Indubbiamente, ferocemente, orribilmente, di Alberto Laiseca

Prosegue la nostra rassegna Storie senza scadenza, in cui proponiamo racconti, e quindi libri, non più freschi di pubblicazioni, nella assoluta convinzione che i libri non abbiano scadenza e che hanno bisogno di tempi più lenti e duraturi di fruizione, proposta e vita nel sistema editoriale.

Questo venerdì vi proponiamo con Wojtek Editore l’irriverente racconto ‘Indubbiamente, ferocemente, orribilmente’ di Alberto Laiseca, tratto dalla raccolta Grazie Chanchúbelo del 2022 tradotta da Loris Tassi.

Buone letture!


Indubbiamente, ferocemente, orribilmente
di Alberto Laiseca


Essendo venuto a sapere dell’arrogante commento di un
tale, che ha detto del libro di un amico (Violentando Girls
Scouts nella foresta): «Cosa ci possiamo aspettare da uno che
inizia il titolo della sua opera con un gerundio?», e volendo di
conseguenza dedicare, per puro dispotismo, questo mio rac-
conto ai nemici di sempre, ecco a voi non solo, inutile dirlo,
gerundi, ma anche avverbi, frasi germanizzate, virgole prima
del verbo, rime, iati e dissonanze nel più puro e classico stile
roman atonale, aggettivazione eccessiva, ecc. Aggettivando
eccessivamente.

L’autore


Essendo Parruccone iv Benefattore di Bavonia e, giungendo questa alla fine della sua quinta dinastia, decise despota lui di, dar una festicciola da urlo per, rendere omaggio agli ultimi fedeli del suo vacillante regno. Cominciando dalla posizione geografica e politica, un’opera classica molto, questa, essendo. Vivevano sulla cima di una cima. Mi spiego: c’eramente in quelle regioni un’enorme montagna formatasi durante l’Era Azoica, con una crepa sul cocuzzolo. Non era la suddetta, prodotto di attività vulcanica né di altra roba simile. Insomma, una cosa completamente insolita. Ma torniamo al Benefattore Parruccone iv, Padre della Patria Nuova e despota. Nel suo glorioso passato si atteggiava a armigero (aaa) affidandosi per la difesa e l’attacco a uno sparuto manipolo di macchine di ferro arrugginito. E allora furono 3-1-26-26- 91 amari, perché gli altri erano moltissimimente. Dopo aver perso 42 guerre mentesuccessive, spinto alla periferia dell’orgasmo e tuttavia ancora con l’21-3-3-5-12-12-15 4-18-9-20-20-15, il re Ancor di Tuttavia (o di Bavonia) decise di ignorare le, batoste orrisonanti e, proseguire per la sua strada, anche se più povero. Il nemico, vedendolo rimpicciolito una volta e pe’ sempre, decise di concedergli il certificato di cittadinanza dei definitivamente sconfitti: lo perdonarono, insomma, e non lo infastidirono più (loglilolo, naronodirono). In fede mia avean ragione: ormai solo potendo egli muovere animaletti corazzati di carta; ormai solamente spazzini lunghi e secchi obbedendogli incondizionatamente. «Non ammazzando!», andavano dicendo quegli atroci e altri satanassi. «Perché altrimenti giardino zoologico, finendo».
Dunque, Parruccone, iv Benefattore della quinta dinastia e la sua gente, cacciati a calci nel 3-21-12-15 da tutte le parti, trinceraronsi sulla cima della cima della montagna Senza Nome che dopo essere stata consacrata si trasformò in una specie di Lhasa Monte Fuji. Trassero profitto dalla loro disgrazia approfittando dell’incidente naturale del vulcano apocrifo, scavando, scolpendo i suoi pendii di porfido, aprendo sentieri, ecc. C’erano torri di sorveglianza fatte con casse di vino; barbacani di fango; un dongione addobbato con lattine; scale false, di cartone, belle da vedere, ma tali che se uno distratto ci metteva sopra un piede rischiava di sprofondarci dentro fino all’9-14-7-21-9-14-5; arazzi confezionati con giornali vecchi, ecc. Eccetera. Per non parlare dei buchi scavati sulla cresta stessa del monticello che servivano da feritoie; dei cammini di ronda per i quali nessuno circolava, neppure il Benefattore, poiché erano fatti con listelli di legno e pezzi di corteccia di pino; e altro. La porta del recinto, invece, pesava tre tonnellate ed era di bronzo, fusa in un solo pezzo; era una cosa completamente inutile, dal momento che non esisteva una palizzata perché la scorta di legname era finita; al punto che anche un nano avrebbe potuto abbatterla con una spinta; e non era nemmeno necessario, si poteva semplicemente passare di lato. Gli schiavi nubiani del faraone Cheope non sfacchinarono così tanto, per trasportare l’ultima pietra della Grande Piramide, come quelli che avevano trasportato fin lassù quell’oggetto impossibile. Avevano sofferto orribilmente.
