lavoro sono riuscito a dirlo, ma non ho avuto modo di farlo sapere né a te né agli altri amici più stretti… Scusa, scusa». Saiki svolgeva una professione che lo teneva impegnato soprattutto in casa. Parlava come se avesse la lingua impastata, e alle sue spalle si sentiva un gran baccano.
«Ehi, c’è per caso una festa da quelle parti?»
«No, no, è solo che qui siamo in campagna…
La gente ama riunirsi, scambiare due chiacchiere in allegria… Per chi è nato e cresciuto in città è tutto molto strano, io non ci ho ancora fatto l’abitudine. I vicini si fanno vivi quasi tutte le sere e ti invitano a bere insieme… Sembra che non abbiano nient’altro da fare, come se avessero tutti una marea di tempo libero a disposizione. È incredibile, non ci capisco più niente, mi sento perso».
Non ci capisco più niente, mi sento perso… Eppure Saiki pareva decisamente su di giri. Doveva aver bevuto un bel po’.
«Eh, però adesso sei un uomo sposato, tutti vorranno festeggiarti… Sei contento, no? Il matrimonio è un evento lieto».
«Be’, sì. Sposarsi per la prima volta, dopo i quaranta… Non lo so, mi sento anche un po’ strano. In modo positivo, per carità. È tutto così nuovo e diverso… E tu, come te la passi? Tua moglie sta bene?»
«Sì, tutto bene, grazie». In realtà, mia moglie non stava passando un bel periodo: il lavoro era stancante e, soprattutto, si sentiva depressa per via della gravidanza che tardava ad arrivare. «Comunque, festa o non festa, non ti trattengo oltre. Volevo solo salutarti e farti le mie congratulazioni. Ciao, un abbraccio».
Alcune settimane prima, di ritorno a casa dal lavoro, mia moglie mi era venuta incontro sull’uscio quasi di corsa, portando con sé una dolce fragranza di riso appena cotto.
«Ehi, ciao!»
«Ciao…» mi aveva salutato lei, con uno sguardo stranamente serio.
«Tutto bene?» Di riflesso avevo corrugato le sopracciglia, non avendo idea di cosa fosse successo. «Uhm…»
Che aveva? Di solito mia moglie non ama tergiversare, va subito dritta al sodo. Indossava ancora il tailleur da lavoro, perciò doveva essere rientrata anche lei da poco. A ben vedere, stringeva in mano un oggetto tondeggiante, un piccolo recipiente in plastica bianca semitrasparente, forse di quattro o cinque centimetri di diametro. Sembrava uno di quei contenitori muniti di coperchio per creme o unguenti dermatologici.
«Senti, tu… ultimamente… lo stai facendo da solo?»
«Lo sto facendo da solo? Ma di che parli?» avevo ribattuto, fissando mia moglie perplesso.
«Come dire? Quella cosa…» aveva risposto lei senza chiarire nulla, abbassando lo sguardo verso il contenitore di plastica che aveva in mano. Dopodiché aveva disteso le labbra in un vago sorriso e aggiunto: «Insomma… tu ogni tanto, con la mano…» Ero scioccato, mi fissava con un’espressione assurda.
«Con la mano? Ah… mi stai chiedendo se mi tocco da solo?»
«Sì…» aveva annuito lei, finalmente meno tesa.
Ero confuso, non sapevo cosa rispondere. Di colpo avevo sentito le guance avvampare, dovevano essere diventate paonazze.
«No… Da quando ci siamo sposati non l’ho mai fatto».
Era la pura verità. Non sono mica un teenager o un ventenne… A quarant’anni e passa, con una moglie coetanea che tiene sotto stretto controllo calendari, temperatura basale e periodo di ovulazione, masturbarmi è l’ultimo dei miei pensieri. A questa età, credo che neanche Saiki lo faccia più, e parliamo di uno che ha avuto coraggio ed energia sufficienti per sposare una donna di circa dieci anni più giovane. «Ma perché me lo stai chiedendo?»
«No, scusa, non fraintendermi, non ti sto accusando di niente…»
Tutt’a un tratto dal suo volto era svanita ogni traccia di sorriso. Aveva la fronte unta, ma le guance erano ancora bene incipriate. Poi avevo diretto lo sguardo in basso e mi ero accorto che aveva una gamba nuda e l’altra ancora infilata nei collant. Doveva essere davvero impaziente di parlarmi.
«Si può sapere che sta succedendo?»
«Scusa se te lo chiedo, ma…» Ora si esprimeva con maggiore scioltezza, come se avesse messo da parte la timidezza. «Vorrei che tu eiaculassi qui dentro». Intanto aveva sollevato il contenitore di plastica, mostrandomelo.
«Dici sul serio?» avevo replicato, restando a bocca aperta. «Vuoi che faccia un test? Per vedere se…»
«Uhm» aveva risposto mia moglie annuendo, un nuovo accenno di sorriso sulle labbra. «Se riesco a portare il campione alla ginecologa entro le prossime ventiquattr’ore, faranno subito il test. Ci sono passata tornando dall’ufficio…»
Avevo preso in consegna il contenitore, intiepidito dal calore della sua mano, e avevo chiesto: «Vuoi che lo faccia stasera stessa?»
«No, forse è meglio domani mattina, così gli spermatozoi saranno più freschi… Ma se preferisci farlo adesso, va bene».
Ecco perché era così in fervente attesa del mio ritorno. Conservo una discreta virilità, ma non sono più giovane come una volta e non mi si drizza a comando. Forse mia moglie desiderava accertarsi che fossi efficiente e ben disposto. Non potevo darle torto, visto che avevamo sprecato diversi giorni di piena fertilità a causa di mie evidenti défaillance, con somma delusione per entrambi.
«So che ti sto chiedendo molto… Stanotte dormirò di là, va bene? Così per te sarà meno complicato». «Guarda che per me fa lo stesso, non c’è niente di così complicato… Ah-ah-ah!»
Ero scoppiato a ridere da un momento all’altro, con assoluta naturalezza. Non avevo potuto farne a meno, si trattava di una risata vera, genuina. La situazione appariva decisamente bizzarra, e difatti anche mia moglie si era messa a ridere a più non posso. Era passato un secolo dall’ultima volta che avevamo riso così, insieme. Quella sera, prima di rientrare a casa, non avrei mai immaginato che potessimo lasciarci prendere da una tale ilarità.
Poi avevamo cenato e fatto il bagno. E quando mia moglie era pronta per andare a letto, mi aveva detto con un sorriso complice: «Mi raccomando, assicurati di centrare bene il contenitore…» Aveva atteso che annuissi e aveva aggiunto: «Fino all’ultima goccia!»
«Certo, non ti deluderò» avevo risposto scattando sull’attenti.

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