Da quando stabiliti si erano, le esigue truppe dell’accerchiato monarca di Bavonia, sfilavano durante le Feste Patrie (ce n’erano 465 all’anno e 466 in quelli bisestili, essendo questi ultimi gli unici che annoveravano 24 ore di buona sorte; in altre parole: vivevano una giornata fausta per ogni tetrarcanno) con i loro portastendardi in prima linea, impugnando asciugacapelli e stracci per pulire per terra sui quali si posavano tanti stravaganti parrocchetti delle tane, appositamente forniti dal dittatore. Poi glieli restituivano. Servivano a rimpiazzare i falconi egiziani e gli altri uccelli araldici; e utilizzando altresì, come gagliardetti e pennoni, cartoni della pizza usati (con molta salsa di pomodoro) e peperoncini e spighe di grano incollati con puntine a pali di scopa. Un bisanziano gotico espressionismo ottenevano così. Parruccone iv, Benefattore della quinta (sinfonia di Beethoven, avrebbe detto un mio amico; non avrebbe mai sciupato un’occasione del genere). Nemici tantissimi, erano quelli che la sua morte indubbiamente desideravano. Caparbiamente ciò, nonostante lì, resisteva circondato da macchine ciarliere, donne, lacchè e soldati coperti con squamose armature di ferro, complete, poderose. Romotose, le chiamavano. Queste truppe dormivano in certi gusci di bronzo, ognuna nel rispettivo suo. Romotose: con questo nome, erano temute un dì; presentemente facevano pena. «Attaccando, Resistendo, Uccidendo». Questo il motto che leggevasi sui loro stendardi in rovina. «In formazione, mie Romotose!», andava ruggendo il gerarca supremo. «Cotone il gonfalone di, ma innalzate sulla pietra miliare. Romotose: creatura bellica mia!».
Superati i prolegomeni passiamo alla festa. Ingiungendo ai suoi sbirri che quel che (chequelche) era buono per lui era buono per tutti, ordinò di distillare nei suoi alambicchi filosofali i seguenti miasmi da servire durante il banchetto: succo di ragno giallo (alloragnogi ottenne e, fu squisito); linfa di occhio di chiocciola rossa (occchhiioocciola); rima omofonica di procellaria cacoomofonica (cacoo) e altri. Chiocciava il pollaio di gerundi cacofonici (attenzione! Ce n’erano anche di commestibili). Essendo questo il risultato.
Nella sala ventosa e a cratere aperto dove si svolgevano i festini c’era un cartello su cui era scritto:

il gerundio libera


Un altro diceva:

qui si impara a aggettivavverbigerundiare lo stato (qui si impara aa).

Prima dell’arrivo delle vivande, e come era costume tra le orde della Bestia Castana (Parruccone iv), una macchina da musica cantò (musicaca)ntò o fece qualcosa di diverso. Non ricordando più ormai che cantòo o che fece. Cantòoo? Eh… cantoodoo. Dopo l’antipasto (lo avrebbe invidiato perfino Filippo, Granduca di Borgogna), un’altra macchina pallosa, cameriera (o serva) muta, uscì dai vapori mefitici della cucina, portando un piatto di quasi tre iarde quadrate in una delle sue manacce metalliche. Che cosa non era, essendo quel che era: vivande di fumo gustose; ciambelle cinesi (ciamcin) cosparse di burro e miele; ebanisteria di tenere canne di bambù del Bengala (e-ban bámbu-ben: pronunciare alla vietnamita); cosce di uccelli tuffatori del Tigri; grasse trote e perche preparate alla giavanese, su fornelli Krakatoa (ogni tanto, nel culinario processo, andavano a 6-1-18-19-9 6-15-20- 20-5-18-5 le emisferiche storte). Oltre a tutto quello che già è stato elencato. Ricchissimo lo trovaronomente.
Per non ripetere la parola “tutto” che ho già messo qui sopra, userò la parola “brutto”. Brutti, uomini e macchine, banchettarono come sposi della morte e come se quello fosse il loro ultimo giorno. Soprattutto quella gran bestia del Benefattore. Inappetente il rimpinzato dopo essersi abbuffato. Soddisfatto e satollo (pieno) dopo quella scorpacciata. Senza più fame conseguentemente sua vorace polifagia. Nessun desiderio. Nessuna voglia. Nessun piacere. Nessun piacendo. Tale degenerazione del normale desinare causogli atonia, per non dire debolezza e intontimento. La sua spaventosa pancia, era come un pulcino figliastro. Un figlio, nel lessico comune (el-le, lettera bifronte), è una “persona o animale considerata dal punto di vista dei genitori”. Tal primoge sul punto fu di, essere il beniamino e l’unigenito (tutto in uno) poiché per poco non morì sul colpo. Ci andò assai vicino data la quantità inconcepibile che, mangiò il molto affamato. Fatto sta che tutti saporitissimo giudicarono tutto.
Ogni volta che il iv Benefattore della quinta dinastia alzava il calice per ingollare un paio di pinte, scoppiava nella sala un terribile baccano; così i musicisti dell’orchestra, coperta di stracci, svolgevano il proprio compito; suonando rumorosamente e orribilmente ogni volta che l’altro levava alta la coppa (per non ripetere la parola calice). Interpretavano inni bellici assolutamente collerici, e intorno tutti si inchinavano, e tale bizzarra manifestazione durava finché il succitato non abbassava il cristallino oggetto. E ognuno alzcopingollabbassava. Credo di dover usare “andova”, per evitare la rima. Per i giorni in cui il sovrano andova in autentica collera, riservavano l’Ingoma: il canto di guerra degli Zulù. E ora meglio fermarsi qui perché altrimenti il caos esploscoppia.
Come dessert, o meglio sostituendolo, la pornocrazia illuminata in pieno sfociò nella buona vecchia telemachia fornicatrice. Fine fecero venire a tal macchine odalische della Yap isola. E corruppero le di Yap macchine. Le ma ultime riserve, erano. E se nell’intrallazzo disgraziatamente si rompevano, la loro vita non valeva un 3-1-26-26-15, poiché non c’era nemmeno un pezzo di ricambio. Tre “zo”. Essendo una specie di saturnale fraternizzavano la carne (subordinata e superiore) e la robotica.
Dopo cena, gli occhi socchiusi per l’intensa gravità (quasi fossero due stelle di neutroni) del cibo e dell’alcol (dideldell), per non parlare del centro gravitazionale più importante di tutti, il Benefattore si rivolse a un insieme di armi complete che da lì vicino formavano un sistema: «Ma che ti succede, armatura parlante e dissonante? Totalmente muta, ti si vede. O vedetisi. L’unico dodecafonismo che da te sento da un po’ di tempo a questa parte, è quello del silenzio. Guarda che qui l’oblio, viene da raffiche in settime e ottave alternate. Ha un costo altissimo. Per parlare, c’è tutto il tempo. Un vortice, un mulinello gigantesco di acqua, vento o tempo ed Eureka! Il turbine ti travolge e ti tracanna una volta e pe’ sempre. Turtitratitra». Strappata alle sue terribili elucubrazioni, si apprestò a replicare quella armatura (aa) parlante e dissonante del signore del paese-castello. Anteparladisson, dunque, si avvicinò e proferse:
«Coff, coff. Mio signore: sapere deve che obbligata sono alla pudicizia del ferro, ché se mi avessero congegnato in un’altra guisa i miei forgiatori, allora mi vedreste rifocillandomi nelle vostre festicciole più di tutti. Vedendo come vi divertite e non potendo farlo io, sono precipitata in uno stato d’animo funereo».
Benefattore importanza questione alla come togliendo: «Non si dica che qui, nel mio castello, qualcuno patisce tali infauste privazioni. Trascorrerà mezza clessidra e i miei nibelunghi nanizzati, ti offriranno ciocche, no, ciò che ti manca. D’argento diamantifero il superno intrepido; d’oro puro le ellissoidali basi». «Piacemi», rispose istantanea Anteparladisson, la ninfa arrugginita e proteiforme, molto contentissimamente Ma covando stava il dramma, ma bussando e ribussando lugubremente le semicrome di Wagner: “Così bussa il Destino wagneriano alla tua porta”, Nietzsche dixit, probabilmente. Orribilmente spaventoso e polimefitico, non c’è dubbio. E perché, perché mai, vado dicendo tutto questo? Be’ perché essendoci lì una straordinaria macchina parolista, icosaedrista (adoratrice di un solo Icosaedro con venti Unici Dei, la cui totalità si distribuiva in ventesimi sulle diverse facce), che, si era assunta il compito di lanciare le sue perle profetiche a quella accozzaglia (aacco) di maiali consumista (e sono tre ista; ma con questo, quattro); essendo lì, dico, la macchina si infuriò moltissimo e spaventosamente quando vide che, con cinque colpi di martello ed eccellente metallurgia, i picari gnomi aggiunsero ciò che mancava ad Anteparladisson. Rimase menteinfinita sconcertata. Ma il dramma finale del quale dicevamo si spiega con il fatto che, sconfitti e perdonati dal nemico dopo innumerevoli guerre – e ridotti alla rocca –, anche così i Figli delle Nebbie del Dittatore (orchi di vento forte e ciarpame), sono ugualmente vittime delle congiure palatine e dei tradimenti architettati dalla macchina icosaedrista con i suoi sinistri piani, manovre sotterranee e altri atti di alta negromanzia. La suddetta ha intenzione di approfittare della stanchezza del Benefattore e Padre della Patria Nuova; di sfruttare a tal fine la sua pericolosa mania per i gerundi (lui intende imporli per decreto, tanto nell’idioma scritto quanto nel parlato) e divorarlo servendosi dei suoi campi gravitateologici menzogneri. Ma il Benefattore, che non è nato ieri, la scopre e quella fa irrimediabilmente una fine di 13-5-18-4-1. Anticipo l’azione per non svelare la trama. Non è uno scherzo anche se lo può sembrare. Ma poi, come se non bastasse la sfiducia istintiva e silvestre del nostro zar slavo e despota, poi c’è anche accanto a lui mein herr Doktor und Professor Johannes Dravrinsky, eminenza castana del regno, a dargli buoni consigli; avverte il dittatore dei piani maligni della macchina icosaedrista: «Non confidi in quella 16-21-20-20-1-14-1. La conosco bene: dai tempi della schule senza campanella».
Istericamente, la icosa diabolica, interpellò la povera e indifesa armatura gettandole tutta la sua schifosa 13-5-18-4-1.«Che grave peccato commesso hai. In fede mia non prospereranno le tue profanazioni (prospprof) e aberranti lussurie. E poi non venire a cercare in me, da brava piagnona aiuto (naa), appoggio (naaa) o difesa. Puttana come Patricia Naaa. Proprio così: d’ora in avanti tu (titu) non sarai più l’armatura parlante e dissonante Eleonora, adesso (eeaa) sarai la disonestà in persona con la tua impudicizia. Anteparladisson Patricia. E se per caso dovessi lamentarti perché ti fustigo con i miei anatemi, pensa, nella tua misera capoccia laccata, che avrei potuto chiamarti benissimo Cecilia, che era la più puttana di tutte, una di quelle che si accoppiano nei granai con il primo che capita, una di quelle fornicatrici prostitutizie che…».
Ma non poté, proseguire poiché proprio in quel momento la intercettò il benefattore della Patria Nuova assolutamente esasperato (vaaee).
«Chi si azzarda a attaccare Cecilia? Chi si azzarda aaa?
Ogni donna che si chiami Cecilia ha almeno una possibilità con me. Allora in campanuccia e non lanciare strali contro Cecilia, macchina frocia, altrimenti ti metto un catalizzatore e poi vedi dove ti faccio volare…». Terrorizzandola, il despota. La storia del catalizzatore non piacendole, la macchina impallidì e non tornò a aprire (ornòaa) la boccaccia fino a quando l’orologio gnomone, non ebbe allungato di un metro la sua traccia sul suolo. «Polverizzandomi», tal cosa pensò la maligna icosa.
Buffone iv, il Magnifico, di cui finora non abbiamo parlato, chiese la parola solo per dare fastidio e proferse: «Mi viene in mente una cosa assolutamente straordinaria». Benefattore: «Gerundiando, per favore».
Buffone iv, lo Splendido, persona alla quale non abbiamo fatto riferimento se non in un’occasione:
«Venendomi in mente una cosa assolutamente straordinaria: se prendendo due parole: “barbarie” e “scorie”, per esempio, ed estraendo da queste il salvabile, ottenendo: “barbasco”. Eh… e ci evitiamo due omofonie».
Ma qui grugnisce il dittatore:
«A me le omofonie non mi disturbano. Al contrario: voglio che ce ne siano di più. Ordinerò che emmediatamente encidiate un long play con le mie dissonanze di protesta. E dico “emmediatamente” ed “encidiate” per avere uno iato quadruplo: eeee. Altrimenti non ci sarei riuscito. Licenza poetica. Pertanto, carissimo Buffone iv, ti suggerisco di cambiare rotta all’istante». Dopo una pausa, senza motivo, il despotocratico continuò, mettendo insieme parole immotivatamente: «Uccidendo altri superbi bacchettoni, ho detto i. Ben osservando che l’adesso muta icosa pretendeva da Anteparladisson un’abissale, folle abiura. Che la povera armatura era sofferente, in un angolo, vedendo gli altri 19-3-15-16-1-18-5 e lei non potendo e inalberandosi, in altre parole, ho detto ii. E ci metto i numeri romani perché perfino le mie frasi sono dinastiche».
Ma il nostro benavventurato maiale regnante, era quanto mai mutevole. Almeno, in apparenza. Non avendo penuria di unità tematica: semplificando il “non” con la “penuria”, resta, sì, che aveva unità tematica. Aveva unità, in effetti, solo che invisibile (avevasoloche). Socchiuse sognantemente gli occhi e con accanto il dizionario diede la seguente definizione:
«Gerundio: “Verbo in astratto e come esprimendosi al presente”. Adesso io dico però: “Verbó in ástratto comé esprimendósi al presenté”, obbedendo alla francogermanizzazione che impongo. Pertanto correggete questo dizionario subito senza perdere altro tempo. Abbiamo bisogno di manuali che corrispondano all’ontologia dello Stato e alla mia sapienza».
Nella sala scoppiò un 7-18-1-14 3-1-19-9-14-15. Le frasi tradizionali: «E quello che è?», gemerono le frasi. Ma subito ricevettero la replica aggressiva delle progovernamentali, con la baionetta calata, l’elmo d’acciaio e l’uniforme d’inverno: «E cos’è questo quello che è? Questo, èquelloche e va tutto attaccato: e lo diciamo così per evitare confusioni».
Buffone iv, il Bello, di cui abbiamo già parlato:
«Ma Mio Signore: pensa forse di motorizzare religioni dissolventi e anticlassiche? Non dico le rune; perfino il cigno di Tuonela fuggirebbe impaurito».
Il Benefattore diventò più ragionevole:
«Negando. In fede mia le castigliane leggi esistono per qualche motivo. Lo giuro per i denti di Dio, come diceva Giovanni Senza Terra: chissà a quale Dio si riferiva, quel grande blasfemo. Per qualche motivo furono fatte le castigliane norme, lo ripeto. Opponendomi, al contrario, alla loro applicazione imbecille e a qualsiasi prezzo. Ricordatevi cosa hanno detto di Violentando Girls Scouts nella foresta, la facetissima opera del professor Eusebio Filigranati, il mio scrittore preferito. Letterati che non sembrano tali – poiché ignorano dell’eccezione i principi – e così pedanti, quelli che curano l’idioma con estrema attenzione per jacksquartarlo meglio. Questi tali i quali non hanno ancora compreso che il delirio realista è la costituzione delle parole, e nessun regolamento può essere superiore alla legge, così come questa non può signoreggiare su quella. Fuck off, you little dolt. Così vi impongo di scrivere di nuovo tutti i dizionari. Per puro dispotismo, brutti 3-1-26-26-15-14- 9. Vi ho parlato già dei miei gerundi avverbiati? Sono una scoperta: venendomente, andandomente, formandomente. Dicono le cattive enciclopedie che l’avverbio è privo di mutamenti grammaticali che, è invariabile. Questa qui è una cosa falsissima. I miei astrologhi e geometri arabi mi, hanno assicurato che ieri, do un esempio, si coniuga almeno nelle seguenti maniere: iari, iori, iuri e iiri. Ce ne sono altre: oiri, uiri, ecc. Cosicché che (cosicchéche) mi venite a insultare a fare con queste idiozie. Cosicchéche. Potrei fare lo stesso con mai, di fretta, qualcosa, poco, forse e lontanuccio. “Ignorantissimi in quelle che considerano le cose più sicure”, come dice Huxley. Di tal maniera se il gerundio è il verbo in astratto, quando gli attacchiamo un pezzettino di avver, che cosa succede? Succede che l’astrazione invece di-dissiparsi aumenta, proprio come si espande il deserto in Libia: un chilometro cubo all’anno. Sorprendente. Ha acquisito una nuova dimensione, senza per questo rinunciare al mistero. In altre parole: con il mio sistema sapremo tanto quanto prima ma la nostra ignoranza sarà più clamorosa. Il gerundio, deduco io nella mia infinita sapienza, è il verbo della geometria non euclidea, un campo vettoriale di forze che si compensano, una tensione elettromagneti…».
«Certo che ne dice di stronzate, Sire», interruppe Buffone iv, il Prudente, personaggio al quale abbiamo fatto riferimento tante di quelle volte che il suo ingresso non risulterà forzato e improvviso.
Lo zotico e incolto anche se illuminato despota, iv Benefattore della quinta dinastia di Bavonia: «Silenziomente. Mi piace molto l’astrazione concreta, dettagliata e che si espande. Adoro il concreto ma indeterminato e impreciso». Buffone iv:
«Sire, da ventotto anni ho un’enorme fortuna: son suo suddito (sonsuosu); credo di avere il grado gerarchico sufficiente per sapere che non crede a una parola di tutto quello che espone (llochee)».
Il Benefattore si scrollò di spalle:
«E altrimenti che razza di despota sarei? Cherazdides. Sono un sostenitore dell’autodeterminazione dei dittatori. Ma hai ragione: in fondo odio le desertiche immaterie e cerco di trasformarle per portarle nel mondo terreno. Sto preparando un intruglio di gerundi con crema e fragole. Vuoi assaggiarlo? Vieni, prendilo: ingurgitati un puledrino di queste uberrime». E il monarca assoluto allungò al simpaticone la fumante sbobba.
Ci fu una spaventosa e orribile pausa.
Il dittatore, accigliandosi, con una faccia da indio timbù che ha pochi amici, ordinò soavemente.
«Gerundio piacendo al dittatore. Bevendo».
Nonostante la pressione sociale, Buffone iv continuava a guardare la sbobba con sfiducia. La annusò pensando a Hop-Frog, il nano del racconto di Poe; comprendendo che ogni forma di resistenza sarebbe stata inutile procedette a laingoiarse dopo siesser tappato il naso.
Ma cos’era quella roba, Dio mi è testimone: era la Fossa Nera di Calcutta in un solo bicchiere. Di sicuro il balsamo di Fierabrás che bevve Don Chisciotte, sarebbe stato al confronto come la panna montata per un felino. Buffone iv, accecato, vedeva unicamente una rossa foschia. Dopo un istante di tensione dinamica, alla Charles Atlas, buttò fuori una cascata: un’autostrada di acque procellose, come lo tsunami dei giapponesi; una tromba marina di cavallette liquide, come quelle che distruggono il raccolto degli agricoltori. Solo la schiuma, produsse un’eclissi precoce. Inondò la sala del trono e quasi affogò il Benefattore. Quando le acque si ritirarono, Anteparladisson (armatura parlante e dissonante), senza pensarci due volte iniziò a oliarsi le articolazioni e, prima di tutto, quelle della parte nuova la quale, pur essendo d’argento, aveva molle e giroscopi ossidabili.
«Sono lieto che ti sia piaciuto al contrario, Buffone iv», mormorò l’Onto Autoreferente approvando il pastrocchio.
A quel punto commentò il iv Buffone della quinta dinastia, più che altro per dire qualcosa:
«Eccellenza: il suo vino spumante è un po’ brut, per il mio palato. Però non posso fare a meno di riconoscere che è incorreggibile, immigliorabile, meritevolissimo, degnissimo, perfetto. Forse non è molto caritatevole, ma in ogni caso, quale forza della natura lo è? Non possiamo chiedere ai tifoni o agli uragani di sistemare candele sui tavoli, o di comportarsi in modo civile all’ora del tè».
A questo punto la macchina icosaedrista – rafforzata dal disordine – non potendone più delle sue felicità teologali, scese in campo, gozzovigliatrice, impugnando un bastone cristallino, prisma esaedrico, e con quello minacciandomente tutti:
«Mi piace questa cosa del mentegerundiale. Alla macchina icosaedrista piacendo. Sono favorevole al deserto che si espande. Non contraddicendo Icosaedro, Unico Santo. Di armatura Anteparladisson mano falloscopica, buttando acido nitrico sulla. Benefattore il viva viva!».
Ma, stranamente, l’inaspettato appoggio non gradì il despota. Irritatissimo capendomente che lo usavano (capendomenteche) per fini contorti e teologie dubbie, che non capiva del tutto, verbò in particolare: «Mettete un catalizzatore a questa macchina di 13-5-18- 4-1 che gioca a fare la patriota! Deve uscirle solforoso fuoco dalle 12-21-18-9-4-5 3-8-9-1-16-16-5 in questo preciso istante. E che vadano a fare in 3-21-12-15 lei e la madre (13-5-18-4-1) che l’ha partorita».
Sconvolta l’icosaedrista:
«Noooo! Pietà Benefattore! Io sono una sua sostenitrice, non mi grofff!».
Non rimase neanche una rotella. 19-3-8-9-1-20-20-15 e basta.
Il despota, terribile, guardandosi intorno:
«D’ora in poi, chiunque desideri offrirmi il suo appoggio dovrà farne richiesta per iscritto. Capirete che anche se ho il cervello di una gallina cretina perfino paragonato all’ultima delle SS, sicuramente un 3-15-7-12-9-15-14-5 non sono. Né testadicà né testadidodo. Molto diverso da un dodo, voglio dire. Sapete cos’è un dodo, no? O meglio cos’era. Erano uccelli e si sono estinti perché erano 20-5- 19-20-5 4-9 3-1-26-26-15. Li uccidevano colpendoli con dei pali e loro non muovevano un’ala per difendersi». Il finale non deve essere mai violento, immotivato, exabrupto. E così concludo questo, il mio racconto, dicendo che dopo aver riunito nella Dieta il consiglio monodeliberante – con alla testa il Benefattore, essendo lui stesso anche i piedi e il moderato centro – alla fine decisero di tornare al classicismo e inaugurare una Nuova Era. Inaugurando. Paralelepipedinsky – il musicista preferito del regno – contraddicendo in parte i propositi della suddetta Dieta, decise di offrire una grande Cantata Funebre con contrappunto di Cicale. Queste erano dei contrabbassi enormi, alti mille metri, azionati da un telecomando; per ragioni economiche di solo 50 centimetri cad., usando. Titangermanizzazione delle frasi (titanfrancogermanizzando). Sarebbemente male terminando questa mini saga ultima frase una senza: i falsi amici sono autentici figli di immense 2-1-7-1-19-3-5. Ma cambiando non più; calderone pieno è. Prima del verbo perfida virgola, è.


1. In questo racconto il lettore troverà spesso delle sequenze di numeri. Per decifrarle dovrà far ricorso alle 26 lettere dell’alfabeto internazionale. [NdT]